Tornare a casa, dopo tanti anni, per riesumare le pagine della propria adolescenza. Liberarsi di un fardello mai espresso e mai risolto, lasciar fluire la collera, abbandonarsi ai rimpianti. Ritrovare le molteplici variazioni del proprio essere. Abbracciare il passato e trasporlo nel presente, tra una lacrima e un sorriso.
Sollevare il bagaglio dell'esperienza, valutare le scelte compiute e gli errori commessi. Ripensare, accarezzare. Odiarsi e insieme volersi bene. Scavare dentro, cercando una verità che non esiste. Incrociare strade e traiettorie, sapendo che quel che è stato mai più sarà.
Je me souviens...
Paul Dedalus si avvicina ormai alla mezza età. Dopo un lungo e volontario esilio torna nella sua Francia, dove in fondo sapeva che prima o poi sarebbe nuovamente giunto. Sollecitato dall'amante del momento incrocia le braccia dietro la testa e racconta alcuni fondamentali sprazzi di una giovinezza inquieta e tormentata. A lei, a noi, a se stesso.
Je me souviens...
L'infanzia, segnata da una situazione familiare complessa, con una madre malata e incline al suicidio e un padre incapace di riprendersi completamente dopo la scomparsa della donna. I primi anni dell'adolescenza, incapsulati in un viaggio in Unione Sovietica e in una pericolosa avventura in cui Paul cede il proprio passaporto a un coetaneo ebreo che sogna di fuggire e trasferirsi in Israele. Il graduale avvicinamento all'età adulta, con gli amici del liceo di Roubaix, i successivi studi di antropologia a Parigi, i fatti storici (la caduta del muro di Berlino) e soprattutto, sopra a ogni cosa, la lunga ed epica storia d'amore con la bella e fragile Esther, caratterizzata da momenti di intensa passione, dolorosi periodi di lontananza, reiterati tradimenti, infinite lettere spedite e ricevute in uno scambio epistolare dai toni ottocenteschi.
Fino ai giorni nostri, al ritorno a casa dopo anni trascorsi a compiere studi in Tagikistan, Kazakistan e Iran, alla convocazione per un interrogatorio nella sede della Direction Générale de la Securité Extérieure, all'incontro con un vecchio amico che come lui ha amato Esther e non l'ha dimenticata. Paul prima e Paul adesso, una persona diversa e insieme la stessa. Un altro da sé e un uomo allo specchio. Un'anima senza pace e un cuore ancora dolente.
Je me souviens...
Applauditissimo e premiato alla Quinzaine des Realisateurs di Cannes 2015, transitato in Italia solo in un paio di rassegne ma purtroppo non distribuito nelle nostre sale, Trois Souvenirs de ma Jeunesse segna il ritorno di Arnaud Desplechin a tematiche già sviluppate in Comment Je me suis disputé... ma vie sexuelle (1989), di cui il nuovo film è una sorta di prequel ancora una volta fondato sul personaggio di Paul Dedalus, novello Ulisse che torna a Itaca dopo un lungo viaggio profumato di vita e pericoli, illusioni e speranze, ardenti passioni e taglienti delusioni.
Desplechin ritrova Mathieu Amalric, suo attore feticcio, volto principale nel 1989 (insieme a Emmanuelle Devos), qui invece utilizzato come un anfitrione delegato a presentarci e chiudere la storia, per fornire il giusto trait d'union con l'opera di riferimento, in un racconto però nuovo e autonomo, durante il quale le coordinate basilari del biopic sono stravolte e reinventate con impressionante forza stilistica e alta qualità di scrittura.
Trois Souvenirs inizia come una partitura jazz, ipnotica e fluente, calda e ribelle, per poi cambiare totalmente registro e tramutarsi in un bruciante melò nel momento in cui si avvia la parte più consistente del racconto, ovvero quella dedicata al legame tra Paul ed Esther. Desplechin gioca con le attese, non si lascia ingabbiare in alcun modo e dà sfogo a tutte le proprie abilità, inventando in ogni istante uno e più film, alla stregua dei tanti Paul che ne accompagnano i rispettivi svolgimenti. L'autore utilizza Dedalus come proprio alter ego, rievoca segmenti della sua adolescenza (il principale luogo in cui il film è ambientato è Roubaix, non a caso paese di nascita del regista) e al contempo studia come un antropologo (il mestiere di Paul) le percussioni dell'anima della collettività degli anni Ottanta.
