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FATIMA - Le parole della speranza

7/4/2016

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Immagine
​Fatima è una donna di origine algerina, emigrata in Francia. Separata dal marito, vive con le due figlie, Nesrine e Souad, di 18 e 15 anni. Mentre le due ragazze sono cresciute nella società francese, integrandosi nella realtà che le ha accolte e imparando bene la lingua, la loro madre non è mai riuscita a compiere quel passo necessario per completare il suo processo di ambientamento nella nuova condizione territoriale.
​Fatima infatti si esprime male con il francese, ne comprende solo le frasi più semplici, non lo sa leggere né scrivere. Questo limite le crea molte difficoltà nella vita quotidiana, e acuisce la sensazione, anche dopo tanto tempo, di trovarsi ancora in un paese per certi versi estraneo.
Alle problematiche relative alla lingua si aggiungono le complicazioni inerenti la crescita delle figlie: la giovane Souad è ribelle, poco disposta al rispetto delle regole, poco interessata alla scuola e disprezza l'umile condizione della madre; Nesrine invece ha ambizioni maggiori, vuole intraprendere gli studi in medicina, ma ciò comporta elevate spese, che Fatima deve affrontare, con molta fatica, facendo le pulizie presso le case della gente borghese e in qualunque altro luogo le permetta di guadagnare i soldi necessari per pagare l'università alla figlia.
​Fatima è disposta a tutto pur di aiutare Nesrine ad avverare il suo sogno e garantirle così un futuro importante, mentre la ragazza, conscia dei sacrifici a cui la madre è costretta, sente su di sé il peso di non poter fallire.

Lo scorso 26 febbraio, alla cerimonia dei César, fu grande la sorpresa nel momento in cui una radiosa Juliette Binoche annunciò il premio come miglior film dell'anno, assegnato a Fatima di Philippe Faucon. Sembrava infatti che il duello per l'assegnazione del riconoscimento più importante avrebbe riguardato Mustang e Dheepan, favoriti della vigilia, con possibili alternative individuate in Marguerite e Trois souvenirs de ma jeunesse; nessuno aveva pronosticato il successo di Faucon. Con il senno di poi, a visione ultimata, diciamo subito che quella dell'Académie si è rivelata una scelta da applausi. 
​
Fatima, giustamente adorato dalla stampa in patria (molteplici i 5/5 nei giudizi delle riviste più importanti) è un piccolo e bellissimo lavoro che racconta, con piena forza e totale partecipazione, le acque movimentate in cui galleggia la vita di una donna che da un lato non ha mai voluto rinnegare la propria terra d'origine e le proprie radici, ma dall'altro non ha potuto agganciare compiutamente se stessa nel meccanismo sociale nel quale ha iniziato la sua nuova vita. La barriera linguistica, punto focale dell'intera narrazione, è l'atto fondante da cui si innalzano muri complessi, a causa dei quali la protagonista non riesce né a esprimere i suoi sentimenti più profondi né, spesso, a trovare la giusta chiave affettiva con cui affrontare i bisogni delle figlie, a loro volta circondate da codici lessicali assai diversi (il gergo “di strada” per Souad, le ostiche teorie esposte nei libri di testo per Nesrine), in entrambi i casi incomprensibili per la madre.
Pervasa da una costanza d'animo che le permette di affrontare i problemi con estrema dignità, Fatima si alza all'alba per iniziare lunghe ore di lavoro, indispensabili per il mantenimento di se stessa e soprattutto delle ragazze; il suo rapporto con la più giovane, Souad, è caratterizzato da un'altalena di incontri e (soprattutto) scontri, nei quali cerca in qualche modo di armonizzare la frenesia adolescenziale di una quindicenne refrattaria alle norme sociali, che oltretutto non perde occasione di denigrare la madre, accusandola di essere ignorante e incapace di fare qualsiasi cosa che non sia “pulire la merda degli altri”. La più matura Nesrine, invece, è destinataria di ogni tipo di aiuto da parte della genitrice, che le paga un appartamento in cui possa studiare in pace, le prepara da mangiare, le lava i vestiti; l'amore, però, causa anche effetti contrari, generando nella ragazza la pressione di dovercela fare a tutti i costi, perché “non posso permettermi di dire a mia madre che ho fallito”.
La frustrazione dovuta al non sapersi esprimere in francese trova finalmente uno sfogo quando Fatima inizia a tenere un diario, in cui, in lingua araba, scrive ciò che le accade, e soprattutto dà libero sfogo alle proprie emozioni. Grazie all'idioma che meglio conosce, la protagonista riesce così finalmente a far volare pensieri per troppo tempo trattenuti, evadendo dalle prigioni del cuore.

Tratta da Prière à la lune e Enfin, je peux marcher seule!, raccolte di pensieri e poesie scritte da Fatima Elayoubi, donna dunque davvero esistente (1) a cui il film si ispira, l'opera di Faucon esemplifica, una volta ancora, quei tratti caratteristici che rendono unico al mondo il cinema francese: la capacità di raccontare piccole storie di persone comuni con intelligenza e candore, senza mai scadere nel pietismo o nel didascalismo, evitando di lasciarsi trainare dalle facilonerie di una puerile spettacolarizzazione, ma senza al contempo rinunciare alle emozioni più pure (come dimostrato dalla commovente sequenza conclusiva).

1) La descriviamo riportando le parole dello stesso regista: “Fatima Elayoubi è venuta in Francia seguendo il marito, senza sapere né scrivere né parlare francese. Si è dunque dovuta accontentare di lavori umili. Ha fatto la donna delle pulizie per tanti anni. Nel frattempo, poco alla volta, piano piano, ha imparato il francese, da sola, cercando di decifrare ogni cosa che le passava sottomano. Oggi la sua capacità di espressione è ricca e minuziosa”.

Attuale in un momento in cui in Francia il dibattito sull'immigrazione è più vivo e controverso che mai, senz'altro superiore al tanto celebrato Mustang e in parte paragonabile al magnifico La loi du marché, per la sua efficacia nell'indagare temi importanti della realtà odierna, Fatima abbraccia e glorifica lo spessore interiore di una protagonista (interpretata dalla non professionista Soria Zeroual) il cui volto trasmette in ogni inquadratura una completa e genuina empatia, ponendosi come simbolo di tante donne forti che lottano in silenzio tutti i giorni per il benessere di chi sta loro accanto. Un viso che non si dimentica, risoluto ma anche estremamente dolce, così come quello della figlia maggiore (Zita Henrot, premiata con il César come miglior attrice emergente). 
Risiede proprio qui, nella dolcezza e nella speranza, l'ulteriore luce che fa brillare Fatima, splendido affresco in cui si segue e si mostra il dolore, ma dove non si perde mai la voglia di combattere, sorridere, vivere.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Titolo originale: Fatima
Anno: 2015
Regia: Philippe Faucon
Durata: 79'
Sceneggiatura: Philippe Faucon (dai libri di Fatima Elayoubi)
Fotografia: Laurent Fenart
Montaggio: Sophie Mandonnet
Attrici: Zita Hanrot, Mehdi Senoussi, Yolanda Mpele

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