Dopo un esordio co-diretto insieme a un altro autore, Amnesia rappresenta il primo lungometraggio realizzato in totale autonomia dalla norvegese Nini Bull Robsahm, classe 1981. La regista afferma di aver avuto l'idea che sta alla base del film durante una notte di insonnia, quando all'improvviso si è immaginata la storia di due coniugi isolati in uno chalet e di uno dei due senza più memoria. Un espediente narrativo sulla carta molto interessante, con cui intavolare un complesso discorso riguardante gli equilibri di potere che si innescano in una relazione e i diversi livelli di manipolazione tra realtà e fantasia che si attuano nelle dinamiche comportamentali del sentimento.
Presentato in concorso al Bergamo Film Meeting, il lavoro della Bull Robsahm sfrutta i contorni del cinema da camera, utilizzando sue soli attori e un'unica location per sviscerare le molteplici ambiguità di un racconto sospeso sul difficile equilibrio tra sincerità e bugia, legami reali e ruoli immaginari, abusi di fiducia e segreti del non-detto. Per dare corpo e sostanza ai suoi intenti l'autrice svia le facili derive del melodramma, scegliendo invece una rappresentazione cupa, oscura, tagliente, che abbraccia le coordinate del thriller avvicinando in più punti perfino l'horror, in un crescendo paranoico in cui in ogni istante restano aperti i dubbi riguardanti la verità di ciò a cui si sta assistendo.
Thomas ha realmente perso la memoria oppure sta soltanto fingendo? La riacquista, come pare, nel momento in cui scopre che lei gli aveva nascosto il cellulare e la carta d'identità o gli era già ritornata in precedenza? E se sì, quando? Chi sta bluffando? Fino a che punto? Sono tutte perplessità che navigano sul filo della tensione, in un gioco a rimpiattino nel quale i due protagonisti si scambiano il ruolo di vittima e carnefice, burattino e burattinaio, danzando in una macabra pièce che alterna rari momenti di luce a intensi squarci di ipnotica angoscia.
La regista scandinava dimostra di avere ben chiara la propria idea di sviluppo del soggetto: limita giustamente la durata (70 minuti) per evitare tempi morti e indovina uno stile asciutto che fa dell'ambiguità un simbolo della paura, giovandosi dell'interpretazione di due attori bene in parte. Da sottolineare soprattutto la prova di Christian Rubeck, bravissimo a reggere più ruoli in uno, passando in pochi frames da tenero compagno a spietato aguzzino, da sperduto uomo senza nome a ghignante mostro di shininghiana memoria, transitando da un estremo all'altro più volte con impercettibili ma decisive variazioni di sguardo. Se poi è vero che alcune ripetizioni appaiono non necessarie (il sesso brutale), va anche detto che la prospettiva della Bull Robsahm, tra influenze polanskiane e palpitazioni sospese a mezz'aria, riesce a essere brillante e solida, creando una bolla filmica soffocante in cui ci si perde tra le incertezze di una nebbia densa e vischiosa.
Il massacro psicologico a cui vanno incontro Thomas e (soprattutto) Kathrine sfocia in un epilogo radicale, che lascia invece delle perplessità per l'eccessiva dose di violenza espressiva, non coerente e non giustificata nel confronto con la lodevole e sottile ambiguità che aveva invece ottimamente dominato tutto il resto della messinscena. Una pecca di cui dolersi, comunque non sufficiente a eliminare i pregi di un lavoro che sa aprire con acume gli anfratti bui del rapporto di coppia, eterna recita a cui tutti noi, chi più chi meno, siamo ogni giorno costretti a prendere parte.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Reportage
Scheda tecnica
Regia e sceneggiatura: Nini Bull Robsahm
Fotografia: Axel Mustad, Havard Byrkjeland
Musiche: Henrik Skram
Attori: Pia Tjelta, Christian Rubeck
Anno: 2013
Durata: 74'