Dal Medioevo a oggi i giapponesi hanno trovato un rifugio per vivere la propria intimità: lontani dalle convenzioni, liberi dalle regole, disposti a osare. Sono i Love Hotel, fabbriche della passione e della tranquillità, dove ogni eccentrica stanza si presta a nido d’amore per una notte, per una vita. Ma lungi da noi pensare a semplici alcove: negli hotel dell’amore non c’è soltanto sesso, ci sono vite raccolte, promesse, spazio per rifiatare e sfilarsi l’orologio dal polso. Là fuori c’è mamma Osaka, lampeggiante e costipata di suoni. Là fuori c’è la reclusione in uffici che impoveriscono il sapore del tempo. Là fuori ci sono anche il governo e le sue rigide leggi che fissano un limite allo svago.
Dentro c’è una telecamera gentile e sinuosa che segue, in questo film, il Love Hotel Angelo (uno dei 37.000 Love Hotel presenti sul territorio) e quei bocconi di vita che vi passano all’interno. Dietro ogni porta, una storia. Quella dei due milioni e mezzo di giapponesi che ogni giorno si rifugiano negli alberghi dell’amore.
C’è Mr Sakamoto, un quarantunenne disoccupato, che soffia laboriosamente sulle braci coperte dalla cenere. Sua moglie, afflitta da una fastidiosa malattia della pelle, lo guarda trasognata al centro di lunghe notti che indicano la via verso una nuova vita coniugale. La vita attenta e consapevole che non spegne la luce sui desideri dell’altro, ma li attende e li stimola con pazienza senza tralasciare l’importanza di un abbraccio.
In un’altra stanza ci attendono corde, ganci e lattice. “Sono un uomo sposato, un padre di famiglia” spiega alla telecamera il quarantenne business man Yasu, sotto la guaina di lattice nero che è la sua armatura per la libertà. Così, uscendo dall’ufficio, quest’uomo ha scoperto il suo piacere per la sottomissione e ha trovato nelle stanze del Love Hotel un rifugio dove cedere le redini del controllo alla sua vera natura. A dominarlo è Rika, ventisei anni e un bustier nero, massima naturalezza davanti a quel lato oscuro che solo ad alcuni è concesso vedere. Nulla a che spartire con la prostituzione, soltanto libertà sessuale straordinariamente matura.
Ma le storie che conosceremo sono ancora tante: c’è la rassegnata solitudine del pensionato Mr Yamada che cerca un luogo dove scrivere innocenti lettere d’amore, c’è la giovane e disinibita Yuki che non intende sposarsi entro i trent’anni ma è disposta ad attendere con calma il primo e vero battito del cuore, ci sono gli avvocati Fumi e Kazu uniti da un amore che nessuno vuole comprendere ma pronti a cullarsi nei progetti per il futuro, mescolando ogni notte le proprie lacrime.
Questo è un Giappone di pioggia e lenzuola calde, di spuntini e abbracci rubati. Un Giappone dalla facilissima sigaretta fra le labbra, dove le anziane donne delle pulizie passano le mattinate a riassettare i campi di battaglia in un veloce sincronismo di gesti. “Il Giappone è un caos” rivela una di loro alzando gli occhi divertiti sulla telecamera.
Frattanto la radio diffonde raffiche di paura nei corridoi, la guerra ai Love Hotel prende piede e la “legge sullo svago” va limando ogni imperfezione o asperità dello stile di vita giapponese. Non si può ballare nei locali dopo la mezzanotte, le stanze dell’amore devono eliminare specchi sul soffitto e porte trasparenti, una furiosa corrente conservatrice si oppone alla serena ricerca di intimità.
Così per i gestori dell’hotel comincia un nuovo giorno addolcito da feste mascherate e brindisi, ancorato a quel bisogno di evadere che è in ognuno di noi. Mentre i picconi smantellano le stanze della passione, il ronzio della vita giapponese all’esterno si fa più forte e disturbante.
Un lungo applauso segue la visione di questo bel lavoro, presentato al Biografilm nella sezione Contemporary Lives dopo una prima proiezione canadese e accolto da un pubblico numeroso ed entusiasta; a fine anno verrà diffuso anche in Giappone, dove alcune televisioni peraltro annunciano di non volerlo trasmettere.
Dopo novanta minuti di commozione, riflessione, stupore, con un occhio di riguardo per il tema sociale e qualche picco di gustosa comicità, la “squadra” di Love Hotel si presenta alla platea con freschezza e simpatia, pronta ad accogliere le domande dei presenti e rivelare il lungo percorso che li ha condotti sino a un film così accurato e suggestivo. “Siamo diventati amici dei clienti che abbiamo filmato” spiega il regista Philip Cox “Abbiamo cercato con ognuno di loro quella forma di empatia necessaria per realizzare un film”.
Non ci sono attori, in Love Hotel, ma solo persone che si raccontano. Nel caso degli avvocati Fumi e Kazu le riprese sono la leva sulla quale posare il peso di una denuncia, il desiderio di essere accettati e riconosciuti come coppia. Love Hotel diviene così un lavoro di interpretazione che ha trovato nuovo assetto in occasione del montaggio definitivo, dopo due anni di riprese. Montaggio che ha posto nuovamente l’accento sull’intento iniziale del regista: raccontare l’intimità, un’unica storia plasmata su singole storie intrecciate.
In sordina, a schermo spento, si avverte quel senso di lieve oppressione che i giapponesi portano nel cuore, l’isolamento di un paese e il pugno di ferro che centellina le emozioni.
Il Love Hotel rimane vivido nel ricordo di Masa e Rumi, una coppia di sessantacinquenni che lo frequentano abitualmente: in quelle grandi stanze, dopo un breve scambio di parole, la coppia ama scivolare sul pavimento e danzare come un tempo.
Semplicemente danzare.
Lontano da occhi indiscreti.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Festival Reportage
Scheda tecnica
Regia: Phil Cox e Hikaru Toda
Anno: 2014
Durata: 75'
Montaggio: Esteban Uyarra
Musiche: Florencia Di Concilio