Cantando e ballando, accompagnando in scena l'arte, divorando se stessi e il pubblico come orchi famelici e insaziabili. Bevendo via le ristrette abitudini sociali, in una festosa orgia che supera i confini della razionalità per farsi strumento di illimitata energia. Al ritmo di un tango, stretti e lontani, tra una vodka e una fuga, un ritorno e un addio, un tendone da smontare e rimontare all'infinito e uno spettacolo che suona le urla del desiderio febbrile. Fino al limite e oltre, e poi di nuovo, in un'altra città, davanti ad altri occhi. Ancora e ancora.
Non per la fama, non per i soldi, non per chissà quale fantomatica scalata al successo. Semplicemente spinti dalla voglia di esprimersi, errando vagabondi e gitani. Per giorni, mesi e anni. Esclamando l'ennesimo “maladiez!” (buon viaggio in russo) e brindando alla dolce e dura follia di una vita fuori dagli schemi e per questo forse bella come nessun'altra.
Secondo lungometraggio di Léa Fehner, premiato a Cabourg e Pesaro nel 2016 e uscito in poche sale italiane a inizio 2017, Les Ogres racconta l'esistenza eccessiva e dirompente di una compagnia di teatro itinerante che da lustri attraversa la Francia portando in scena, tra le altre, le opere di Čechov. Una ristretta comunità dentro alla quale si snodano leggi autoctone, gerarchie stabilite da lungo tempo e ormai non più tanto solide, tragedie personali e drammi individuali che giocoforza si ripercuotono sugli stati d'animo di tutto il gruppo. Una tribù festante che dona il buonumore, sprizzando carica emotiva da tutti i pori davanti al pubblico per poi, a spettacolo quotidiano terminato, ritirarsi nel proprio mondo in miniatura, dietro alle quinte e fuori dalla scena, lottando con le insicurezze e le storie di ognuno ma ponendosi sempre l'obiettivo di mantenere in piedi lo scopo comune: vivere per l'arte, nell'arte e con l'arte, correndo a perdifiato lungo un sentiero vorace che non può e non deve avere fine.
Girato rispettando la continuità temporale della sceneggiatura e con il cast “costretto” a stare insieme a tempo pieno per settimane, al fine di creare una sorta di effettiva unione collettiva, Les Ogres sa catturare sin dal primo istante, nonostante sia talvolta disordinato, disequilibrato e disarmonico. Un'empatia derivata da una messinscena impetuosa che sfrutta appieno opzioni rappresentative temerarie, a partire dalla scelta, da parte della regista, di far recitare, in pratica nella parte di se stessi, reali membri della sua famiglia (padre, madre e sorella), veri artisti itineranti che da 20 anni conducono questa vita, sperimentata a lungo dalla stessa Léa Fehner prima di lasciare la compagnia per puntare alla carriera cinematografica.
L'elemento autobiografico diventa così un ideale punto di partenza da cui sviluppare un film che riesce nella difficoltosa impresa di amalgamare con foga ed entusiasmo vissuto e artificio narrativo, attori di teatro e attori di cinema (in particolare la sempre magnifica Adèle Haenel, luminosa e ipnotica in ogni espressione e l'almodovariana Lola Dueňas), celebrando i valori di queste anime senza però limitarsi all'omaggio fine a se stesso, ma anzi mostrando con forza anche il lato oscuro della medaglia: la fatica, gli egoismi, le cattiverie, la cronica mancanza di privacy, l'esposizione perenne a freddo, intemperie, incomprensioni e scontri con la morale comune.
C'è tanto amore nell'opera della Fehner. E forse pure un po' di astio nei confronti di un mondo che può essere straordinario ma anche insopportabile. In qualsiasi caso, per fortuna, i sentimenti non annebbiano la capacità di creare cinema. Così, pur nella confusione generale, si aprono scene esaltanti che restano stampate nella mente, ad esempio la grottesca e divertente rissa al ristorante sulle note di 24000 baci di Celentano, il tenero atto di coraggio di una donna di mezza età che si presenta nuda davanti al suo improvvisato amante, il tragicomico momento in cui uno dei protagonisti scopre la sua gravida compagna sul loro camper mentre si fa fare un cunnilingus da uno sconosciuto ragazzino, o ancora la sequenza in cui, all'ospedale, dopo un parto appena concluso, un'infermiera raggiunge la sala d'aspetto, chiede alla troupe lì riunita “chi è il padre?”, e a quel punto nessuno risponde ma l'intera brigata, in silenzio, sorridendo sorniona, entra nella stanza della ragazza per vedere il neonato, lasciando trionfare il simbolismo della famiglia allargata. Il tutto per giungere infine a un epilogo prevedibile ma non per questo meno toccante.
Caotico, slabbrato, suggestivo, Les Ogres è un lavoro che, al netto dei suoi difetti, lascia in eredità emozioni concrete e messaggi positivi. Uno di quei film che instilla qualche dubbio durante la visione ma resta poi impresso a fondo nella testa, convogliando ricordi belli, freschi e genuini. Un cocktail inebriante e dal sapore deciso, dedicato, per usare le parole della stessa regista, a “les hommes et les femmes qui abolissent la frontière entre le théâtre et la vie pour vivre un peu plus fort, pour vivre un peu plus vite".
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose
Scheda tecnica
Titolo originale: Les Ogres
Regia: Léa Fehner
Sceneggiatura: Léa Fehner, Catherine Paillé e Brigitte Sy
Fotografia: Julien Poupard
Musiche: Philippe Cataix
Montaggio: Julien Chigot
Durata: 138'
Anno: 2016
Uscita italiana: 26 gennaio 2017
Attori: Adèle Haenel, Marc Barbé, Lola Dueñas, Inès Fehner, François Fehner, Marion Bouvarel