È tutto un andirivieni emozionale, un saliscendi di vibrazioni, un'orchestrazione narrativa che si muove con straordinaria scorrevolezza. È anche, non certo marginalmente, un romanzo dei sentimenti che sa alternare levità e spessore, inserti poetici (la linklateriana passeggiata sotto un cielo albeggiante) e sensualità, semplicità di tocco e buona efficacia nella composizione. È inoltre, con gusto mai invasivo, un lavoro intriso di cultura e citazioni letterarie, pittoriche, cinefile, sonore, nel quale si citano in modo più o meno palese James Joyce (Dedalus, 1916) e le poesie di Yeats, Freud e Platone, Lévi-Strauss e John Ford (in Tv scorrono le immagini de Il massacro di Fort Apache), sulle note di un'ampia compilation del periodo in cui si distende la vicenda. È infine, in modo tutt'altro che autocompiaciuto, un riassunto di se stessi, dove si utilizzano espedienti già ben sviluppati nella propria carriera, a partire dallo scambio epistolare con lettere declamate a voce alta (come in Rois et Reine, 2004) guardando verso la macchina da presa (in omaggio a Monica e il desiderio di Bergman) sino a giungere alla ramificazione del cinema corale di cui Desplechin è stato maestro (lo splendido Un conte de Noël, 2008).
Trois souvenirs de ma jeunesse è tutto questo, e anche di più. Un fiume in piena impetuoso come i suoi giovani protagonisti, entrambi debuttanti al cinema ed entrambi destinati a un futuro di successo: il bravo e affascinante Quentin Dolmaire (Paul), colui che non sente nulla perché protetto da una corazza peraltro molto meno salda di quel che sembra, e la tenera Lou Roy-Lecollinet (Esther), femme fatale arrogante, vanitosa e conturbante in avvio e poi incarnazione di una moderna Madame Bovary incapace di sopportare la noia dell'esistenza e l'angoscia della solitudine. Con loro il sempre magnifico Amalric, accompagnato dalla breve ma folgorante apparizione di un minaccioso Andrè Dussollier e da personaggi di contorno che lasciano il segno (la dolce insegnante originaria del Benin che non accetta Paul nella sua classe ma gli si offre come figura materna).
Sono visi impauriti e combattivi, decisi e storditi, confusi e infelici, racchiusi in un magma stilistico in cui Desplechin riesce nell'impresa di alternare strumenti grammaticali in teoria assai lontani (le iridi che riportano all'epoca del muto, gli split screen di concezione ben più moderna, la voce off) senza perdere mai né intensità né compattezza.
Souvenirs éternels...
Tornato a Itaca, Paul/Ulisse ricorda. Ci porta nel suo labirinto. Andiamo con lui. Studiamo gli angoli e le direzioni. Rileggiamo le pagine del nostro libro di vita, sfogliamo le parole mal dette e le azioni mal fatte, cerchiamo insieme un'uscita che non c'è. Un senso definitivo impossibile da nutrire. Un'agognata pace destinata a perdersi nel vento. Perché indietro non si può più tornare. Tutto ciò che importa è non dimenticare.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose, Cannes 68
Scheda tecnica
Titolo originale: Trois souvenirs de ma jeunesse
Regia: Arnaud Desplechin
Sceneggiatura: Arnaud Desplechin e Julie Peyr
Fotografia: Irina Lubtchansky
Montaggio: Laurence Briaud
Musiche originali: Grégoire Hetzel
Anno: 2015
Durata: 120'
Attori: Quentin Dolmaire, Lou Roy-Lecollinet, Mathieu Amalric, Olivier Rabourdin, Elyot Milshtein
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