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L’AMOUR ET LES FORÊTS, di Valérie Donzelli

13/12/2023

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Chi conosce il sottoscritto, sa bene quanto incondizionato amore ci sia da queste parti nei confronti di Valérie Donzelli, autrice/attrice come poche capace di regalare sempre spensieratezza e belle sensazioni, grazie alla sua bravura, genuinità, creatività, irriverenza. Forte era dunque la curiosità di approcciare il suo nuovo film da regista, L’amour et les forêts, tratto dall’omonimo romanzo di Éric Reinhardt, in cui peraltro scoprire una Valérie molto diversa rispetto alle consuete e felici connotazioni che nel tempo l’hanno resa così speciale.

Qui, infatti, abbandoniamo la gioia, le tourbillon de la vie di opere trascinanti e scatenate come Main dans la main e Notre dame, per immergerci nel percorso di una donna alle prese con dolci voli dell’innamoramento che poi deflagrano in una nebbia di tormento e disperazione.

Tutto inizia con il casuale incontro tra Blanche e Greg, da cui scaturisce subitanea una passione totalizzante, insaporita da una ricetta a base di frasi romantiche, soavi passeggiate, armonia fisica e spirituale. Per lei, idealista, al contrario della disincantata sorella gemella, il rapporto con quest’uomo caduto all’improvviso dal cielo dei sogni assume i tratti del romanzo divenuto realtà. Il sentimento vero, profondo, cercato da sempre, nel respiro di una favola meravigliosa di cui cogliere i frutti; anche perché, a una certa età, «J’ai plus envie d’être sage».

Blanche abbandona il mare della Normandia e la famiglia per seguire lui altrove, resta incinta, lo sposa, compie rinunce, accoglie tutti i suoi desideri. Siamo però al via di una strada pericolosa: la venerazione assoluta di Greg per la donna un po’ alla volta muta traiettorie e accoglie storture di possesso, dominio psicologico, controllo ossessivo, sopraffazione. Nessuna violenza fisica (almeno sino a un certo punto), bensì un sottile e infido scavo mentale. Blanche si intorpidisce e indebolisce, sente sensi di colpa che non dovrebbe affatto avere, comprende infine di essere stata chiusa in gabbia ma non ha la forza di uscirne. La coltre di buio si fa di giorno in giorno più spessa, e quando finalmente si attua un moto di ribellione allo stato delle cose, ecco aprirsi le fauci di conseguenze devastanti. 

Il sunto dell’opera lascia intendere come si navighi in territori ben lontani dai titoli di Valérie sopra citati. Casomai, perlomeno nella prima parte, possiamo rintracciare qualche lieve contatto con l’incompreso Marguerite et Julien. È proprio nella fase inaugurale del film che la regista inserisce quel tocco tipicamente suo, colorato di ardore e originalità. L’avvicinamento tra Greg e Blanche si estremizza riempiendosi di suggestioni da fiaba, la fotografia sfiora coordinate da fotoromanzo, i personaggi cantano in macchina accarezzando il musical. Si riconoscono tratti brillanti e peculiari del cinema Donzelli. 

Mentre la narrazione prosegue, lo stile di ripresa invece si rabbuia, in parallelo con la prigionia fattuale ed emotiva in cui precipita la protagonista. Una deriva abbastanza schematica che toglie magari un po’ di personalità all’insieme ma non per questo ne smarrisce l’efficacia. La sceneggiatura, scritta insieme ad Audrey Diwan (L’événement), non perde di solidità e fa risaltare le caratteristiche dei personaggi, la violenza implicita ed esplicita, compiendo ellissi intelligenti e insistendo su scene soffocanti eppure essenziali per l’economia del racconto. Ne esce un amaro ritratto di donna manipolata, adorata (in apparenza) ma poi come tante calpestata nella sua dignità, vittima di un soggetto maschile nella cui mente confusa mordono gelosia, pazzia, infantile insicurezza, continuo bisogno di conferme e bieca mostruosità.

