ORIZZONTI DI GLORIA - La sfida del cinema di qualità
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CANNES 66 - La vie d'Adèle, di Abdellatif Kechiche

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Occhi, sorrisi, lingue, sesso, saliva, due corpi appesi al piacere. Il nuovo film di Kechiche, premiato con la Palma d’Oro ed educazione sentimentale di una giovane donna che scopre l’amore vero e totale nel rapporto con una ragazza, è un lavoro di torrenziale bellezza e meraviglia in cui la vita entra da ogni poro, generosa e prorompente. 
Davide Eustachio Stanzione

CANNES 66 - Like Father, Like Son di Hirozaku Kore-eda

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Inserendosi nel solco dei temi trattati nelle pellicole precedenti, l'ultimo lavoro di Hirokazu Kore-eda guarda al cinema di Ozu, colpisce per la disarmante semplicità e per l'intensità emotiva che riesce a trasmettere, e vince con pieno merito il Premio della Giuria a Cannes.
Maria Lucia Tangorra

CANNES 66 - A Touch of Sin, di Jia Zhang-ke

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Storie, frammenti, intarsi; organismi sfibrati dall'incertezza, bagnati dal dolore, consumati dalla lotta per la vita; attimi di passione, esplosioni di ferocia, rivoli di sangue e disperazione; Jia Zhang-ke alle prese con esausti microcosmi alterati dalla realtà sociale della Cina, mai come ora soffocata dalle contraddizioni.
Alessio Gradogna

CANNES 66 - Salvo, di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia

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Un’opera prima di questo livello non può che rendere orgogliosi: gli esordienti Piazza e Grassadonia danno vita a un film che sfugge al racconto tradizionale a tutto vantaggio della resa metafisica di un microuniverso siciliano tumefatto e funereo, in cui l’amore penetra solo tardivamente, scatenando però una luce abbagliante.
Davide Eustachio Stanzione

CANNES 66 - Un chateau en Italie, di Valeria Bruni Tedeschi

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Il terzo lavoro da regista di Valeria Bruni Tedeschi è un film esile e ambizioso che cade trafitto dalle sue stesse pretese. L’attrice italiana trapiantata in Francia ingolfa la sua opera di nevrosi, tic e autobiografismo, ordendo una mistura di tonalità che più che trovare un equilibrio risulta solo irritante e fasulla in ogni componente. 
Davide Eustachio Stanzione

CANNES 66 - Jeune et Jolie, di François Ozon

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Accolto da una dura polemica relativa ad alcune dichiarazioni di Ozon, Jeune et Jolie ha ricevuto dalla stampa critiche piuttosto negative. In molti casi frettolose. La storia di Isabelle, ragazza di 17 anni che si prostituisce solo per il gusto di farlo, accoglie invece in sé i pregi di una sceneggiatura raffinata e di raro acume.
Alessio Gradogna

CANNES 66 - Nebraska, di Alexander Payne

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Forse il miglior film di Payne, il più compiuto ed equilibrato, il più profondo e poetico. Un sogno che vive nella densità colma di malinconia del bianco e nero saturo in cui l'autore avvolge la sua storia, racchiusa negli occhi da talpa miope, vitrei e nerissimi dello strepitoso Bruce Dern, premiato come miglior attore.
Davide Eustachio Stanzione

CANNES 66 - Le passé, di Asghar Farhadi

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Una conferma del talento di Farhadi, regista capace di trarre il massimo dai suoi attori e dalla tensione drammatica del racconto. Sebbene l’intreccio e le azioni dei personaggi sembrino ben più preordinati rispetto a Una separazione (dal guardare in camera si passa alle mani intrecciate in grembo, per intenderci), l’efficacia resta comunque indubbia.
Davide Eustachio Stanzione

CANNES 66 - The Immigrant, di James Gray

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Una fuga dalla guerra e dal dolore, alla ricerca della Terra Promessa. Inganni, violenza, umiliazioni, senza però rinunciare al sogno. Il talento sopraffino di James Gray al servizio di un'attenta e fedele ricostruzione storica, per un melodramma di fuoco con Joaquin Phoenix e una splendida Marion Cotillard.
Alessio Gradogna

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