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FCAAAL 24 - Presentazione del programma

5/5/2014

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Si svolgerà a Milano dal 6 al 12 maggio la ventiquattresima edizione del Festival del Cinema Africano, d'Asia e d'America Latina, un evento unico nel panorama nazionale per la sua peculiarità nel volgersi all'esplorazione di cinematografie spesso non abbastanza conosciute dal pubblico, anche a causa dello scarso interesse da parte dei distributori.
L'edizione 2014 del FCAAAL propone un ampio spettro di titoli entro cui muoversi, dividendosi tra prodotti di finzione e documentari, alla ricerca di suggestioni originali e utili per scoprire piccole e grandi storie ambientate in paesi lontani dalla nostra quotidianità, e visionare pregevoli opere che nella quasi totalità dei casi non usciranno mai nelle sale.
Il concorso lungometraggi “Finestre sul mondo” propone 14 film: tra i titoli sulla carta più interessanti il franco-senegalese Des étoiles, dramma familiare diviso tra Torino, New York e Dakar, con la partecipazione di Maya Sansa; il cileno Matar a un hombre, ansiogeno thriller in crescendo; il sudafricano The Devil's Lair, toccante storia intimista; l'ecuadoregno No robaràs, coraggioso ritratto al femminile; il libanese Scheherazade's Diary, messa in scena d'impianto teatrale girata all'interno di un carcere. 
Come al solito numerose sono poi le sezioni collaterali, dal concorso cortometraggi africani al concorso Extra, con registi italiani che si confrontano con culture non proprie. Limitata ma molto valida la sezione Flash, con alcuni eventi speciali del festival: quest'anno in programmazione Black Coal, Thin Ice, il film cinese che ha appena vinto l'Orso d'Oro a Berlino; Ladder to Damascus, girato clandestinamente da uno dei più importanti registi siriani; La voie de l'ennemi, film d'apertura, con Forest Whitaker e Harvey Keitel; Nelson Mandela: the Myth and Me, documentario incentrato sul leader da poco scomparso.
Il festival inoltre propone e conferma la sezione speciale Films That Feed, con pellicole in qualche modo dedicate al cibo e all'alimentazione sostenibile, e la sezione collaterale E tutti ridono..., con divertenti commedie provenienti da Filippine e Costa Rica affiancate dal film d'animazione Aya de Yopougon, scritto da un'autrice della Costa d'Avorio e disegnato da un'artista francese. Infine, una rigorosa sezione incentrata sulle tematiche del razzismo e dell'integrazione.
Sul sito ufficiale è disponibile il programma completo, con proiezioni, luoghi e modalità d'ingresso, sottolineando che molti spettacoli saranno a prezzo ridotto grazie alla sovrapposizione con la Festa del Cinema. 
Appuntamento dunque a Milano, per un affascinante giro del mondo in sette giorni.  

