(Francesco De Gregori, "Generale")
Prima Guerra Mondiale. Uomini al fronte. Figli e mariti che rischiano la vita per la patria. Nel frattempo, lontana dalle bombe, una fattoria. Immersa nel verde. Un luogo bucolico dove madri e mogli portano avanti l’attività di famiglia, lavorando duramente nei campi dall’alba al tramonto, ogni giorno. La semina, la mietitura, il raccolto. Il bestiame. Il sudore. La fatica. Senza pause. Nell’attesa del ritorno dei propri cari. Con la speranza di vederli riapparire da un momento all’altro lungo il viale che porta alla fattoria, congedati o perlomeno sgravati dalla battaglia per qualche giorno di permesso. Lo sguardo là, verso quel viale, con il sogno di riabbracciarli e allo stesso tempo il terrore di non vederli tornare più.
Settimane, mesi, scanditi dai ritmi incessanti del lavoro. Progettando il difficile acquisto di innovativi e costosi macchinari con cui alleggerire lo sforzo. Il caldo e poi il freddo, i mancamenti, la forza di volontà. Donne che vacillano ma resistono. Compiono scelte talvolta estreme per difendere la sacralità e il buon nome della famiglia. Si impegnano fino allo stremo per accumulare risparmi e darsi una qualsiasi possibilità di futuro. Donne che pregano di non ricevere la visita di un uomo vestito di nero attraverso il quale conoscere l’insopportabile notizia del soldato “morto con onore”. Donne che combattono la loro personale guerra e intanto amano. E sperano. Aspettando la fine dell’incubo.
Xavier Beauvois, attore e regista classe 1967, dopo alcune opere giovanili già molto apprezzate si era definitivamente imposto all’attenzione generale nel 2010 con lo splendido Des Hommes et des Dieux (Uomini di Dio), premiato a Cannes e vincitore di un meritatissimo premio César come miglior film francese dell’anno. In questo nuovo lavoro, uscito nei cinema francesi alla fine del 2017 e purtroppo al momento non distribuito in Italia, l’autore adatta per il grande schermo un romanzo pubblicato nel 1924 da Ernest Pérochon, la cui copia gli era stata regalata tempo prima dalla produttrice Sylvie Pialat ed era rimasta a lungo sul comodino prima che l’autore la leggesse e se ne innamorasse. Un romanzo ricco di tragedie, malattie e dolori, che Beauvois ha voluto parzialmente mitigare pur senza rinunciare all’inevitabile cupezza del contesto. Un buio interiore posto in piena antitesi con la straordinaria luce naturale di un luogo racchiuso nella bellezza atavica della natura.
Come in Des Hommes et des Dieux, anche qui il regista non rinuncia al lirismo, alla ricercatezza formale, alla bellezza estetica (incarnata dalla sontuosa fotografia di Caroline Champetier, non a caso la stessa operatrice del film del 2010, nonché di Holy Motors di Carax e Les Innocentes di Anne Fontaine), accompagnando lo spettatore in un immobile viaggio liturgico in cui si abbracciano i colori suadenti del bosco, dei fiori, delle spighe di grano. Eppure, in una confezione di notevole eleganza, Beauvois riesce a trovare anche concretezza, fornendo un incisivo ritratto di donne forti e coraggiose che portano sulle proprie spalle il costante peso della perdita ma riescono ad asciugare le lacrime e dedicare ogni stilla di energia ai campi, alle attività da svolgere giorno dopo giorno, al mantenimento della fattoria come obiettivo primario e intoccabile. Sfidando lo sfinimento e proseguendo sempre a testa alta, a denti stretti, chiudendo il loro cuore nel nome della saggezza oppure aprendolo a un desiderio di emancipazione e/o verso un genuino sogno d’amore.
Per oltre due ore anche noi stiamo là, alla tenuta dei Paridier, ipnotizzati davanti a un film in cui si parla poco e si lavora tanto, tantissimo. Lo stile di Beauvois, quasi sacrale e mai invasivo, accoglie panoramiche silenti, primi piani di volti scavati dallo sforzo, note solenni del grande compositore Michel Legrand e connotazioni vicine al western. Una visione che richiede un minimo di concentrazione, in teoria priva del puro elemento emozionale, in realtà fiera, intensa e toccante.
Per dare corpo e tangibilità alle sue protagoniste, Beauvois si affida alla sempre bravissima Nathalie Baye, alla discreta Laura Smet (madre e figlia nella vita reale, per la prima volta insieme su un set cinematografico) e alla debuttante Iris Bry. Accanto a loro alcuni uomini, presenze assenze con minutaggi inferiori, tra i quali si segnala Olivier Rabourdin (che ricordiamo ad esempio per l’ottimo Eastern Boys). Quattro nomination ai César per Les Gardiennes, compresa quella come miglior speranza femminile proprio per l’esordiente Iris Bry, il cui approdo nel mondo del cinema è stato a dir poco sorprendente. Si tratta infatti di una ragazza che non aveva alcuna esperienza di recitazione né alcun progetto di diventare attrice. Un giorno, per caso, all’uscita di una libreria, è stata notata dalla direttrice del casting Karen Hottois, che colpita dal suo viso l’ha inseguita e fermata per strada, chiedendole se fosse interessata a fare un provino per un film. L’ennesima dimostrazione di come, a volte, il destino possa davvero cambiare tutta una vita.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose
Scheda tecnica
Titolo originale: Les Gardiennes
Regia: Xavier Beauvois
Sceneggiatura: Xavier Beauvois e Frédérique Moreau (dal romanzo Les Gardiennes di Ernest Pérochon)
Montaggio: Marie-Julie Maille
Costumi: Anaïs Romand
Fotografia: Caroline Champetier
Musiche: Michel Legrand
Anno: 2017
Durata: 134’
Attori: Nathalie Baye, Iris Bry, Laura Smet, Cyril Descours, Gilbert Bonneau, Olivier Rabourdin, Mathilde Viseux-Ely