Tutti vogliono vedere la danzatrice, è la presenza evanescente che strizza l’occhio dal trailer del festival e dalle locandine: una protagonista silenziosa e tutta piena di mistero.
Mary - Louise Fuller, un nome che a molti non dirà nulla. Gli amanti della danza forse la conoscono, qualcuno ha digitato il suo nome su YouTube trovando qualche spezzone di filmato, ma è la regista, presente in sala, a fare chiarezza su questo punto: le ballerine filmate che sono arrivate a noi oggi, sono imitatrici. La verità è che la Fuller ha saputo dare una scossa al periodo storico in cui è vissuta, ma è scomparsa senza lasciare traccia. Quindi la Di Giusto ci prepara a una visione che assume i contorni di performance a tutto tondo: Soko, l’attrice che veste i panni della Fuller sullo schermo, è risalita alla sua particolare danza studiando il materiale reperibile. Come tale tutto ciò che stiamo per vedere è una finzione pericolosamente vicina alla realtà, una biografia postuma fatta di fiato, sudore e sforzo fisico.
Sin dalle prime scene veniamo aggrediti da un film che si annuncia intenso, feroce, polveroso e bestiale. La Fuller trascorre l’infanzia nel cuore di un bosco con il padre, ubriacone sempre pronto a capitare al centro di qualche rissa, unico vero amico per questa ragazza silenziosa e ruvida nei modi. Ha una cascata di capelli arruffati e un viso dalle espressioni schive, appare come un animale selvaggio e perennemente sulla difensiva. Si ha l’impressione di respirare la foschia del bosco, si annega nella miseria degli interni, ci si affeziona presto a questa ragazzina che legge versi a voce alta mentre là fuori suo padre viene crivellato dalle pallottole per un pareggiamento di conti.
Una vita che parte in salita e porta Mary - Louise a rifugiarsi nella Brooklyn del 1892, armata solo di un borsone e del cappello consunto di papà: approda così controvoglia alla residenza della madre che non vede da anni, sede del Movimento della Temperanza. In quell’ambiente claustrofobico e bigotto, la ragazza privata della fluente chioma a colpi di forbice inizia a guardarsi attorno, sperando di ottenere una piccola parte in uno spettacolo.
Pare che il suo destino sia segnato, ogni volta viene ingaggiata come comparsa ed è forse durante uno di quei mediocri spettacoli di vaudeville che ha inizio la vera favola della farfalla: viene costretta a indossare una gonna troppo ampia e, una volta sul palco, l’abito si affloscia scivolando ai suoi piedi e scatenando risa di scherno. Mary - Louise, con un guizzo imprevedibile di genialità, decide allora di sollevare quella lunga sottana e girare su se stessa. L’esperimento piace. I movimenti del tessuto distraggono il pubblico, un bambino seduto in sala esclama “è una farfalla!”.
È l’inizio di un mito che non troverà in America lo spazio che merita, ma darà uno scossone violento alla Parigi del primo Novecento. E occorre un nuove nome, Loïe.
Abbiamo dunque la possibilità di addentrarci fra i pensieri di una ballerina che non ha mai studiato danza, ma ha talento visionario e uno spiccato senso della pianificazione: Loïe traccia i suoi schizzi su un album da disegno e punta sicura all’Opéra di Parigi, soppesa i suoi veli di tessuto vibrante, crea una vera e propria macchina spettacolare sul proprio corpo.
Aiutata da bacchette di bambù si assicura le suggestioni di un’autentica apertura alare, chiede ai teatri di provvederla di proiettori per essere attraversata da luce colorata mentre intrattiene le platee piroettando fra le spirali di stoffa bianca. Smette così di essere donna e si consacra a farfalla, dea dei fiori e della luce, uccello selvaggio. Le sue braccia diventano grosse e muscolose, il suo corpo esile, da bambina, viene plasmato da un sacrificio estremo e appassionato. I giornali iniziano a parlare di “poema animato di fiori” mentre Loïe stringe amicizia con Louis (Gaspard Ulliel), nobile decaduto avvezzo a fare uso di etere: resterà al suo fianco, sfiorerà con timore le sue ali di farfalla, nutrirà un sentimento non corrisposto e la seguirà in un’avventura deliziosa, tragica, folle.
In breve Loïe mette in piedi la sua scuola di danza. Magnifiche le sequenze girate nel parco della villa di Louis, dove un gruppo di danzatrici vestite di veli bianchi allenano il corpo a ritrovare contatto con la leggerezza e la natura, rompendo gli schemi ferrei della danza classica. A guidarle è proprio lei, la ballerina venuta dal nulla, il fenomeno iridescente che tutta la Francia acclama a gran voce, la musa di artisti come Tolouse – Lautrec, l’icona dell’Art Nouveau.
Ma se il successo bussa alla porta, con l’ambito interessamento da parte dell’Opéra di Parigi, la tragedia si avvicina a grandi passi. Ben presto questa divina incarnazione di leggerezza incassa i colpi della sua arte pericolosa: il fisico debilitato la costringe a immergere spesso le braccia nel ghiaccio e le retine vengono bruciate dalle forti luci dei proiettori. Sappiamo, da ricerche successive, che il radium utilizzato per luci colorate stava intossicando la ballerina che sarebbe morta a causa di un cancro, anni dopo.
Soko è trasfigurata, la vediamo sempre più pallida, costretta a indossare occhiali scuri, incurvata dal dolore. Frattanto, alla scuola di danza, arriva Isadora Duncan (Lily-Rose Depp, figlia di Johnny Depp e Vanessa Paradis), la cui fama ottenebrerà quella di Loïe sullo schermo come nella realtà storica dei fatti. Per Loïe, dichiaratamente lesbica, Isadora è il colpo di grazia: un amore non ricambiato appieno, un flirt mosso solo dalla sete di successo della giovane allieva.
La Duncan viene dipinta come un’arrivista della peggior sorta: da sua affezionata studiosa non mi sono trovata pienamente d’accordo con questo affresco di lei, ma passa ugualmente in secondo piano davanti alla vicenda umana della Fuller. Perché per quanto sarà la Duncan a spiccare realmente il volo nel mondo della danza, alla donna – farfalla rimane il compito di raccontare un percorso umano ricco, doloroso, disperato.
Tutta l’attenzione è per Loïe. Questo film invita quasi a fermarsi un istante nella stanza con lei, a guardarla, a comprendere il suo dramma. Si scende in una voragine fatta di velo impalpabile e colorato, di bacchette, pesi, corde, di sentimenti repressi e cuori spezzati, di talenti in declino.
“Senza il mio abito non sono niente” confessa Loïe a Louis addormentandosi sul suo petto. La danseuse è il film che ora può finalmente contraddirla.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Festival Reportage
Scheda tecnica
Regia: Stéphanie Di Giusto
Sceneggiatura: Stéphanie Di Giusto, Thomas Bidegain, Sarah Thiebaud
Attori: Soko, Gaspard Ulliel, Mélanie Thierry, Lily-Rose Depp, François Damiens
Fotografia: Benoît Debie
Montaggio: Géraldine Mangenot
Anno: 2016
Durata: 108'
Uscita italiana: 15 giugno 2017
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