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival

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FCAAAL 23 - Ruta de la luna

9/5/2013

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Tito, 32 anni, albino. Una persona schiva, solitaria, abituata a poche parole e tanti imbarazzi. Il padre, César, ex allenatore di boxe, schietto, sgarbato, eterno donnaiolo malato di cuore ma deciso a non lasciarsi sopraffare dalla vecchiaia. Due personaggi all'opposto, in completa antitesi a livello di carattere e personalità; poco si conoscono, mai si sono amati. Fino a quando il destino li avvicina. Tito riceve infatti una telefonata che lo avvisa di un imminente torneo di bowling in Costa Rica, e decide di partire, da Panama, per giungere in tempo all'evento. Mille chilometri da fare, non si sa bene come, perché Tito ci vede poco e fatica a guidare. Neanche a farlo apposta, arriva in suo soccorso proprio il padre, senza più un posto dove stare dopo che gli ultimi esami hanno stabilito le sue cattive condizioni di salute e il divieto a continuare con l'attività fisica. 
Così, tra silenzi e incomprensioni, rabbia inespressa e malcelato disprezzo, Tito e César, insieme, iniziano uno sgangherato viaggio on the road lungo le strade dell'America Centrale. Durante il percorso incontreranno Yadia, donna in fuga da una vita che non le appartiene, e impareranno un po' alla volta a venirsi incontro, nel difficoltoso tentativo di cementare un rapporto sempre e da sempre rimasto appeso alle apparenze e all'incomunicabilità.
Diretto dall'ecuadoregno Juan Sebastian Jacome, buon sceneggiatore qui al suo esordio come regista, e selezionato per il concorso lungometraggi al Festival del cinema africano, d'Asia e America Latina di Milano, Ruta de la luna setaccia con una certa ironia di fondo sentieri già ampiamente battuti, destinati a porre in esame un ostico tentativo di riconciliazione familiare. Tanto diversi nello spirito quanto nel fisico e nelle abitudini, Tito e César, opposti che (non) si attraggono, nuotano in mari inquinati dalla reciproca diffidenza, acuita da una lontananza intellettiva e culturale sedimentata nel corso degli anni e mai risolta. L'affascinante Yadia, soggetto perturbante della vicenda, appare dal nulla e compresa la situazione tenta di avvicinarli, salvo rendersi conto in fretta di come l'operazione sia assai dura. I muri di omertà faticano a crollare, le resistenze virili hanno la meglio. Resta il potere ammaliatore del viaggio, il senso atavico della scoperta, la caccia primigenia all'emancipazione e all'accettazione di sé (per Tito), contrapposta alla strenua volontà di non arrendersi a un fisico giunto alla resa dei conti (per César). 
Tra malinconia e ironia, siparietti abili a strappare un sorriso e tentativi di riflessione esistenziale, il lavoro di Jacome, senza scendere troppo in profondità, trova spunti d'interesse nella costruzione di un alone nostalgico che ammanta il velo da commedia di un film stratificato e tutto sommato riuscito, se si eccettua un finale molto (troppo) frettoloso. Il merito va a una scrittura libera e frizzante, e alla discreta efficacia degli attori principali: Jimmy David Suarez, personaggio perfino kaurismakiano per la caustica tragicità che lo divora, e Luis Antonio Gotti, agonista nell'anima, deciso a condurre una vita spericolata in barba alle imposizioni dei dottori, fino alla fine. A modo suo.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival


Scheda tecnica

Regia: Juan Sebastián Jácome
Sceneggiatura: Juan Sebastián Jácome, Rocco Melillo
Anno: 2012
Fotografia: Magela Crosignani
Musica: Xavier Müller
Interpreti: Yimmi David Suárez, Luis Gotti, Victoria Greco
Durata: 75 min.

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FCAAAL 23 – I segreti di Kabiria

8/5/2013

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Oltre che per la folta presenza di lungometraggi e corti inseriti nelle varie sezioni, il Festival del cinema africano, d'Asia e d'America Latina si distingue per l'ampio spazio riservato ai documentari, strumenti grazie ai quali esplorare situazioni spesso scomode o perfino tragiche che accompagnano le realtà prese in esame. Tra i vari lavori appartenenti alla categoria visti in questi giorni a Milano si è ritagliato un posto importante e significativo I segreti di Kabiria, diretto dal triestino Gianpaolo Rampini, documentarista indipendente, compositore e operatore televisivo.
Nello slum di Kabiria, in Kenia, vivono tante single mothers, ragazze madri abbandonate dai propri mariti e costrette a utilizzare ogni mezzo per tirare avanti. Nella povertà, nel fango, nel marciume, circondate da bambini senza identità che vivono in strada, snobbate da uomini per i quali la poligamia è un normale dato di fatto, queste donne faticano a trovare il cibo per poter nutrire se stesse e i propri figli. Finiscono così quasi sempre a rubare i cellulari ai turisti per riuscire a guadagnare qualche soldo, e molte di loro, di notte, abbandonano le proprie abitazioni per andare a prostituirsi. 
Il doc, terminato poche ore prima della proiezione milanese, frutto di anni di lavoro, segue la giovanissima Wairimu, madre single sin dall'età di tredici anni. Insieme a lei, l'attenzione va ad altre donne che condividono la situazione della protagonista. Nonostante siano talvolta amiche tra loro, le ragazze tengono nascosto il segreto della loro doppia vita; non si confidano con nessuno, soffrono nella solitudine, faticano perfino a sentirsi esseri umani. Grazie al lavoro di Rampini e della sua troupe, un po' alla volta assistiamo però a un fondamentale cambiamento: Wairimu e le altre donne si riuniscono in gruppo, cominciano a condividere le proprie esperienze, e aprono un lungo viaggio che le porta dentro e fuori i confini dell'Africa per trasmettere le loro storie di vita, raccogliendo nel contempo le testimonianze di tante altre persone con situazioni similari. Il documentario si conclude con una sfilata, organizzata da un'associazione finlandese: un evento pubblico in cui le single mothers attuano la loro definitiva apertura al mondo.
Donne ai margini della società, senza nemmeno un nome impresso in una carta d'identità, con cui poter cercare un lavoro onesto e richiedere i minimi servizi assistenziali; bambini di strada che rovistano nell'immondizia, destinati a un futuro di non esistenza; furti e prostituzione come unici possibili strumenti di sussistenza; fame e miseria, abbandono e rassegnazione; una realtà oscura, senza luce, senza più sogni. Il bellissimo lavoro di Rampini attua un importante studio a livello sociologico ed etnografico incentrato sul recente processo di inurbanizzazione che si è solidificato in molti paesi dell'Africa, e riesce a emozionare il pubblico per la sensibilità dimostrata nel lungo periodo trascorso dagli operatori in Kenia. Il regista non cerca soluzioni improbabili, e non propone miracoli: il suo intento è fornire un aiuto piccolo ma concreto e importantissimo, per donare a queste donne un nome, uno scopo, un progetto, una dignità, un soffio di autostima. 
L'obiettivo risulta alla fine pienamente centrato, e il sorriso imbarazzato e orgoglioso di Wairimu sul Red Carpet ci lascia in eredità un profondo e vibrante senso di partecipazione ed empatia.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival

