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LOCARNO 72 – La fille au bracelet, di Stéphane Demoustier

12/8/2019

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Foto
Lise ha 18 anni. Due anni prima la sua migliore amica è stata uccisa a coltellate. Lise è stata sin da subito la principale (e unica) sospettata. Dopo un iniziale periodo di fermo le è stata concessa la libertà vigilata, con l’obbligo di un braccialetto elettronico fissato alla caviglia per favorirne sempre il rintracciamento. Adesso siamo finalmente arrivati alla fase finale del processo: gli avvocati dell’accusa e della difesa espongono le rispettive arringhe, la ragazza siede al suo posto in tribunale ascoltando tutto con glaciale fermezza e faticando spesso a trovare le parole quando viene interrogata (o rifiutandosi di rispondere). Nuovi aspetti compromettenti della vita di Lise emergono, con particolare riferimento alle sue abitudini sessuali, ben più disinibite di quanto la morale comune vorrebbe. Le sedute si susseguono, il verdetto si avvicina. Lise ha davvero ammazzato l’amica, oppure no?

​Lili Hinstin, nuova direttrice artistica del Festival di Locarno, ha sottolineato come La fille au bracelet sia stato il primo titolo a essere scelto per la sezione dedicata a Piazza Grande, evidenziando così quanto lei e il suo staff abbiano fortemente creduto in quest’opera. A conti fatti non si può dar loro torto, dato il buon impatto del terzo lungometraggio di Stéphane Demoustier, bravo a mettere in scena con efficacia un dramma processuale in cui rispetta i canoni del genere ma riesce a inserire degli elementi in più, e senza remore nell’affidare il ruolo più “antipatico”, quello dello spietato pubblico ministero, alla sorella Anaïs Demoustier, attrice che come sapete noi amiamo tantissimo, e che aveva già interpretato la parte di un'avvocatessa nella bella commedia romantica À trois on y va (qui la nostra recensione).
​
Lo schema di base di La fille au bracelet (ispirato al film argentino Acusada) pare in realtà non discostarsi molto da altre pellicole similari, essendo fondato sull’accumularsi di oratorie racchiuse tra gli spazi del tribunale in cui si decide il destino della giovane protagonista (l’esordiente Mélissa Guers). Si ricostruiscono i fatti dei minuti in cui è avvenuto l’omicidio, di ciò che era stato prima e di ciò che è stato dopo; si analizza il rapporto tra Lise e l’amica; si mostrano elementi nuovi che colgono di sorpresa la parte avversa. Accusa e difesa giocano le loro carte, la sfida è serrata, l’equilibrio pare indirizzarsi talvolta verso una direzione talvolta verso l’altra, il contenzioso è di difficile risoluzione. In questo senso la narrazione appare solida e puntuale, ma non offre particolare guizzi.
​Gli elementi di maggiore interesse giungono però altrove, a partire dal giorno in cui il pubblico ministero mette in luce il video di una fellatio compiuta da Lise a un ragazzo con cui non aveva alcun rapporto sentimentale, video poi postato in rete dall’amica, gesto che aveva provocato la rabbia di Lise. Questo evento, oltre a porsi come (presunto) movente dell'assassinio, apre scenari atti a discutere l’emancipazione sessuale della sospettata, decisamente eccessiva per una società ancora incatenata a dogmi antiquati ma di complessa estirpazione. Lise diventa così una ragazza “facile”, una poco di buono che ha perso la retta via, una persona da guardare con sdegno e timore. Il processo esce a quel punto dai confini del mero omicidio e diviene atto sociale d’accusa verso la licenziosità della gioventù contemporanea.
In parallelo si attua poi un secondo, e ancora più coinvolgente, percorso narrativo complementare, quando la macchina da presa esce dal tribunale e si infila nell’auto che riporta Lise a casa, e poi tra le pareti della casa stessa, dove lei e i genitori vivono ore e notti d’attesa tra una seduta del processo e l’altra. In queste sospensioni temporali il regista si concentra sulle emozioni che percuotono la madre (la sempre ottima Chiara Mastroianni) e il padre (Roschdy Zem), incatenati in una situazione soffocante e dolorosa. Lui sta vicino alla figlia, ripassa con lei ciò che dovrà dire in tribunale il giorno dopo, cerca di accompagnarla attimo per attimo. La madre invece sembra distante, distaccata, perfino lontana. Sono in realtà due facce della stessa medaglia, due modi uguali e contrari di affrontare la stessa pena interiore, una pena non priva di dubbi nei riguardi della loro stessa figlia. Entrambi vogliono che Lise sia innocente, lo desiderano con tutto il cuore, ma devono affrontare momenti in cui perplessità e titubanze si insinuano nella mente. Ciò li rende genitori peggiori? No, affatto. Li rende semplici esseri umani.
​
Alla fine, tra silenzi carichi di tensione, discussioni in aula e momenti di ribellione di un’adolescente inevitabilmente segnata (per sempre?) da due anni di ansia, La fille au bracelet giunge al suo culmine, che tale in fondo poi nemmeno è. Il verdetto infatti arriva, ma non elimina le incertezze. D’altronde, come ha giustamente dichiarato Stéphane Demoustier, “a me non interessa sapere se Lise sia colpevole o innocente; sarà lo spettatore a deciderlo”.

Alessio Gradogna

Sezioni di riferimento: La vie en rose, Locarno 72

Altri film con Anaïs Demoustier recensiti:     Demain et tous les autres jours        À trois on y va        Une nouvelle amie              La casa sul mare        Il viaggio di Jeanne        Au fil d’Ariane       La belle personne       Thérèse Desqueyroux

Scheda tecnica
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Regista: Stéphane Demoustier
Anno: 2019
Durata: 95’
Attori: Mélissa Guers, Roschdy Zem, Chiara Mastroianni, Anaïs Demoustier, Annie Mercier
Fotografia: Sylvain Verdet
Musica: Carla Pallone
Montaggio: Damien Maestraggi

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