In Danimarca, così come altrove, pullulano case di accoglienza dove i pazienti vengono "curati" con micidiali cocktail a base di antidepressivi, sedativi e altre tipologie di stordenti farmaci. Imbottiti di medicinali, vagano come zombi inebetiti, nell’abbandono e nella solitudine, con quantitativi pressoché inesistenti di reale vicinanza umana. Un triste epilogo, nonché un umiliante approccio all’aldilà. A Dagmarsminde invece i meccanismi funzionano in modo assai differente: la fondatrice May Bjerre Eiby e le altre infermiere affievoliscono i farmaci, li riducono al minimo indispensabile, salvo casi di estrema necessità, per concentrarsi su un metodo di conforto che prevede ingredienti ben più gradevoli. Ai pazienti è quotidianamente offerta una ricetta a base di sorrisi, abbracci, carezze, passeggiate nella natura, svago al sole, attività, torte, canzoni, feste, celebrazioni, dialogo, ascolto, attenzione e comprensione.
Ciò naturalmente non serve a farli guarire. Forse nemmeno a prolungare la vita. Ma senz’altro è utile per donare loro una fine dignitosa e allegra, indipendentemente da quanto siano o meno in grado di comprendere. Le infermiere sfoggiano tanta pazienza, tanta determinazione; sopportano momenti di difficoltà, crisi improvvise di astio o smarrimento; si dedicano anima e corpo a una missione a dir poco lodevole, amano questi anziani trasformati dalla malattia nuovamente in "bambini", ma accettano quando è ora di lasciarli andare. Non c’è nessuna forzatura, nessun tentativo di prolungare un presente che non ha più energia; nell’istante in cui si rendono conto che il sentiero è giunto al termine, prendono (letteralmente) per mano i degenti e li accompagnano sino al respiro conclusivo. Prima, però, c’è spazio per il gioco, il buon cibo, fragranti bevande da sorseggiare, compleanni e anniversari da onorare; c’è terreno da coltivare con tolleranza, fratellanza, condivisione. Ci sono luce, risate, sensibilità e tanta straordinaria dolcezza.
Presentato al Bergamo Film Meeting, evento nel quale i documentari sanno sempre occupare un posto di assoluto rilievo, in virtù delle ottime scelte compiute dai selezionatori, Det er ikke slut endnu (It Is Not Over Yet) ha strappato grandi applausi alla platea. Diretto da Louise Detlefsen, già autrice di altri lavori documentaristici passati in televisione e in vari festival europei, è un forte schiaffo di bontà, capace di emozionare e commuovere senza alcuno sforzo. Le giornate all’interno della casa di cura ci sono mostrate raccogliendo spunti, attimi, situazioni normali e particolari, liete o dolorose, con dovuto rispetto, senza eccessi né superflue spettacolarizzazioni. Il quadro che ne esce smuove le lacrime di chi guarda, rifuggendo dal pericolo di artificialità insito nel significato stesso di una simile opera. Si potrebbe forse obiettare un disegno d’insieme sin troppo edulcorato e unilaterale, ma noi non vediamo ombre nella sincerità sia della realizzatrice sia di queste infermiere, Angeli custodi che oltre alla professionalità usano l’impegno del cuore, per arrivare là dove la mente ha staccato i fili.
It Is Not Over Yet è un balsamo di umanità con cui lenire la miseria e lo squallore che ci circondano. Un balsamo bellissimo che avvolge, riscalda e non si dimentica.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Reportage
Scheda tecnica
Titolo originale: Det er ikke slut endnu
Titolo internazionale: It Is Not Over Yet
Regia e sceneggiatura: Louise Detlefsen
Fotografia: Per Fredrik Skiold
Montaggio: Julie Winding, Jakob Juul Toldam
Musiche: Jonas Colstrup
Anno: 2021
Durata: 96’