L’amour et les forêts, uscito a maggio 2023 in Francia e molto apprezzato in patria sia dalla stampa che dal pubblico, si innalza sullo splendore di Virginie Efira, alle prese con doppio ruolo (Blanche e la gemella Rose) e un tour de force intriso di cangianti sfumature, dai sorrisi radiosi alle rughe dell’afflizione, da sensuali nudità a commiserazione e vergogna, dall’illusione al terrore. Accanto a lei un valido Melvil Poupaud, attore irreprensibile da cui non ci si può mai aspettare nulla al di fuori della pienezza interpretativa.

La loro danza fuori equilibrio si sviluppa lasciando spazio a citazioni letterarie (Racine, Molière), risvegli forzati, interrogatori sfibranti, inserti linguistici forse semplici ma idonei al contesto (le inquadrature con lui davanti messo a fuoco e la donna dietro sfocata), atti barbari cui si fatica a dare il giusto nome, aiuti silenziosi e preziosi. Sino a un’ultima, bellissima immagine, nella quale il viso di Blanche incarna al meglio un mélange di logoramento, tracce di residuo timore ma soprattutto ritrovato coraggio. Il coraggio di voler essere di nuovo libera. Senza più catene.

«Ho amato anche tutte le lacrime che ho versato per te.»

Alessio Gradogna


Sezione di riferimento: La vie en rose

Scheda tecnica

Titolo originale: L'Amour et les forêts
Titolo internazionale: Just the Two of Us
Anno: 2023
Regia: Valérie Donzelli
Sceneggiatura: Audrey Diwan, Valérie Donzelli
Fotografia: Laurent Tangy
Durata: 105’
Attori: Virginie Efira, Melvil Poupaud, Dominique Reymond, Romane Bohringer, Virginie Ledoyen

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L'ARMÉE DU CRIME - Morire per la libertà

8/4/2014

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Morti per la Francia. Morti per la libertà. Morti in nome di un ideale con cui vendicare i soprusi della dominazione. Ventidue uomini e una donna, partigiani comunisti, pronti ad ammazzare pur di combattere l'occupazione nazista a Parigi durante la Seconda Guerra Mondiale. Una squadra compatta nel sentimento ma diversificata nella provenienza geografica e culturale: francesi, spagnoli, armeni, americani, italiani. Con loro, intorno a loro, mogli e madri, fratelli e padri, avvolti ogni giorno nella paura di veder uscire di casa le persone amate e non ritrovarle mai più. Un piccolo esercito che uccide i soldati tedeschi in strada, fa scoppiare bombe nelle librerie, si insinua nelle feste di regime per lasciare un segno indelebile, dipinto nel sangue, simbolo di una battaglia per la quale sopportare tutto, fughe e privazioni, torture ed esecuzioni, sventolando il vessillo dell'indipendenza.

