Vincitore del premio Fipresci alla Quinzaine des réalisateurs a Cannes nel 2005, il film segue le vicende di Tae-shik, ex campione di boxe finito sul lastrico, con un matrimonio in frantumi e un figlio di cui non riesce ad occuparsi e di Saung-hwan, un giovane malvivente finito in prigione dopo l’ennesima malefatta. A prima vista le loro vite non hanno niente in comune, se non il destino avverso, ma a un certo punto le loro strade si incroceranno sul ring, nella finale di un torneo amatoriale di boxe che rappresenta un momento cruciale delle loro esistenze.
I due protagonisti di Crying Fist faticano a trovare il loro posto nel mondo e nella società che li circonda, segnati come sono da un male di vivere costante e perenne. Nel ruolo di Tae-shik, ex pugile caduto in disgrazia, si registra l’ennesima, grande interpretazione di Choi Min-sik che tratteggia il suo personaggio con un’umanità davvero commovente. Sconfitto dalla vita, che gli ha tolto dignità e orgoglio, per sopravvivere s’inventa un lavoro – farsi prendere a pugni per strada in cambio di denaro da chiunque abbia voglia di sfogarsi – che ogni giorno lo umilia sempre di più. Choi Min-sik dimostra ancora una volta di essere un interprete maiuscolo, sfaccettato e poliedrico, capace di suscitare con le sue caratterizzazioni una profonda empatia da parte del pubblico ma altrettanto bravo nel calarsi in ruoli sgradevoli e respingenti, talvolta semplicemente mostruosi e orripilanti.
Riuscita ed efficace anche la prova di Ryu Seung-beom, fratello del regista, nei panni del giovane teppista che dopo essere stato rinchiuso in carcere trova nella boxe una valvola di sfogo. La risalita sarà dura e faticosa per entrambi, fatta di lacrime e sangue, dolore e sudore come impone lo schema classico e tradizionale dei film incentrati sul mondo del pugilato, uno sport che è da sempre metafora della vita.
Nel finale, catartico e liberatorio, i due protagonisti si ritrovano sul ring uno di fronte all’altro, in un match che da solo rappresenta il riscatto da una vita difficile e accidentata. Un incontro che può salvarli o farli sprofondare per sempre, a cui arrivano carichi di aspettative e speranze e che infine li vedrà entrambi vincitori, specie agli occhi dei loro cari, perché a volte la sconfitta non è contemplata, a prescindere dal verdetto del ring. Esausti, doloranti, sfiniti e caracollanti al termine dell’ultima ripresa si abbracceranno felici, consapevoli di aver dato il massimo e di aver sconfitto il proprio “nemico” che, come abbiamo avuto modo di vedere in svariate pellicole sul mondo della boxe, non è il rivale sul ring, bensì uno ben più minaccioso e temibile, il proprio demone interiore, che si nutre e si rafforza con le nostre debolezze e le nostre sconfitte.
Un film autentico e vitale nel mostrarci il percorso travagliato e affannoso dei due protagonisti, con l’occhio-cinepresa del regista sudcoreano tutto rivolto dalla loro parte, capace di restituirci le loro sofferenze e di farci sentire sulla nostra pelle i lividi e le ferite della carne e dell’anima.
Boris Schumacher
Sito ufficiale: Florence Korea Film Fest
Sezione di riferimento: Festival
Scheda Tecnica
Titolo originale: Jumeogi unda
Regia: Ryoo Seung-wan
Sceneggiatura: Ryoo Seung-wan, Jeon Cheol-Hong
Fotografia: Jo Yong-gyu, Jung Jung-hoon
Anno: 2005
Durata: 134’
Interpreti principali: Choi Min-sik, Ryu Seung-beom, Byeon Hie-bong