A guidarci sulle orme del regista Albert Maysles, purtroppo scomparso il 5 marzo 2015, è sua figlia Rebekah, presente in sala al fianco della produttrice Laura Coxson. Ricorda l’amore del padre per il cinema italiano e il neorealismo, ne evoca la presenza e descrive questo lavoro quasi come privato: girato da una troupe di quattro persone, con tre camere, per quattro anni di riprese. Come sottolinea Andrea Romeo, il film Iris (disponibile nelle sale americane da un mese e già divenuto un grande successo), si propone di raccontare una parte del talento, lo sguardo, l’umanità dei fratelli Maysles. Prendono la parola anche i fratelli Broche, definendo Iris una “diva della quotidianità, una performer d’arte che si veste tenendo conto della composizione e non dell’occasione”. Ma, nonostante queste validissime premesse, quando le luci si spengono ha inizio un bombardamento di colore sullo schermo, un turbine al quale nessuno dei presenti era realmente preparato.
“Il colore può svegliare i morti” sostiene Iris Apfel, l’uccello raro della moda, mettendosi al collo innumerevoli collane e girando su se stessa come al centro di una piccola sfilata privata. Così esile, fragile, vispa e terribilmente attiva a dispetto dei suoi novant’anni, Iris è un corpicino adrenalinico che cammina sotto montagne di piume e mantelle colorate. Le grandi lenti tonde e deformanti dei suoi occhiali dilatano a non finire uno sguardo chiaro e infantile, furbo e geniale. Dalle sue labbra dipinte di rosso spiccano il volo le battute più taglienti; è un’inesauribile fonte di eccentricità e saggezza e si mostra nella sua quotidianità davanti a quel regista che ordinò alla troupe “Dobbiamo avvicinarci, guardare dietro le sue lenti”.
Per più di settantacinque anni questa donna ha scritto il destino della moda, ha soffiato vita nelle tappezzerie della Casa Bianca e non solo, ha messo in piedi un’azienda tessile e assieme all’inseparabile marito Carl ha girato il mondo per catturare le ricercatezze e i tesori di ogni popolo. Tessuti storici, disegni introvabili, fantasie uniche; Iris è una delle più conosciute collezioniste di moda del mondo e la casa dove vive con l’amato marito è un incantevole rifugio traboccante di innocenti stravaganze. Dai numerosi giocattoli, alle statue, alle stanze quasi sempre chiuse dove i mille, preziosi, vistosissimi abiti di Iris stanno riposti.
Loro sono marito e moglie uniti nella ricerca della bellezza, senza figli per scelta perché “viaggiavamo tanto e nella vita bisogna pur rinunciare a qualcosa”. Ma Iris, con le sue battute al vetriolo e l’abitudine di girare per mercati trattando sapientemente sui prezzi, è molto più che una vecchia signora bizzarra. Lei è la storia della moda, quella moda che va creata più che seguita, quella dei grandi lavori manuali dei ricamatori e delle magnifiche tecniche andate perse: lei conserva ogni capo, lo riguarda e dice “Se si aspetta abbastanza, ogni cosa torna di moda”. Una vita da battagliera per affermare la propria sacrosanta individualità, condannando quelle case di moda che oggi “cambiano un bottone e credono di aver creato un modello”.
La sua fame di singolare bellezza nasce a undici anni, quando entra in una bottega del Greenwich Village e compra la sua prima spilla, dopo aver attentamente risparmiato sessantacinque cents, dando il via alla collezione mozzafiato che diverrà la sua ragione di vita. Iris Apfel è una delle prime donne coi jeans, modello destinato unicamente agli uomini, e tuttora si aggira per Harlem facendo incetta di bracciali, scialli e tuniche. “Per quanto la gente dica di non voler essere disturbata, credo che lo desideri molto” spiega Iris mentre cammina in una New York che rincorre l’eleganza optando per la sobrietà del nero.
Per lei, invece, l’eleganza è una sferzata di colori miscelati in accostamenti unici, una passione sfrenata per gli accessori e la bigiotteria, una spavalderia incredibile nell’indossare gli abbinamenti più azzardati. E l’amore muove questa macchina delle meraviglie: le dita di Carl (che in agosto compirà centouno anni) sono legate a quelle della moglie nel più forte e fiducioso intreccio; sono una coppia indivisibile nelle foto di ieri e nella dolce convivenza di oggi. Una poltrona, una tazza di tè, un po’ di umorismo e la loro casa che è specchio di un’esistenza avventurosa e magica dove la vecchiaia non è riuscita a piantare bandiera. Sono ancora giovani e innamorati, sono vivaci e curiosi esploratori del mondo, si preoccupano l’uno per salute dell’altra, si scambiano piccole tenerezze e godono dell’immortalità che si sono creati attorno.
Maysles avrebbe continuare a girare questo film all’infinito attratto dal piumaggio colorato di Iris, dal senso di rarità e unicità che è in lei, dal magnetismo dei suoi discorsi: ha lasciato questo mondo poco tempo fa, ma ha fatto in tempo a scattare una fotografia di nitida bellezza alla diva che l’aveva rapito.
Ed è proprio quella diva, urbana e quotidiana, agguerrita e senza tempo, coraggiosa e testarda, ad accarezzare il pubblico lasciando in dono la lezione più grande: “Sapete, è più importante essere felici che vestirsi bene”.
Questo ci dice. Fra fruscii, tintinnii e colori sgargianti, sotto quella montagna di abiti e accessori che hanno scritto un capitolo dello stile.
Il cinema si svuota dopo risate e applausi, ma si torna a casa sotto gli occhi di Iris: per l’undicesima edizione del Biografilm festival il volto della fashion guru troneggia come mascotte su cartelloni e borse di tela stampata.
Così è bello passeggiare in questa Bologna improvvisamente piena di colore e sfrontatezza.
Così è bello rincasare portando Iris a braccetto.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Festival Report
Scheda tecnica
Titolo originale: Iris
Regia: Albert Maysles
Montaggio: Paul Lovelace
Anno: 2014
Durata: 75'