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RNFF 13 - Naciye, di Lüftü Emre Çiçek

3/11/2015

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​Casa dolce casa. Il luogo dove hai trascorso gran parte della tua vita, tra momenti felici e orrori che è impossibile dimenticare. Un nido da odiare o da amare, a seconda di ciò che tra quelle mura hai visto, goduto e subito. Magari un antro protettivo da difendere, a ogni costo, eliminando chiunque cerchi di appropriarsene. Anche con le maniere forti, se necessario. Snobbando qualsiasi limite, per riaffermare un sentimento di appartenenza che nessuno può e dovrà mai cancellare.
Una giovane coppia, in attesa del primo figlio, affitta una villetta circondata da un ampio e rigoglioso giardino. Giunti sul posto, senza nemmeno avere il tempo di ambientarsi, i due si rendono conto che qualcosa non va. Negli armadi ci sono infatti vestiti di donna, appese ai muri antiche foto di famiglia. La casa dovrebbe essere vuota, ma non pare affatto sia così. Nell'aria c'è la netta sensazione che qualcuno viva ancora in quelle stanze. Il dubbio diventa certezza quando a tarda ora una signora di mezza età bussa prepotentemente alla porta d'ingresso, presentandosi come la proprietaria dell'immobile. I neo-affittuari, spaventati, decidono di non farla entrare, ma da quel momento si scatena una devastante corrida di sangue e violenza. 

Presentato in anteprima europea al Ravenna Nightmare Film Festival, dopo il passaggio allo Screamfest di Hollywood, Naciye rappresenta il debutto sulla lunga distanza del regista turco Lüftü Emre Çiçek, già autore di un paio di corti e di una sceneggiatura inedita premiata in America. Interpretato da un'efficacissima Derya Alabora, attrice molto conosciuta in patria, e girato in una casa di Istanbul che da 400 anni appartiene alla stessa famiglia e viene ancora oggi mantenuta in perfette condizioni nonostante non sia abitata, il film si impone come una lieta sorpresa, conquistando senza dubbio un posto tra i migliori lavori visti quest'anno nel concorso ravennate.
Naciye sviluppa la propria trama a più livelli, tematici e temporali. Il concetto di casa come fortezza da difendere in ogni modo, non nuovo e non originale, trova qui nuove forme di interesse, grazie a una messinscena solida, d'impatto, che sfrutta con notevole abilità gli spazi dell'abitazione per ricavare ingannevoli angoli di luce e inquietanti zone d'ombra in cui si alternano rumori e apparizioni improvvise, catapultando i giovani affittuari in un incubo senza uscita.
​Allo stesso tempo, l'opera di Çiçek riflette su problematiche che caratterizzano la società contemporanea turca, ancora spesso incatenata in una disparità dei sessi a causa della quale i maschi si impongono come soggetti dominanti, lasciando le donne in uno stato di dolente sottomissione. Quest'ultimo punto si esplica sia nell'atteggiamento dell'uomo della coppia, di facciata gentile e premuroso nei confronti della compagna ma in realtà dispotico e opprimente, sia nei numerosi flashback che riportano lo spettatore indietro nel tempo, mostrando l'adolescenza della signora Naciye e gli squallidi eventi da lei vissuti all'interno della casa, tra gli umori di un padre/padrone e di una madre totalmente asservita ai comportamenti animaleschi del marito. Esemplare, in tal senso, la scena del dozzinale atto sessuale compiuto dai genitori davanti agli occhi disgustati della figlia, con tanto di sigaretta spenta sul collo della madre durante il coito.
Il film scivola dunque tra passato e presente, ricostruendo le fila della giovinezza di Naciye e del fratellino, le afflizioni mal digerite e la sua vendetta, per poi tornare sui binari di una caccia che scivola tra le scale e le stanze dell'edificio, trappola da cui non pare esserci alcuna chance di fuga, anche per la non dichiarata ma ampiamente suggerita connivenza degli altri abitanti del quartiere, con ogni probabilità a conoscenza degli efferati gesti compiuti dalla donna, ma ben lontani dal denunciarli.
Oltre alla qualità della messinscena, ciò che colpisce nel lavoro di Çiçek è la ferocia che lo accompagna dall'inizio alla fine. In direzione opposta rispetto alle (cattive) abitudini di tanto horror recente, il film non sceglie alcun espediente consolatorio e non offre alcun appiglio con cui trovare respiro e aria fresca. Al contrario, l'autore turco calca la mano senza timore, non tanto in scene splatter comunque sostanziose, quanto in una cattiveria dilagante che, tra badilate e urla belluine, srotola un tappeto narrativo capace di strangolare ogni spiraglio di sole.
L'unica nota sorridente, se vogliamo, si sfiora nell'incipit, quando la strepitosa Derya Alabora, appena prima dei titoli di testa, rivolge uno sguardo diretto verso la macchina da presa, regalando un'espressione sardonica che strappa un ghigno complice e divertito. Da lì in avanti, però, si sprofonda nella notte della ragione, imprigionati in una selvaggia barbarie da cui è ben difficile uscire indenni.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival Report, Into the Pit

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Scheda tecnica

Regia e sceneggiatura: Lüftü Emre Çiçek
Anno: 2015
Attori: Derya Alabora, Esin Harvey, Görkem Mertsöz
Fotografia: Kamil Satir
Montaggio: Lüftü Emre Çiçek
Musiche: Zafer Aslan
Durata: 79'

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