Léo è allo sbando. Un ragazzo perduto, uno dei tanti. Gli unici amici, o presunti tali, sono i “colleghi” con cui condivide la strada e gli sballi. In particolare un coetaneo di origine maghrebina, di cui è innamorato, senza peraltro essere ricambiato fino in fondo. Così, tra un veloce blow job a 20 euro e appuntamenti più lunghi a casa dei partner di turno, giovani, anziani, disabili, esperti, novizi, timidi o psicopatici a seconda dei casi, e tra eccitanti giochi di ruolo e situazioni malsane e degenerate, la vita vagabonda di Léo scorre impetuosa e immobile, navigando verso l'autodistruzione.
Presentato a Cannes alla Semaine de la Critique nel 2018, candidato ai César 2019 come miglior opera prima e non distribuito in Italia, Sauvage è il lungometraggio d’esordio di Camille Vidal-Naquet, classe 1972, già autore di corti piuttosto apprezzati. Il suo film è il ritratto moderno e spietato di un ragazzo senza tetto né legge, per citare il capolavoro di Agnès Varda con cui condivide il nichilismo del protagonista, errante un po’ per scelta un po’ per necessità, privo di legami familiari e mancante di ogni tipo di confine morale. Un animale barbaro, almeno in apparenza, che trasforma la sua omosessualità in un lavoro e sfrutta il sesso come arma di sostentamento, salvo poi bruciare subito ogni guadagno sotto l’egida imperante della droga. Se l’indimenticabile antieroina della Varda era una misteriosa ragazza venuta dal mare, il Léo di Sauvage è un soggetto nato direttamente dalla/sulla strada, perlomeno all’interno dei confini narrativi. Nulla infatti ci viene detto riguardo al suo passato, ai probabili traumi subiti, al percorso che lo ha condotto verso questa esistenza spericolata.
Nello schema del film non esiste un prima e un dopo: soltanto l’attimo, il presente, aspro e brutale, analizzato sia nella specificità della figura dominante della messinscena, sia con uno spettro rappresentativo più ampio, atto a mostrare le dinamiche della comunità dei prostituti gay. Questo secondo aspetto dona forza e spessore all’opera di Vidal-Naquet, bravo a mettere in scena i contrasti e le sfumature di un micro-mondo che si snoda attraverso una realtà parallela perlopiù sconosciuta alle persone che stringono tra le mani una vita “normale”, eppure non tanto diversa nelle sue connotazioni situazionali ed emotive. Anche tra i ragazzi di strada non mancano infatti amori anelati e perduti, amicizie sincere e fasulle, rapporti di potere, malcelate invidie, accecanti gelosie, egoismi e solidarietà, regole esplicite e implicite: un universo a sé stante ma in fondo simile a tanti altri, ritratto dal regista con la giusta lucidità ed efficacia.
Sauvage è dunque l’attento disegno della prostituzione giovanile nel mondo omosessuale, ed è al contempo il disvelamento di un carattere specifico, quello di Léo, tra le cui pieghe si assestano sentimenti che vanno oltre il mero afflato masochista. Usato spesso come (im)puro strumento di piacere con cui soddisfare ogni voglia senza alcun ritegno, il protagonista del film è in realtà un’anima smarrita che cerca disperatamente anche (e soprattutto) un po’ d’amore, tanto da gioire per una notte “calme et tranquille” da trascorrere accoccolato nel letto di un cliente con il triplo dei suoi anni. Nella mente di Léo non c’è futuro, non ci sono progetti. La strada è l’unico territorio che padroneggia. La strada gli fornisce persino l’acqua con cui abbeverarsi. Tuttavia, negli angoli del suo sguardo, si comprende un grande, enorme desiderio di essere amato, in contrasto con l’insopprimibile bisogno di libertà. Un conflitto di difficile risoluzione.
L’esordio di Vidal-Naquet si nutre di profonde opposizioni. Assistiamo a scene di sesso esplicite (qualcuna non simulata) e sequenze forti e sgradevoli (un metodo “innovativo” per derubare un cliente e un tentativo di sodomia a dir poco “estremo”), eppure non mancano abbracci, con le persone e con la stessa Madre Terra, e momenti di tenerezza. Ci sono sequenze in discoteca con musica pompata ad alto volume ma anche attimi di silenziosa quiete. Violenze ma anche delicatezze. Un mix ben congeniato, che non accusa sfaldamenti né traiettorie banali.
Se prima si è citata la Sandrine Bonnaire di Sans toi ni loit, in realtà tanti sono i riferimenti cinefili che si possono qui chiamare in causa: i ragazzi di vita di Pasolini, i primi lavori di Gus Van Sant, la seminale e irrinunciabile lezione dei Dardenne, la carnalità sfrontata di Kechiche, Flesh di Paul Morrissey e non ultimi gli Eastern Boys di Robin Campillo. A tal proposito va sottolineato che il bravissimo interprete Félix Maritaud, nella realtà attore pornografico molto conosciuto nell’hard gay e ora in rampa di lancio nel cinema “tradizionale”, ha recitato anche nel premiatissimo 120 battiti al minuto dello stesso Campillo. La pellicola, ambientata a Strasburgo, non si limita comunque alla semplice derivazione e riesce a imporre un’identità propria e vincente.
Dolente nota a margine: dopo il passaggio a Cannes, Sauvage è stato distribuito in Francia e poi in Germania, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Spagna. In Italia nessuno, al momento, si è azzardato ad acquistarlo. Lo si è visto solo in un festival a tematica LGBT a Torino. D’altronde, è facile pensare come un film di questo genere da noi sarebbe impossibile da realizzare, anche soltanto da immaginare. E va da sé, quasi nessuno lo andrebbe a vedere al cinema. In un paese ancora così bigotto e retrogrado, non c’è spazio per alcun sauvage. Ma questa, purtroppo, non è una novità.
Ciò non impedisce il recupero di un’opera assolutamente apprezzabile: cruda, in qualche tratto perfino scioccante, eppure realistica, intensa, coraggiosa e non priva di dolci sospiri d’amore.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose
Scheda tecnica
Titolo originale: Sauvage
Anno: 2018
Durata: 99’
Regia: Camille Vidal-Naquet
Sceneggiatura: Camille Vidal-Naquet
Fotografia: Jacques Girault
Montaggio: Elif Uluengin
Musiche: Romain Trouillet
Attori: Félix Maritaud, Eric Bernard, Nicolas Dibla, Philippe Ohrel