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RESTER VERTICAL - Senza compromessi

2/12/2016

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​Léo è uno sceneggiatore. In fuga da tutto e in cerca di se stesso. Dovrebbe iniziare la stesura di un nuovo copione, ma le idee latitano. Così l'uomo si mette in viaggio, inoltrandosi nella regione della Lozère. Incontra un giovanetto per il quale mostra sin da subito un interesse non corrisposto; poi conosce una ragazza, una pastorella che aiuta il padre a portare le pecore al pascolo. I due si innamorano e fanno un figlio. Dopo il parto, però, la ragazza dimostra insofferenza nei confronti del neonato, lo trascura sempre più e alla fine se ne va. Léo si trova a dover badare da solo al bambino, mentre i soldi che gli erano rimasti a disposizione vanno a esaurirsi. Inseguito dal suo produttore il protagonista, insieme al figlioletto, prosegue un bizzarro pellegrinaggio che lo porta a doversi confrontare con il giovanetto di cui si era invaghito, con l'anziano uomo presso per il quale il ragazzino abita e con una sorta di sciamana che vive nei boschi, fino a trovare un approdo a casa del padre della (ormai ex) compagna. 

Tre anni fa Alain Guiraudie stupì la realtà cinefila europea con L'inconnu du lac (Lo sconosciuto del lago), opera splendente a tutti i livelli: messinscena, contenuti e forza visiva. C'era dunque molta curiosità nel pensare come sarebbe stato il successore di quel gioiello, e ci si domandava se l'autore avrebbe mantenuto lo stesso tipo di linee guida e se avrebbe osato allo stesso modo (o ancor di più). Guiraudie, probabilmente conscio della difficoltà di replicare la perfetta compattezza dell'opera precedente, ha invece scelto una strada molto diversa, costruendo una partitura totalmente anarchica con cui spiazzare lo spettatore in ogni istante.
In Rester Vertical, passato in concorso a Cannes e visto per la prima volta in Italia al Torino Film Festival, assistiamo a una sarabanda all'apparenza semi-farsesca, all'interno della quale si aprono però numerose tematiche tutt'altro che giocose: il senso di responsabilità di un padre, pur scapestrato, nei confronti del proprio figlio; il soffocamento interiore di una madre occlusa dai doveri della condizione genitoriale; la complessità delle relazioni interpersonali tra persone vittime di attrazioni “sbagliate”; la resistenza delle barriere sociali a frantumare i muri di omertà che ancora troppo spesso ci avvolgono. 
Léo, giullare alla deriva, è il volto che ci accompagna in un viaggio sbalestrato e fiammante, dove le teoriche direzioni principali della vicenda deviano sempre e comunque verso l'altrove, al punto che in certi momenti ci si chiede perfino se ciò a cui si sta assistendo corrisponda alla realtà o non risieda invece soltanto nella fantasia del personaggio. 
Guiraudie semina indizi e poi li nasconde con abilità, si diverte e ci diverte, dando sempre, peraltro, l'impressione di padroneggiare con mano certa e sicurissima la sua straniante e affascinante creatura filmica. L'autore francese conferma l'abilità icastica già mostrata ne L'inconnu du lac, la delicatezza fotografica e l'ottimo utilizzo delle scenografie naturali; al contempo, pur con fare bislacco, tesse una bellissima riflessione sull'emancipazione sessuale, anelato obiettivo per il quale poter provare attrazione carnale verso chiunque, superando qualsiasi confine di genere ed età, in un glorioso trionfo dell'amore fisico incondizionato. 
In Rester Vertical le scene hard sono limitate, ma assistiamo al primissimo piano di una vagina, a un parto in diretta, all'innamoramento di un uomo per il padre di suo nipote, alla sodomia/eutanasia tra Léo e un anziano in punto di morte. Quest'ultima, senza dubbio la scena clou, su cui già tremiamo all'idea di tagli censori nel caso di una futura (ma improbabile) distribuzione nostrana, è la coraggiosa e definitiva consacrazione di un'idea di sesso (e di cinema) che scaglia all'aria inibizioni e paure, timori intellettuali e connivenze morali, per farsi oggetto di desiderio viscerale e mirabile spregiudicatezza.
​
Il titolo del film è spiegato nel momento in cui Léo (Damien Bonnard) e il padre della ex compagna, durante il pascolo, vengono circondati da pericolosi e affamati lupi: per sopravvivere, per non farsi sbranare, è necessario non distendersi, nemmeno chinarsi, bensì restare in piedi, dunque in posizione verticale. Una metafora perfetta, per il film in sé e per l'opera artistica a tutto campo: non cedere alla paura e ai compromessi ma rimanere dritti, a testa alta, con sguardo fiero e occhi rivolti là, verso quel meraviglioso paesaggio chiamato libertà.

Alessio Gradogna

Sezioni di riferimento: La vie en rose, Torino 34


Scheda tecnica

Titolo originale: Rester vertical
Anno: 2016
Regia: Alain Guiraudie
Sceneggiatura: Alain Guiraudie
Fotografia: Claire Mathon
Montaggio: Jean-Christophe Hym
Interpreti: Damien Bonnard, Christian Bouillette, Laure Calamy, India Hair, Raphaël Thierry
Durata: 100'

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