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Scheda tecnica

Regia: Gianpaolo Rampini
Sceneggiatura: Alessandra Raichi, Gianpaolo Rampini, Lorenzo Pavolini
Fotografia: Gianpaolo Rampini, Maxwell Odhiambo, Kelvin Njanngweso
Montaggio: Gianpaolo Rampini, Alessandra Raichi
Durata: 65 min.

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FCAAAL 23 – Chroniques d'une cour de récré

6/5/2013

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Brahim ha dieci anni, è di origine marocchina, e vive a Pierrefitte, nella periferia di Parigi. La sua famiglia abita accanto alla fabbrica in cui lavora il padre. Mentre gli operai scioperano contro il probabile e imminente trasferimento dell'officina, Brahim trascorre le sue giornate tra scuola, scoperte, curiosità, delusioni, amicizie, primi amori e nuove passioni.
Selezionato per il concorso lungometraggi alla ventitreesima edizione del Festival del cinema africano, d'Asia e America Latina, e in uscita nei cinema francesi a giugno, Chroniques d'une cour de récré è una sorta di memoriale autobiografico, ispirato alla reale età giovanile del regista Brahim Fritah, classe 1973. Ambientato all'inizio degli anni Ottanta, il film si nutre dei ricordi dello stesso autore, che traspone sullo schermo la sua infanzia con evidente genuinità e purezza d'intenti, correndo a perdifiato nel difficoltoso mondo di una fase della vita acerba e caotica, in cui ogni evento assume proporzioni potenzialmente decisive per una crescita spirituale e caratteriale. 
Brahim s'innamora di una vecchia gru in procinto di essere demolita, stringe una forte e ribelle amicizia con il solitario ragazzo cileno Salvador, subisce le punizioni non troppo severe di insegnante e preside, percorre una dolce infatuazione nei confronti di una compagna di classe di origine orientale, assiste alla lotta del padre contro il licenziamento, fotografa ciò che lo circonda come per imprimere al soffio dell'eternità la forza del momento; il tutto con entusiasmo e dubbi, curiosità e attimi di sconforto, alla ricerca di un appiglio con cui profumare il soffio della vita. Il regista si denuda attraverso il suo alter-ego, si incunea in ogni scena, usa il cinema come strumento di catarsi, e offre agli spettatori un ritratto d'infanzia forse non troppo originale, ma pervaso da una forte dose di limpida tenerezza.
Insieme al massiccio amico Salvador, una sorta di grande Meaulnes dal passato misterioso e dal futuro incerto, Brahim partecipa alla battaglia degli operai della fabbrica, guidati dal temperamento deciso di Moustache, interpretato da Vincent Rottiers, attore sempre più in prima linea tra i nuovi talenti del cinema francese (lo abbiamo visto al Bergamo Film Meeting in Le monde nous appartient, e ammirato in Je suis heureux que ma mère soit vivante). Pierrefitte a Parigi come l'Estaque di Marsiglia: i segmenti relativi allo scontro sociale sembrano perseguire l'eredità di Robert Guédiguian, anche se qui la prospettiva resta fissata ad altezza di bambino. Le situazioni adulte, ovviamente non del tutto comprensibili, si alternano con le tipiche strutture logistiche dell'età di riferimento, e le giornate di Brahim, noiose o scatenate ma in fondo mai banali, compongono piccoli tasselli atti a definire un mosaico che lo accompagnerà per sempre.
Multiculturale e privo di banali limitazioni declamatorie, il film di Fritah si lascia apprezzare sia per il candore che lo ricopre, sia per la creatività di una messinscena colorata e fantasiosa, acuita da inserti in bianco e nero, inquadrature quasi fumettistiche, traiettorie visive ingorde e sballate, idee più che azzeccate (il delizioso tappeto jazz che accompagna il corteggiamento di sguardi tra Brahim e la carinissima compagna orientale); ne esce un quadro ricco, vivace, talvolta frenetico ma mai bulimico: un diario narrativo bello e possibile, che ci lascia in eredità un ampio sorriso e anche un pizzico di nostalgia.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival

