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RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME – Fuggire non posso

23/12/2019

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“Da anni sognavo di farlo.”
“Morire?”
“No. Correre.”

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L’incanto. Il cinema che diventa arte pittorica. Immagini sublimi incastonate in inquadrature che si tramutano in perfetti tableaux vivants. Corpi nitidi o sfocati, campi e controcampi, occhi penetranti e cuori pulsanti. Il verde della speranza, il rosso della passione, il blu del mare irrequieto, il rosa della pelle. L’opera filmica in cui l’eleganza della messinscena è base fondante della costruzione narrativa. Il farsi della creazione, tocco dopo tocco, respiro dopo respiro, mentre l’anima si allontana dalla razionalità per abbracciare i fremiti dell’amore. 
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Tutto questo, e molto di più, è Portrait de la jeune fille en feu (Ritratto della giovane in fiamme), premiato a Cannes e arrivato anche in Italia per celebrare la definitiva assunzione di Céline Sciamma a talento di primissimo piano del cinema francese ed europeo. Classe 1978, l’autrice nata a Pontoise si era già messa in luce agli esordi con gli stimabili Naissance des pieuvres e Tomboy, per poi far esplodere le sue capacità nello strepitoso Bande de filles e confermarle con le brillanti partecipazioni in veste di sceneggiatrice per il delizioso Ma vie de courgette e il gradevole Quand on a 17 ans. 
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Con questo nuovo lavoro la Sciamma fa un ulteriore passo avanti, trovando una saggezza espressiva impressionante, tradotta nella storia di Marianne, giovane pittrice che nel 1770 è chiamata su un’isola in Bretagna per realizzare il ritratto di nozze di Héloïse, appena uscita dal convento e promessa sposa a un uomo mai conosciuto. Esempio di tantissime donne di quell’epoca, per le quali il destino era deciso senza nessun interesse riservato alla loro volontà, Héloïse rifiuta l’idea del matrimonio e per tale ragione nega di posare. Marianne deve dunque dipingerla in segreto, fingendosi sua dama di compagnia per poter trascorrere del tempo insieme a lei, coglierne i tratti, memorizzarli e imprimerli su tela.
​ 
La sopraffina qualità estetica del film della Sciamma deflagra sin dai primi minuti, quando Marianne giunge bagnata fradicia a casa di Héloïse, si spoglia e si dispone in terra, senza veli, ad asciugarsi davanti al camino acceso; la vediamo al centro di un’inquadratura simmetrica e magnifica, immediato simbolo di ciò che caratterizzerà le successive due ore di visione, nella totale immersione in un magma di bellezza rappresentativa che viaggia di pari passo con l’intensità del racconto.
Il rapporto tra le protagoniste, in principio educato e nulla più, oltre che viziato da una bugia di fondo, muta rapidamente i suoi contorni, attraverso le occhiate fugaci che Marianne rivolge a Héloïse per studiarne i contorni. Dai baci rubati di truffautiana memoria passiamo qui agli sguardi rubati, sguardi che presto scavallano i confini del compito professionale per lasciare strada alle emozioni suonate dalla dolce musica dell’innamoramento. Da lì in poi la via tracciata segue il suo naturale percorso, perché se è vero che spesso purtroppo non si può sfuggire al proprio destino, è altresì vero che non si può scappare dal richiamo del desiderio. Un concetto, questo, ben espresso in un’altra delle scene madri del film, anch’essa di rara forza visiva, durante la quale, nello svolgersi di un notturno rito pagano, un gruppo di donne intona un canto polifonico che colpisce a fondo per il suo mélange di disperazione e compassione, soavità e commozione.

​“Non posso fuggire”, recita quel canto; Marianne ed Héloïse ne colgono idealmente il significato, superando la paura per unirsi e darsi a vicenda, almeno per quel poco tempo a loro concesso, in una fusione fisica lasciata quasi totalmente fuori campo dalla Sciamma, con una sorta di (giusto) pudore. Lo stesso pudore ben esemplificato nell’ennesima scena di impressionante leggiadria, in cui Marianne disegna un ritratto di sé stessa attraverso uno specchio collocato in mezzo alle gambe nude di Héloïse e posizionato in modo tale da coprirne la parte più intima, affinché l’amata e amante possa conservare per sempre un’immagine di lei.
In quel momento il rapporto tra le due assume i contorni dell’eternità, di un qualcosa destinato a durare anche dopo che la durezza della vita le avrà portate altrove. Un amore dunque fugace (gran parte della storia si svolge in pochi giorni) ma al contempo sufficiente per riempire una vita, così come è il film stesso a riempirsi in ogni istante di intuizioni cromatiche e scenografiche, sospiranti campi larghi e primi piani incollati ai volti delle due meravigliose protagoniste, Adèle Haenel, ormai già da alcuni anni punto di riferimento del cinema transalpino (da L’apollonide a Les Ogres, da Les Combattants a 120 battements par minute) e Noémie Merlant, rivelazione assoluta in termini di bravura, fascino e capacità di seduzione.

Opera della maturità, si diceva: la Sciamma si gioca tutto praticamente con 4 soli personaggi (Marianne, Héloïse, la madre interpretata da Valeria Golino e la cameriera Sophie), utilizza Vivaldi, cita il mito di Orfeo ed Euridice, sfrutta gli ambienti e i paesaggi e lascia quasi completamente fuori scena ogni presenza maschile, relegando gli uomini a comparse o entità fantasmatiche, pur se dominanti nelle convenzioni sociali. Con questi limitati elementi riesce a narrare al meglio una lotta per l’emancipazione e una storia d’amore splendida e universale, anche con sottolineate pause e volute lentezze, riuscendo peraltro a mantenere sempre viva e pulsante la sua creatura filmica.

Applaudito dalla stampa e dal pubblico francese e assai apprezzato persino in America (dove sono abituati a ben altri ritmi), Portrait de la jeune fille en feu potrebbe risultare, agli occhi dei pochi detrattori, troppo schematico, programmatico, algido. In effetti, a voler essere pignoli, la pellicola sembra mancare della dirompente spavalderia del precedente Bande de filles. Eppure ci risulta davvero impossibile non essere piacevolmente investiti dall’ardore delle mani e dei corpi, dal fruscio delle vesti, dal suono costante della legna che scoppietta, da quei due volti che si studiano e si scoprono, si sfiorano e si baciano, si inseguono e si legano. E se ancora restasse qualche dubbio sulla possibile freddezza dell’opera, l’eventuale perplessità viene letteralmente spazzata via dall’ultima inquadratura, durante la quale la Haenel, oltre a proporci un saggio di maestria recitativa, riassume in pochi secondi il senso di tutto il film e delle infinite sfumature della passione.
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Così, alla fine, poco importa se abbiamo assistito a un amore impossibile. In fondo gli amori impossibili sono gli unici che nessuno ci può togliere. Nonché gli unici certamente destinati a non finire mai.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose

Scheda tecnica
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Titolo originale: Portrait de la jeune fille en feu
Anno: 2019
Durata: 119’
Regia e sceneggiatura: Céline Sciamma
Fotografia: Claire Mathon
Montaggio: Julien Lacheray
Musiche: Jean-Baptiste de Laubier, Arthur Simonini
Attori: Noémie Merlant, Adèle Haenel, Valeria Golino, Luàna Bajrami
Uscita italiana: 19 dicembre 2019
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