Nella principale sezione competitiva ha trovato posto Die Saat (The Seed), secondo lungometraggio della regista tedesca (ma di origine finlandese) Mia Maariel Meyer, classe 1981, già autrice anche di corti e documentari.
Al centro della scena Rainer, capocantiere edile che ha appena acquistato una casa da ristrutturare in cui vivere insieme alla moglie Nadine, incinta, e alla figlia tredicenne Doreen. La situazione inizia a precipitare quando Rainer senza colpa viene retrocesso al ruolo di semplice operaio, con annessa diminuzione di stipendio: i costi per i lavori da compiere all’interno della nuova abitazione diventano complesse da gestire, la pressione sale, il senso di ingiustizia anche. Poco alla volta il lieto quadretto familiare si sfalda, la vicinanza affettiva tra i suoi membri vacilla, l’opprimente confronto quotidiano con la realtà sociale e lavorativa pone a serio rischio certezze e speranze, amore e sogni. Alla pesantezza emotiva che stringe la gola di Rainer si aggiungono i rischi derivati dalla pericolosa amicizia di Doreen con una coetanea che la spinge a gesti inconsulti e crudeli, azioni che la timida ragazza compie di malavoglia solo per sentirsi accettata e benvoluta, mentre i genitori sprofondano tra le pareti semibuie della casa ancora sottosopra, sommersi da uno spietato fardello di conti da pagare e prevaricazioni professionali.
La regista ha definito The Seed come un "thriller sociale", enunciazione che ben raccoglie le intenzioni di un film il cui obiettivo è mostrare una condizione nient’affatto estranea alla normalità del vivere contemporaneo, dove i meriti quasi mai vengono riconosciuti e il mondo scopre denti aguzzi che mordono e strappano progetti e aspirazioni. Per realizzare il suo scopo, la Meyer pone sul piatto una messinscena di per sé abbastanza standardizzata, sebbene non priva di una forza d’insieme che ne rende compatto e solido lo sviluppo.
Passato in rassegna all'ultimo Festival di Berlino, The Seed è a tutti gli effetti un film tedesco, ma ha dentro molto cinema francese recente. Il subdolo e inesorabile percorso distruttivo di Rainer riporta alla mente il Romain Duris di Nos Batailles, con un pizzico del Vincent Lindon di La loi du marché, mentre il sottomesso rapporto di Doreen con l’amica Mara rievoca fortemente il malsano legame tra Joséphine Japy e Lou de Laâge in Respire di Mélanie Laurent.
A toni piuttosto soffocanti, tra casa e cantiere, fatica e sudore, arsura e secondi lavori umilianti che fiaccano le residue resistenze fisiche e mentali, si alternano isolati sprazzi di gioia, sfogo e complicità (una nuotata, una passeggiata a cavallo, un gioco scherzoso tra padre e figlia), i cui effetti diventano però via via meno consistenti. I protagonisti lottano, cercano di non mollare ("in qualche modo ce la faremo anche stavolta"), affrontano le loro solitudini, provano a tenere a bada una rabbia acuta. Nonostante i lodevoli tentativi, l’amaro calice del sopruso continua a scendere in gola, viaggiando di pari passo con la costruzione scenica di un film che cammina a media andatura verso un epilogo persino necessario, senz’altro prevedibile ma rappresentato in modo efficace tramite montaggio parallelo.
The Seed non inventa nulla di nuovo, né dal punto di vista tecnico né dal lato narrativo. Sa però dotarsi di ritmi, spazi e volti giusti (in particolare il prestante Hanno Koffler, anche co-sceneggiatore, e la giovane Dora Zygouri), con cui disegnare un’opera realistica, sporca e rugginosa quanto basta e capace di raccontare una tra le tante piccole storie di sfruttamento e disperazione che proliferano intorno a noi.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Reportage
Scheda tecnica
Titolo internazionale: The Seed
Titolo originale: Die Saat
Anno: 2021
Regia: Mia Maariel Meyer
Durata: 99'
Sceneggiatura: Mia Maariel Meyer, Hanno Koffler
Fotografia: Falko Lachmund
Montaggio: Gesa Jäger
Attori: Hanno Koffler, Dora Zygouri, Anna Blomeier, Andreas Döhler, Lilith Julie Johna