Una serata piena di tensione, condotta tra mille difficoltà da Florence Foresti nell’arduo tentativo di restare in precario e balbettante equilibrio tra distensione e rivendicazioni, imbarazzi e frenesia, autoironia e frecciate, gag riuscite (un bellissimo sketch con Isabelle Adjani) e interventi discutibili. Clima dunque a dir poco turbolento, in conseguenza del putiferio nato dopo le nuove accuse di stupro recentemente rivolte a Polanski, a cui si sono aggiunte le dimissioni collettive dei membri dell’Académie des César pochi giorni prima della cerimonia, in nome di una maggiore trasparenza e dell'esigenza di condizioni paritarie tra uomini e donne.
Insomma, quella che doveva essere una festa del cinema (i César sono l'equivalente francese degli Oscar) si è invece tramutata in un gran caos, prima, durante e dopo. Con dissensi comprensibili e condivisibili, ma anche esagerazioni e cadute di stile perfino grottesche. Sì perché se da un lato è sacrosanto l’uso del termine “honte” volto al rispetto e alla richiesta di giustizia per le donne umiliate e molestate, ci è però al contempo parso “honteux” (vergognoso) il modo in cui Jean-Pierre Darroussin, attore che abbiamo sempre adorato, ha volutamente storpiato il nome di Polanski quando ha aperto la busta al cui interno si svelava il primo premio della serata a lui destinato, quello per il miglior adattamento. Un’idea davvero pessima, che mai ci saremmo aspettati da un personaggio di tale classe. Così come ci è sembrato “honteux” il tentativo, peraltro fallito, di boicottare un film (J’accuse) nel quale hanno lavorato con impegno centinaia di persone che nulla hanno a che fare con le colpe, vere o presunte, di Polanski. Il cinema è fatto da tante persone, non da una sola, e le opere dovrebbero essere valutate secondo le loro qualità artistiche, indipendentemente da ogni altra questione, per quanto grave.
Infine, a nostro parere, è stata eccessiva e sbagliata anche la fuga dalla sala della Haenel e di Céline Sciamma dopo l’annuncio del secondo premio (la miglior regia) a Polanski, peraltro assente così come tutto il suo cast. La competizione automaticamente concedeva al discusso autore la possibilità di vincere, per cui, pur consapevoli del fatto che la Haenel si sia sentita emotivamente coinvolta a fondo in queste vicende, in quanto lei stessa ha dichiarato pochi mesi fa di essere stata vittima di abusi da parte di un regista, sarebbe stata magari più opportuna l’eventuale decisione di non presenziare all’evento, piuttosto che un gesto così plateale, traducibile in una mancanza di rispetto nei confronti dei colleghi.
Nella baraonda, ovviamente, tutto il resto è purtroppo passato in secondo piano. Negli organi di stampa si è parlato solo dell’affaire Polanski e quasi nessuno si è interessato agli altri riconoscimenti. Noi invece, innanzitutto, vogliamo celebrare con forza e con tantissima gioia l’inatteso premio come miglior attrice protagonista attribuito ad Anaïs Demoustier, per la sua brillante prova in Alice et le maire (Alice e il sindaco). Un verdetto imprevisto, in una eccezionale lista di candidate che prevedeva la stessa Haenel, Noémie Merlant, Karin Viard, Chiara Mastroianni, Eva Green e Dora Tillier.
Eppure, contro ogni pronostico, a trionfare è stata lei, Anaïs, interprete che seguiamo con grandissimo affetto sin da quando era ragazzina, tanto da aver visionato negli anni anche molti film da lei recitati mai usciti in Italia, dedicando inoltre ad alcuni di essi ampio spazio su queste pagine (le recensioni di À trois on y va, Au fil d’Ariane, Thérèse Desqueyroux, La fille au bracelet, Demain et tous les autres jours, tutti purtroppo qui non distribuiti). Un premio che consacra definitivamente la Demoustier nell’élite del cinema francese, e che in fondo ci piace sentire un pochino anche “nostro”, proprio per come l’abbiamo sempre apprezzata e applaudita, accompagnandone la "crescita", di età e di maturità professionale. Il suo discorso di ringraziamento dopo la chiamata sul palco si è tramutato nella perfetta sintesi dei suoi pregi d’attrice: freschezza, spontaneità, genuinità, ironia, coraggio, intelligenza. Un luminoso raggio di sole che ha letteralmente illuminato la scena.
Abbiamo inoltre il piacere di festeggiare i tre premi portati a casa dal delizioso La belle époque di Nicolas Bedos (scenografie, sceneggiatura originale e Fanny Ardant miglior attrice non protagonista), il premio al bravo Swann Arlaud per Grazie a Dio di Ozon e i successi del divertente Pile poil come miglior corto e del tenebroso horror ecologista La nuit des sacs plastiques come miglior corto animato: tutti lavori di notevole livello. Delusa della serata, in tutti i sensi, Céline Sciamma, per il suo splendido Ritratto della giovane in fiamme, a cui è stato attribuito solo il premio per la fotografia. Vincitore del titolo di miglior film, stavolta in accordo con i pronostici della vigilia, Les Misérables di Ladj Ly.
L’Académie des César, dopo certi comportamenti squallidi avuti nel recente passato (i reiterati sabotaggi ai danni di Abdellatif Kechiche, reo di usare metodi di lavoro “poco ortodossi”), stavolta ha scelto la strada opposta, sfidando a petto nudo le contestazioni popolari. Il pandemonio seguente a quel punto è diventato inevitabile. La cerimonia del 28 febbraio ha però proposto anche momenti emozionanti e ricompense meritatissime, il cui valore resterà immutato nel tempo.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose
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