Antoinette, profondamente delusa dalla notizia, compie un gesto istintivo e imprevedibile e si mette in viaggio, da sola, verso la stessa destinazione, mossa dalla speranza di incontrare sul posto l’amante e ricavare comunque dei momenti di intimità con lui, nonostante la presenza della famiglia. Giunta alla meta, scopre però che l’oggetto del desiderio non c’è. Avendo ormai pagato la (sostanziosa) quota prevista dal servizio organizzato, Antoinette resta lì e inizia ad affrontare il cammino di Stevenson, con l’unica compagnia di un testardo asino. Totalmente inesperta riguardo a questo genere di situazioni, dovrà affrontare tante difficoltà e misurarsi con ostacoli mai sperimentati; passo dopo passo riuscirà però a sviluppare una straordinaria empatia con l’animale e sarà in grado di reinventare se stessa, aprendo la strada a nuove speranze e nuove consapevolezze.
A volte si ha a che fare con film che non sembrano offrire alcun particolare spunto innovativo, né dal punto di vista della storia né sul versante tecnico; nonostante ciò, se ne ricava un intrattenimento piacevolissimo, derivato dalla bontà di lavori che non hanno bisogno di vezzi, idee eclatanti o lampi rivoluzionari per risultare tremendamente affascinanti. È il caso di Antoinette dans les Cévennes, opera seconda in veste di regista per Caroline Vignal (vent’anni dopo Les autres filles), uscito nei cinema francesi a settembre 2020 e distribuito in Italia a giugno 2021 con il consueto, orripilante titolo Io, lui, lei e l’asino, ennesima conferma di una pessima abitudine nostrana che pare proprio non voler conoscere fine.
La storia della tenace Antoinette (e dell’asino Patrick) accoglie su di sé i dettami fondamentali della commedia romantica, accarezzando pure le coordinate del racconto di formazione e sfiorando il mito del western. Il pellegrinaggio spirituale (ma anche carnale) dell’eroina protagonista attraverso paesaggi da favola nel sud della Francia non si limita al mero gusto della scenografia da cartolina, ma sfrutta il tepore dell’estetica bucolica per sviluppare un senso di forte partecipazione alle vicende di una donna insieme caparbia e imbranata, dolce e un po’ svampita, romantica e appassionata, capace di scavare dentro di sé per scalare terreni impervi, crescere e maturare, superare le delusioni e regalarsi una rinnovata fiducia verso il domani.
Il ritratto appena espresso è portato in scena con gusto e sensibilità, strizzando l’occhio al cinema popolare senza per questo affogare nella banale e facile goliardia. Il film della Vignal è divertente, corroborante, gradevole in ogni istante, ma non perde mai di vista i significati importanti che lo nutrono, indirizzati verso precetti di rispetto per la natura e consapevolezze interiori, trovando un pregevole equilibrio tra autorialità e accessibilità.
Amato dalla stampa transalpina in modo pressoché unanime, Antoinette dans les Cévennes è realmente “un bijou de drôlerie qui touche en plein coeur” (Emily Barnett, Marie Claire), una boccata di aria pura, una nuotata distensiva contro le brutture del mondo, in un’acqua resa ancor più limpida dalla prova magistrale di Laure Calamy, premiata con un meritato César come miglior attrice dell’anno.
Diventata famosa in Francia soprattutto per la serie televisiva Dix pour cent, ma apprezzata anche come interprete teatrale (premio Molière nel 2018 per Le Jeu de l'amour et du hasard di Marivaux) e vista spesso al cinema in film di qualità come Fidelio, l'odyssée d'Alice, Rester vertical, Nos batailles, Ava e Sibyl, la Calamy abbraccia qui la consacrazione della sua carriera e del suo talento, grazie all’abilità e alla spontaneità nel gestire una girandola impazzita di emozioni, tra entusiasmi genuini e fanciulleschi, improvvisi scoppi di pianto, scatti di rabbia e frustrazione, assortite tenerezze, soliloqui e imbarazzi. Una ridda di sentimenti che la Calamy sa rendere con toni e accenti irresistibili, naturalmente castrati o del tutto perduti con il doppiaggio, ragione per la quale, come sempre, il consiglio è se possibile di vedere la versione della pellicola in lingua originale.
Con lei, sempre in scena, espletiamo anche noi un ideale cammino di Stevenson, sulle tracce di una missione forse troppo complicata, di un amore forse impossibile, lasciando però la porta aperta a ogni soluzione che il destino possa presentare. E in una pausa ci sediamo e sorridiamo, liberi e sereni, lasciandoci andare persino a un bacio inatteso, mentre intorno risuonano le note del leggendario brano My Rifle, My Pony and Me, già utilizzato nel 1959 da Howard Hawks per il capolavoro Rio Bravo (Un dollaro d’onore).
In quel bacio, in quella melodia, la notte distende i sogni, lasciando poi spazio alla corsa disperata verso un caro amico a cui dire addio (o magari no), giusto epilogo di un film che non inventa nulla ma fa davvero bene all’anima.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose
Scheda tecnica
Titolo originale: Antoinette dans les Cévennes
Regia e sceneggiatura: Caroline Vignal
Fotografia: Simon Beaufils
Costumi: Isabelle Mathieu
Montaggio: Annette Dutertre
Musiche: Matei Bratescot
Durata: 95’
Anno: 2020
Uscita in Italia: 10 giugno 2021
Attori: Laure Calamy, Benjamin Lavernhe, Olivia Côte