Basta il suo nome, Amy Winehouse, per evocare il fantasma di una voce indelebile e quello poco rassicurante di una vita distrutta. Vengono alla mente le fotografie impietose che l’hanno ritratta quando ormai aveva fatto del suo corpo uno scempio, si pensa alla sua morte quasi annunciata, si è tentati di scuotere la testa e giudicarla come un “caso senza speranza”.
La storia che ci racconta Amy è piuttosto diversa e la missione di Asif Kapadia è restituirci quella storia nella sua veste più tenera e autentica, più intima e sincera, con filmati privati, interviste e brani inediti.
Amy canta, semplicemente.
Canta da bambina durante una festa di compleanno e poi da ragazzina ovunque le si presenti un’occasione. Occhi verdi, corpo florido, bocca grandissima e sorriso pieno di luce, una giacca di qualche taglia più grande, una chitarra, parlantina spudorata, due grandi amici che appoggiano la sua carriera in erba. Amy è così, non è nessuno. I filmati catturano ogni suo dettaglio, dalle imperfezioni della pelle, alle smorfie, al sonno sul sedile posteriore dell’auto che la porta da qualche parte a cantare. Il jazz è la sua dote naturale, le scorre nelle vene da sempre, solo accennando qualche nota al microfono crea subito un’atmosfera riconoscibile. Sono anni di tentativi, lei sta schiacciata dentro la toilette di qualche piccolo locale a mettersi il lucidalabbra in attesa che la chiamino sul palco, non si definisce cantante ma una che “si nutre di jazz” e scrive poesie. La sua musica è spoglia, graffiante, essenziale, lei dice “non è commerciale ma io non voglio essere commerciale”. Ma è Amy a parlare, soltanto Amy, e ci vuole una vita di scivoloni e cadute per diventare Amy Winehouse, per arrendersi e cambiare opinione.
La metamorfosi di questa ragazza sola e sregolata commuove e lascia l’amaro in bocca. A poco a poco affiorano le ombre. “Io con la mia testa alta e le mie lacrime asciutte, vado avanti senza il mio ragazzo”. Il testo di Back to Black, che ognuno di noi avrà canticchiato o sentito per radio, è adesso una pagina di diario di Amy e sta al regista spiegarla. Quanto più cresce l’amore deleterio e folle per Blake Fielder, tanto più Amy allontana a calci la ragazza con la chitarra di ieri. Una storia impossibile, talmente estrema da somigliare a un incubo: lei non ha mai colmato il vuoto lasciato dal padre, lui ha tentato il suicidio a nove anni, entrambi cercano rifugio nell’assenza. Una dolorosa assenza di limiti e di cuore, di decenza e di felicità: il sotterraneo buio della droga dove le loro sofferenze si fondono in un lungo, luttuoso vuoto.
Blake conduce Amy passo dopo passo sulla via delle droghe pesanti, lei lo segue perché “vuole fare tutto ciò che fa lui”, in breve l’amore viene soppiantato dall’ossessione. Ogni volta che Amy cerca di risalire a galla, Blake mette in atto un sabotaggio e viceversa, a turno si trascinano sul fondo mentre il volto di Amy è ormai su tutte le copertine. E non è più raggiante e ben tornito, ma sempre più scheletrico e sciupato. La sua voce si spezza sul palco, i fischi arrivano puntuali a mortificarla, è ridotta a macchietta e spesso compare nelle canzonature di comici e conduttori tv.
Per un po’ vive della luce riflessa del promettente talento che è stata, ma la nuova Amy non riesce a nascondersi, è un manifesto decadente sotto gli occhi di tutti e non bastano incassi milionari e prestigiosi premi a ripulirle la faccia. Amore, violenza, bicchieri, collassi, periodi di vacanza lontano dall’Inghilterra con la speranza di disintossicarsi, nuovi amori, nuove canzoni e l’ingombrante esigenza di tenere in bilico sulla testa quell’altisonante “Amy Winehouse” che cancella l’eco di Amy.
Per la Winehouse cambiano le acconciature, si moltiplicano i tatuaggi, gli abiti si fanno più succinti e il corpo più svuotato, iniziano persino a cadere i denti, la voce è quella di sempre ma strozzata dalle condizioni fisiche.
“Vorrei tornare a camminare per strada senza pensieri, come una volta” confida a un amico; quindi ha luogo un ultimo disperato tentativo di riprendere le redini del controllo. Allontana la bottiglia, mette un punto alla droga, volta le spalle agli episodi di bulimia, si concentra di nuovo sulla musica, chiude i rapporti con Fielder e chiede scusa a tutti coloro che ha deluso. Forse Amy è pronta per tornare in scena e regalare al firmamento del jazz una stella pura, grande, pulita, cresciuta nonostante quel cuore che non batte più come un tempo dopo una vita di eccessi.
Quando nel pubblico si accende una speranza il film giunge al prevedibile termine e ci lascia con un pugno di mosche in mano: c’è una barella che esce da quella casa al civico 30, un’ambulanza privata, un funerale.
“Io con la mia testa alta e le mie lacrime asciutte, vado avanti senza il mio ragazzo”.
Amy ci ha provato, ma troppo tardi.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Festival Reportage
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Scheda tecnica
Titolo originale: Amy – The Girl Behind the Name
Regia: Asif Kapadia
Musiche: Antonio Pinto
Anno: 2015
Durata: 128'