Alain Resnais, maestro del cinema francese sin dai tempi di Hiroshima Mon Amour (1959), è morto il 1 marzo 2014, a quasi 92 anni. Si è spento pochi giorni dopo che il suo ultimo film, Aimer, boire et chanter, aveva ricevuto il premio Alfred-Bauer al festival di Berlino, e pochi giorni prima che uscisse nelle sale francesi, tanto che la pellicola è stata proiettata in anteprima in un cinema sugli Champs-Élysées proprio nel giorno del suo funerale.
A posteriori, diventa difficile credere come possa essere casuale il fatto che il commiato artistico di Resnais sia avvenuto con un'opera che parla soprattutto della morte, con un protagonista a cui resta poco da vivere e una scena conclusiva dedicata a un funerale. Viene da pensare, banalmente, che lo stesso autore abbia scelto questo soggetto in quanto consapevole di essere egli stesso giunto al capolinea di una vita comunque assai lunga e intensa.
Per il suo ultimo saluto al cinema Resnais ha scelto di portare sul grande schermo Life of Riley, opera di Alan Ayckbourn, drammaturgo inglese a cui si era già rivolto in passato per il dittico Smoking / Non Smoking (1993) e per Coeurs (Cuori, 2006), realizzando un testo filmico che guarda, una volta ancora e forse più che mai, alla commistione e fusione di molteplici identità stilistiche, amalgamate per creare un oggetto tanto bizzarro quanto affascinante.
Aimer, boire et chanter è, innanzitutto, un'Ode alla creazione artistica in quanto essenziale e sconfinato atto di libertà; un'organica sarabanda che danza tra scenografie di cartone, disegni che illustrano i luoghi in cui si svolge il racconto, personaggi che entrano ed escono dal “palco” come se fossimo a teatro, recitazioni volutamente sopra le righe, monologhi su sfondo bianco e nero, ambienti disadorni, inserti al limite del grottesco, lunghi piani sequenza contrapposti a scene brevissime; un pastiche in apparenza caotico ed eccessivo, che sa però trovare il giusto equilibrio grazie alla delicatezza di tono che sempre ha caratterizzato l'autore, qui più che mai pronto a giocare con campi e fuori campi, attese e sorprese, distesi sorrisi e amare riflessioni.
In fondo, per definire meglio il concetto di rappresentazione caro a Resnais, è sufficiente usare le parole di Sabine Azéma, sua Musa nella finzione e nella realtà, tanto da averlo accompagnato negli ultimi 26 anni della sua vita: “non è importante definire l'opera, non è importante che sia cinema, teatro o un musical; l'unica cosa che davvero conta è lo spettacolo”.
È proprio qua, sull'onda di un'idea di cinema che non ammette barriere, il segreto per ammirare senza riserve il lascito di un grande innovatore, il cui lavoro assolutamente non si perderà nell'oblio del tempo: un micro-universo amorale dove volano come libellule, per l'ultima volta, i suoi attori, in molti casi quelli di sempre, dalla sopracitata Sabine Azéma, scatenata e irresistibile, a un cangiante Michel Vuillermoz; da Sandrine Kiberlain, immancabile nei suoi film più recenti, a un arrabbiatissimo e semi-farsesco (ma con classe) André Dussolier, per arrivare a Hyppolite Girardot (altro fedelissimo di Resnais) e Caroline Silhol, che spesso alterna cinema, teatro e Tv. Sulla scena, dall'inizio alla fine, ci sono soltanto loro (tranne un'ulteriore e brevissima apparizione nell'epilogo), insieme a un protagonista invisibile, George Riley, capace di mutare di continuo il senso e le traiettorie della narrazione senza che lo si veda mai.
Solo sei attori. Troppo pochi? Affatto. Resnais non ha bisogno di nessun altro; i magnifici sei bastano per assemblare una messinscena audace e divertente, forse ostica per una certa fetta di audience (non a caso in Francia il film è stato molto amato dalla critica ma mediamente molto meno dal pubblico) ma sapiente e non priva di concetti tutt'altro che ordinari, nonostante la confezione teoricamente leggera e briosa. Il testamento artistico del regista di L'Année dernière à Marienbad (1961) è infatti un piccolo trattato sul riscoprire se stessi, sul ritrovare memorie e sapori annacquati dagli anni ma sempre presenti dentro ognuno di noi, sulla capacità di comprendere l'importanza della persona che si ha accanto prima che sia troppo tardi e che la si perda per sempre. Inoltre, fattore non meno significativo, Aimer, boire et chanter è un inno alla vita, a godere di essa, a non lasciarla scappare via, a non accettare che le malinconie e la ruggine sedimentata nel fondo delle incomprensioni cancellino la voglia di provare a essere felici.
Resnais ci saluta così, con un pizzico di gioia e una spolverata di magia; noi lo ringraziamo, tanto, per tutto quello che ci ha dato.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose
Scheda tecnica
Titolo: Aimer, boire et chanter
Regia: Alain Resnais
Sceneggiatura: Laurent Herbiet, Alain Resnais (da Life of Riley di Alan Ayckbourn)
Montaggio: Hervé de Luze
Musiche: Mark Snow
Fotografie: Dominique Bouilleret
Anno: 2014
Durata: 103'
Attori: Caroline Sihol, Michel Vuillermoz, Sabine Azéma, Hippolyte Girardot, Sandrine Kiberlain, André Dussollier