Uscito nelle sale francesi ad agosto 2023, passato in concorso al My French Film Festival 2024 e inedito in Italia (lacuna per nulla sorprendente), La Bête dans la jungle, diretto dall’austriaco Patric Chica e liberamente tratto dal romanzo di Henry James, si pone come oggetto cinematografico senza dubbio originale e straniante, in grado allo stesso modo di respingere o attrarre, annoiare o stimolare, a seconda che si abbia o meno voglia di entrare nel mood che lo contraddistingue. Vent’anni abbondanti di narrazione, ma due soli personaggi attorno a cui tutto si dipana. Anche se, a ben guardare, il vero centro focale è proprio la discoteca priva di nome, ritrovo di gioia e distrazione, cocktail e sballo, suoni e luci. Scatola territoriale limitata eppure vibrante di umori e sensazioni, notti scatenate e sogni primitivi che si dissolvono solo al sorgere del giorno. Tranne uno, invero non proprio un sogno bensì una certezza: la cosa, quella cosa che John è sicuro dovrà giungere come salvifica rivelazione, pur senza avere la minima idea di quale forma essa mostrerà.
Così, mentre le lancette del tempo inesorabili proseguono la loro lunga marcia, la terra muta confini e situazioni. L’elezione di Mitterand, l’avvento esiziale dell’AIDS, la caduta del Muro di Berlino, l’11 settembre. Rivoluzioni e disintegrazioni della realtà. Ma John e May, dal 1979 fino al 2001, continuano imperterriti a calcare quel luogo, prima come avventori un po’ confusi, poi nelle vesti di un Re e una Regina che dall’alto della balconata, seduti sui loro scranni, osservano i ragazzi che danzano. Sempre diversi, generazione dopo generazione, in una sorta di evoluzione (o involuzione?) antropologica il cui interesse è comunque relativo, in quanto l’obiettivo vero e totalizzante non cambia: l’attesa della cosa.
Il film si spalma lungo i decenni seguendo un’atmosfera bizzarra, surreale, quasi onirica, persino esoterica. Assomiglia a una storia di fantasmi, ma la costante musica pompata dalle casse ci avvicina alla realtà tangibile. Sussurra un viaggio verso il niente, ma la spasmodica ricerca pulsa di emozione. Ci sono figure laterali, come la padrona del club (Beatrice Dalle), guardiana che ogni sera apre le porte del paradiso (o dell’inferno?), oppure Monsieur Pipi, il responsabile delle toilette, personaggio lynchiano nella sua singolarità. E poi c’è una bestia senza volto, racchiusa tra quelle mura intrise di vita e sudore, pronta a mordere nell’eterno fuoco del rimpianto.
May danza e dopo osserva. Talvolta se ne va ma torna, ancora e ancora. John non danza, osserva e basta. Lui ha la recitazione meccanica (voluta?) di Tom Mercier, immune allo scorrere delle primavere; lei, in totale opposizione, ha la preziosa gamma espressiva di Anaïs Demoustier, stella splendente la cui bravura (e versatilità) ormai non conosce limiti. La loro beckettiana stasi, l’ossessione, la speranza, convergono in una dinamica da molti considerata come mero e stancante esercizio di stile o poco più. Da queste parti, al contrario, abbiamo attraversato con piacere la selva dell’assurdo, lasciandoci ipnotizzare da una fluttuazione magnetica e quasi mistica che, non a caso, cede parzialmente solo nel finale, ovvero l’unico passaggio in cui si esce davvero dai confini della discoteca. Perché è lì, nell’ombelico stroboscopico del mondo, che striscia silente la bestia, ed è lì che finalmente emergerà l’anelato miracolo. Anche se forse, purtroppo, lo si capirà troppo tardi.
Nel frattempo, comunque, c’è da avere pazienza. Respirare. Resistere. Credere.
E ballare.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose
Scheda tecnica
Titolo originale: La Bête dans la jungle
Anno: 2023
Regia: Patric Chiha
Durata: 110'
Sceneggiatura: Patric Chiha, Axelle Ropert, Jihane Chouaib
Fotografia: Céline Bozon
Montaggio: Karina Ressler, Julien Lacheray
Musiche: Yelli Yelli, Dino Spiluttini, Florent Charissoux
Attori: Anaïs Demoustier, Tom Mercier, Béatrice Dalle