Femen – Ukraine is not a Brothel di Kitty Green esplora case disadorne come quella di Sasha e visi angelici come il suo. Sono immagini cupe di un paese che appare freddo e inospitale, dagli interni svuotati, ridotti a letti e divani, grandi finestre, disadorni rifugi per le ragazze della rivoluzione. Sasha, Inna, Oksana e le altre appartengono al movimento femminista Femen; ogni protesta è seguita da un ritorno a quella casa vuota dove il computer acceso diventa binocolo sul resto del mondo. Guardano i filmati delle loro gesta e ricevono telefonate dal misterioso Viktor, una guida, un maestro, a volte arrabbiato a volte carezzevole. Lui si informa, vuole sapere come è andata, vuole organizzare nuove manifestazioni, vuole proporre slogan.
Il ritmo delle scene si fa concitato e disturbante mentre la telecamera segue le ragazze fuori dalle loro case, nelle piazze gelide del loro paese, nelle piazze di altri paesi. Le vediamo nude e a terra mentre ricevono calci e pugni, gridando e imprecando, cercando di divincolarsi e continuando a urlare gli slogan, quelli proposti da Viktor, anche mentre gli agenti le trascinano dentro le auto di polizia spingendole per la testa.
Il film si rivela destabilizzante e osserva da molto vicino la violenza, una violenza più grande perché applicata a una donna, più grave perché rivolta a un corpo nudo, totalmente disarmato. Afferrare la verità dei fatti risulta difficile in un’organizzazione così insolita, data la forma di protesta così teatrale.
“Le ragazze del nostro paese sono viste come oggetto sessuale, noi vogliamo protestare” afferma una delle rivoluzionarie, ma è sul suo seno nudo che cade inevitabilmente l’occhio e sono tanti i dubbi che restano allo spettatore.
Non è facile frugare sul fondo di questi magnifici occhi azzurri che hanno deluso le aspettative dei genitori pur di inseguire l’ideale, che hanno sostenuto lo sguardo dei potenti senza un filo di timore, che hanno messo a repentaglio la propria vita moltissime volte in paesi come la Turchia. Oksana dice “ho una madre povera e ha già i suoi problemi, non voglio dargliene altri. Lei non sa della mia attività. Come fa a vedere il telegiornale se non ha un televisore?”. Il padre di Inna non appoggia la scelta della figlia ma commenta dicendo “se tuo figlio nasce senza gambe, gli vuoi bene lo stesso. Mia figlia è nata senza cervello”. Le ragazze penzolano dai balconi e dai campanili, mostrano lividi e ferite, hanno molti fans in rete e rispondono ai loro messaggi, vendono foto, tazze e magliette con il logo Femen e ricevono donazioni. Soprattutto da uomini. “Sono gli uomini che hanno più soldi, è un dato statistico” spiega una delle attiviste.
Poi salgono a bordo di treni che percorrono lande ammantate di neve dove si riconoscono poche, pochissime luci sparse. Col passamontagna o con un’esplosione di fiori fra i capelli le ragazze vanno a svegliare l’Ucraina. A volte confessano alla telecamera di provare paura un attimo prima di gettarsi nude in pasto alla folla. Non solo insulti e botte, ma anche punizioni esemplari e reclusioni. La minaccia di essere incriminate per reato penale si fa sempre più verosimile, e ciò potrebbe comportare sino a cinque anni di reclusione. “Non sono assolutamente pronte al carcere di Kiev” dice il loro avvocato, “perché lì subirebbero violenza non soltanto psicologica, ma soprattutto fisica”. Un attimo dopo Inna è filmata mentre siede a tavola con i parenti e spiega a un bambino cosa succederà quando dovrà andare in carcere. Perché è disposta ad andarci, non ha paura.
Nell’ombra si muove un marionettista di nome Viktor e formarsi un’opinione sul suo conto sarà difficile. Vero leader del movimento nel 2013 (ad oggi risulta essere stato allontanato), l'uomo segue passo passo le ragazze con telefonate e richieste. Quando si concede a Kitty Green per un’intervista, rivela di aver fondato il movimento per “avere delle ragazze” e si definisce “un uomo di stampo patriarcale in un movimento antipatriarcale, è sbagliato ma è così”. Rimangono impresse in mente le parole della mamma di Sasha, in lacrime “sono controllate da uno schizofrenico”, e quelle della stessa Sasha quando dice “dipendiamo psicologicamente da lui”.
Continui controsensi, manifestazioni al limite dell’assurdo, la tristezza di case, vasche, treni notturni di un paese opprimente.
Coraggioso l’intento di filmare tutto questo e proporlo al mondo disinformato, il mondo che “ha solo sentito dire”, non ha capito fino in fondo e forse non è ancora pronto a capire.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Festival Reportage
Scheda tecnica
Titolo originale: Ukraine Is Not a Brothel
Anno: 2013
Durata: 78'
Regia: Kitty Green
Fotografia: Michael Latham
Montaggio: Kitty Green
Musiche: Zoe Barry, Jed Palmer