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RNFF 13 - Cord, di Pablo Gonzalez

2/11/2015

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L'Apocalisse si è consumata. Il mondo è un'ombra sporca e piangente. I pochi sopravvissuti vivono sottoterra, in squallidi bunker, nutrendosi alla meno peggio, mentre intorno a loro la terra è immersa in un buio e freddo inverno senza fine. Gli svaghi della vita precedente non esistono più. Gli uomini sono ridotti a scheletri di se stessi. Gli unici bisogni ancora validi sono il cibo e il piacere sessuale. Quest'ultimo è però vietato dalle autorità, a causa delle condizioni insalubri dell'ambiente, responsabili di una situazione opprimente nella quale ogni minimo contatto fisico provoca gravi malattie.
​Per ovviare all'illegalità dell'accoppiamento, alcune persone hanno sviluppato dispositivi low-tech con cui giungere direttamente al cervello dei soggetti interessati, per stimolare una sorta di ibrida masturbazione che culmina in violenti e irrefrenabili orgasmi. Uno di loro, Czuperski, perfeziona le sue apparecchiature su se stesso e sul corpo di una ragazza sesso dipendente, stringendo un patto con lei, facendola diventare la sua cavia e spingendosi in avanti sino a toccare confini estremamente pericolosi.

Esordio nel lungometraggio di Pablo Gonzalez, colombiano, classe 1985, ma prodotto e girato in Germania, in virtù del fatto che il regista e il direttore della fotografia vivono a Berlino, Cord è stato presentato in anteprima europea al Ravenna Nightmare Film Festival, vincendo il concorso ufficiale e aggiudicandosi quindi il riconoscimento più importante della manifestazione, l'Anello d'Oro.
Il lavoro di Gonzalez è una sorta di fantahorror post-apocalittico, in cui l'autore prova a immaginare fosche proiezioni di un futuro nemmeno tanto lontano, metaforizzando paure sociali evidentemente legate alla contemporaneità. Cord è infatti se vogliamo la radicalizzazione di una tematica ben conosciuta e assai temuta, ovvero la preoccupazione legata alla trasmissione delle malattie sessuali, nonché un desolante atto d'accusa rivolto all'alienazione di un mondo, quello attuale, in cui il semplice contatto fisico è spesso dimenticato, a vantaggio di un'avvilente comunicazione interpersonale incentrata soltanto su amicizie e amori virtuali, schermi di computer e disperati tentativi di scartare la profonda solitudine che in molti casi ci circonda.
La realtà disegnata da Cord è dunque un mosaico deprimente in cui, defunto in modo pressoché definitivo ogni concetto legato a una sessualità libera e appagante, non resta che farsi aiutare da cavi elettrici tatuati nel corpo, strumenti freddi e impersonali (ma efficaci) con cui titillare le zone del cervello responsabili del piacere orgasmico. Una soluzione mortifera ma indispensabile, non solo per ovviare a un bisogno primario, ma anche e soprattutto per trovare attimi di consolazione e stordimento con cui combattere l'oblio di una vita in cui non ci sono più tracce di altre gioie o motivi di interesse.
Girato con soli tre attori (tra cui si segnala la brava Laura de Boer), con un budget limitato e quasi unicamente in interni, Cord riesce nell'intento di porsi come pellicola soffocante, a suo modo anche disturbante, grazie alla capacità di catturare lo spettatore portandolo a provare egli stesso un senso di afflizione e spaesamento. Per riuscirci Gonzalez rimesta nel torbido, elimina quasi tutte le fonti di luce e appiccica la macchina da presa ai pochi personaggi della vicenda, acuendo così la sensazione di asfissia; una scelta stilistica che forse sarebbe diventata stancante in caso di lunga durata, ma che invece risulta essere vincente dato il minutaggio limitato (70').
Nonostante alcuni problemi tecnici che hanno reso non semplice la visione ravennate, complicando la comprensione degli sviluppi della trama, e nonostante un finale un po' accartocciato, il film tedesco/colombiano offre buoni spunti di riflessione, imponendosi come bell'esempio di horror moderno che sa scavare nella melma della realtà per estrarne gli aspetti più lugubri. Un'operazione concreta, funzionale all'idea di base che la rappresenta, capace di forzarsi sino alla ricerca di quel limite in cui carbonizzare le basilari concezioni del sesso e reinventare quest'ultimo come mero strumento di impersonale soddisfazione indotta. Una strada fangosa e ingannevole, da percorrere con attenzione, per non cadere nel nero pozzo del non ritorno.

Alessio Gradogna

Sezioni di riferimento: Festival Report, Into the Pit


Scheda tecnica

Regia: Pablo Gonzalez
Anno: 2015
Sceneggiatura: Alfredo Wiliamson, C. S. Prince
Attori: Laura de Boer, Christian Wewerka, Michael Fritz Schumacher
Fotografia: Carlos Vásquez
Montaggio: Florian Allier
Musiche: Matthieu Deniau
Durata: 70'

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