La retrospettiva integrale dedicata a Robert Guédiguian durante il Bergamo Film Meeting 2013 si è rivelata un evento di altissimo spessore cinefilo, una delizia a cui è stato un piacere e un privilegio partecipare. A un anno di distanza torniamo con piacere nell'universo del bravissimo autore francese, per raccontare un lavoro, uscito nel 2009 e presentato fuori concorso a Cannes, che in apparenza si situa assai lontano dalle abitudini del regista marsigliese. In L'armée du crime Guédiguian abbandona i sobborghi cittadini e la contemporaneità operaia, protagonisti di tutta la sua carriera, per rielaborare una storia ambientata nel passato e realmente accaduta. Il film narra la formazione della banda capitanata da Missak Manouchian, attraverso microstorie che seguono i singoli personaggi dai primi isolati tentativi di ribellione sino all'approdo nel contingente terroristico, per poi giungere all'inevitabile repressione dell'organizzazione e al suo smantellamento.
A un primo livello di lettura, l'opera in questione parrebbe presentarsi come un oggetto totalmente estraneo alla poetica guédiguiana, fedele a se stessa tanto da girare sempre “lo stesso film” trovando però ogni volta significazioni nuove e apprezzabili. In realtà, invece, L'armée du crime non naviga così lontano dai topoi classici dell'autore, e non ne rinnega affatto le connotazioni essenziali: anche qui, infatti, pur in un contesto assai differente, assume un ruolo primario la centralità del nucleo familiare, fulcro intoccabile da cui dipanare i fili del racconto. I partigiani parigini e gli operai del vecchio porto di Marsiglia sono in fondo due facce della stessa medaglia, raccolta nel bisogno di lotta come affermazione al contempo individuale e sociale. Anche qui, inoltre, il senso primario dell'umana solidarietà raggruppa i protagonisti in piccoli nidi in cui stringersi tutti insieme per difendersi gli uni con gli altri, senza limitare le scelte private ma offrendo sempre un riparo e una spalla, una minestra calda e un sorriso, un letto e un abbraccio.
Per realizzare il suo film forse più ambizioso, Guédiguian prende in mano la vicenda reale e la modifica per aumentare e sottolineare l'intento pedagogico, avendo peraltro l'umiltà di ammetterlo senza remore in una didascalia che appare prima dei titoli di coda. In una narrazione che non ha un vero e assoluto protagonista, il minutaggio maggiore è però riservato a Manouchian, capo della banda, non a caso di origine armena (così come lo stesso Guédiguian), intorno al quale si muovono una serie di figure abili a comporre un mosaico non privo di fascino. Certo, in qualche punto il ritmo si avvicina a certe limitazioni para-televisive, e il sopracitato intento pedagogico talvolta finisce per legare la messinscena in qualche schematismo di troppo. Ma le imperfezioni nulla tolgono a un lavoro che sa colpire nel segno, dichiarare con coraggio la sua verità, ed emozionare senza cadere nel facile pietismo.
L'armée du crime, ignorato dai distributori italiani, interessati alle pellicole francesi quasi soltanto quando si parla di commedie, resta abbastanza lontano da autentiche gemme come Marius et Jeannette, La ville est tranquille, Marie Jo et ses deux amours, À la place du coeur e il recente Les neiges du Kilimandjaro (tutti titoli assolutamente da recuperare per chi ancora non li conoscesse), ma ancora una volta dimostra l'intelligenza di un regista a suo modo unico, per l'acutezza e la passione con cui riesce ogni volta a raccontare un preciso e palese punto di vista sulla realtà senza mai perdere di vista l'amore per il cinema. 
Siccome poi, come si diceva poc'anzi, anche qui il senso della comunità assume un ruolo fondamentale, una volta di più la finzione e la realtà trovano il consueto punto di contatto, imprescindibile per un uomo capace di creare un gruppo di lavoro che lo ha accompagnato con assoluta fedeltà nell'arco di una carriera ormai lunga tre decadi. I due ruoli principali sono affidati al bravo Simon Abkarian e a Virginie Ledoyen, radiosa e splendente nonostante qualche limite interpretativo, ma accanto a loro ecco apparire i tre attori-feticcio di sempre: la magnifica Ariane Ascaride (compagna di vita e di schermo da tantissimo tempo), l'irresistibile Jean-Pierre Darroussin (alle prese con un personaggio assai contraddittorio) e il puntuale Gérard Meylan (in una piccola parte). 
Loro, davvero, non possono mai mancare, perché il prezioso cinema di Robert Guédiguian, lo ripetiamo ancora, è prima di tutto l'espressione di una straordinaria famiglia, da cui ogni volta ci lasciamo sedurre e abbracciare con tanta gioia.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Regia: Robert Guédiguian
Sceneggiatura: Robert Guédiguian, Serge Le Péron, Gilles Taurand
Musiche: Alexandre Desplat
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Bernard Sasia
Anno: 2009
Durata: 139'
Attori: Virginie Ledoyen, Simon Abkarian, Robinson Stévenin, Jean-Pierre Darroussin, Lola Naymark, Ariane Ascaride, Grégoire Leprince-Ringuet.

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