Un giorno Hanoch compare a Parigi e inizia di nascosto a pedinare l'ispettore, per motivi che al momento non conosciamo. Poco tempo dopo una ragazza trova lo stesso Hanoch privo di sensi, senza documenti, in una spiaggia sulla costa. Portato in ospedale l'uomo si risveglia, ma pare aver perso la memoria e rimane chiuso in un inspiegabile mutismo, senza pronunciare nemmeno una parola. Il capo della polizia parigina assegna a Vardi il caso. Superata l'iniziale reticenza il vecchio ispettore si mette in viaggio per indagare e scoprire l'identità dell'uomo. I due, all'apparenza estranei, condividono in realtà un legame che sarà gradualmente svelato.
Presentato in concorso al Bergamo Film Meeting, in anteprima nazionale, La Dune è diretto da Yossi Aviram, classe 1971, documentarista qui al suo debutto nel lungometraggio per il cinema, con un film girato quasi interamente con troupe francese. L'autore israeliano, nato a Gerusalemme, prende spunto da una storia realmente accaduta in Inghilterra, e da un doc da lui realizzato qualche anno fa, per portare sullo schermo una narrazione che travalica i confini di genere, intrecciando un complesso mosaico strutturale che segue in montaggio parallelo gli accadimenti riguardanti due uomini tanto diversi per provenienza geografica quanto in realtà uniti da un vincolo di non immediata comprensione. Per precisa scelta, il regista lascia allo spettatore un concreto senso di incertezza, compensato poi solo parzialmente da una risoluzione che spiega a grandi linee le soluzioni della vicenda senza peraltro svelarne tutti gli aspetti; una decisione coraggiosa, sulla carta respingente ma in realtà appropriata, grazie alla qualità della messinscena e all'invidiabile padronanza con cui Aviram tesse le fila del racconto, attraverso una sceneggiatura impeccabile ed estremamente affascinante.
Di matrice israeliana, vista l'origine dell'autore, La dune è in realtà in tutto e per tutto un film francese, nella produzione così come nell'anima e nello stile; un classico esempio di un tipo di cinema che chi non ama la realtà transalpina potrebbe definirebbe noioso. Al contrario, è proprio la rarefazione dello sviluppo narrativo a donare alla pellicola un esaltante senso di mistero, condotto con magistrale cautela tra lunghi silenzi, sguardi lontani, azioni lente, pensieri trattenuti e tasselli mancanti.
Il lavoro di Aviram si pone come un'intelligente rappresentazione di tre solitudini che s'incrociano, a partire da Hanoch, in viaggio con la sua bicicletta verso una ricerca che possa fargli ritrovare il senso perduto della vita, per proseguire con l'ispettore Verdi, ormai stufo del suo lavoro, appesantito da un passato che lo ferisce e da un presente che non offre più emozioni; una quotidianità che scivola via (“dormo tutto il giorno e alla sera sono esausto”), addolcita solo dal rapporto con il compagno Paolo, con l'amato cane e con le indistruttibili abitudini (il caffè al solito bar). A loro si aggiunge poi Fabienne, la ragazza che trova Hanoch privo di sensi sulla spiaggia; non contenta di averlo salvato si affeziona a lui, nonostante egli non apra bocca, e continua ad andarlo a trovare in ospedale, raccontandogli la sua vita, in un dialogo a una sola voce utile per espiare il sentimento di abbandono di cui anche lei soffre.
Così, tra una mossa sulla scacchiera e una passeggiata con il cane, una via metropolitana e un baretto deserto in un paesino di provincia, il film si dipana, senza fretta, immergendoci in un'atmosfera tanto malinconica quanto ipnotizzante, grazie a un controllo registico saldissimo e ad attori di alto livello, a iniziare da Niels Arestrup, fresco vincitore del suo terzo premio César e ormai giunto a una maturità interpretativa eccezionale. Accanto a lui Lior Ashkenazi, già visto in Kalevet e Big Bad Wolves, bravo a lasciar parlare soltanto il volto durante le numerose scene prive di dialogo. Con loro il sempre puntuale Guy Marchand, la bella Emma de Caunes e, in un ruolo piccolo ma significativo, il grande Mathieu Amalric.
Suadente e ricchissimo di sfumature, La dune cela al suo interno un prezioso scrigno colmo di affetti perduti, disillusioni, istinti repressi, piccoli abbracci, nostalgie e speranze; un disegno da comporre poco a poco, con la giusta parsimonia, per giungere a testa alta all'ultima, bellissima inquadratura, proiettata verso un domani incerto, sì, ma con ogni probabilità migliore. Perché in fondo non è mai troppo tardi per rincominciare ad amare.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival
Scheda tecnica
Regia: Yossi Aviram
Sceneggiatura: Yossi Aviram
Anno: 2013
Durata: 87'
Fotografia: Antoine Héberlé
Attori: Niels Arestrup, Lior Ashkenazi, Guy Marchand, Emma de Caunes, Mathieu Amalric