Articoli correlati: Fcaaal Presentazione     In uno stato libero     Parfums d'Alger

Scheda tecnica

Regia: Brahim Fritah
Sceneggiatura: Brahim Fritah, Johanne Bernard
Fotografia: Pascal Lagriffoul
Musica: Jean-Christophe Onno
Interpreti: Yanis Bahloul, Rocco Campochiaro, Vincent Rottiers, Mostefa Djadjam
Durata: 85'
Anno: 2012

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FCAAAL 23 - Parfums d'Alger

6/5/2013

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Rachid Benhadj è uno degli autori africani più conosciuti a livello internazionale. Alcuni dei suoi precedenti lavori sono stati selezionati a Cannes e Venezia; tra gli altri possiamo ricordare Mirka, uscito nel 1999, con la partecipazione di Gérard Depardieu, Vanessa Redgrave e Franco Nero. Il suo progetto più recente, Parfums d'Alger, è stato presentato durante la ventitreesima edizione del Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina di Milano, provocando notevole emozione e contrastanti reazioni da parte del pubblico.
Karima è una celebre fotografa di origine algerina. Da molti anni ha lasciato la sua terra per trasferirsi a vivere e lavorare in Francia. Un giorno riceve una telefonata dalla madre, rimasta in patria insieme a tutto il resto della famiglia: l'anziana donna la prega di tornare subito in Algeria, per gravi motivi non ben specificati. Dopo un iniziale rifiuto Karima si mette in viaggio, e rimette piede in quei luoghi abbandonati molto tempo prima. Giunta a destinazione, scopre che il padre (violento e dispotico) è in coma, e che l'amato fratello è stato arrestato e condannato a morte in quanto accusato di attività terroristica. Nel tentativo di liberare e salvare il fratello Karima si trova suo malgrado ad affrontare una guerra civile in pieno corso.
Presente in sala a Milano, Benhadj ha raccontato di aver iniziato le riprese del film regalando la complessa parte della protagonista a Isabelle Adjani, la quale ha però abbandonato la lavorazione pochi giorni dopo. Il ruolo è stato così affidato a Monica Guerritore, icona dell'erotismo italiano negli anni Ottanta e negli ultimi lustri divisa tra cinema, Tv e teatro. A lei dunque è spettato l'onere di interpretare un dolente e combattuto personaggio la cui interiorità affronta  l'amaro spettacolo di una realtà in divenire capace di spezzare sogni e promesse.
La Karima di Benhadj è una donna fuggita dalle ombre del passato, per trovare pace ed emancipazione; gli eventi la costringono all'improvviso a lavarsi nel sangue del presente, stritolando le certezze acquisite e aprendo gli occhi di fronte all'orrore che tutt'intorno a lei si espande e solidifica. Siamo nel 1998, l'Algeria è in tumulto, i terroristi massacrano la popolazione, le donne scendono in strada per marciare e affermare i loro diritti: Karima, a lungo estranea a tutto ciò, piomba nell'epicentro del dramma sociale e culturale, appallottolando le barriere geografiche per abbracciare una famiglia in disfacimento, microcosmo abile a racchiudere simbolicamente il senso crudele della Rivoluzione culturale e politica.
Per Parfums d'Alger l'autore si è avvalso della presenza del grande Vittorio Storaro; il tre volte premio Oscar, colpito dal progetto, ha accettato di essere il direttore della fotografia, per un compenso minimo. Una scelta lodevole, impreziosita dalla consueta e impeccabile qualità stilistica; la presenza di Storaro infatti si sente, eccome, attraverso un caleidoscopio tonale che sottolinea con perfetta coscienza gli stati d'animo della protagonista. Se la fotografia è un sicuro punto di forza del film, ci sono però altri elementi che non convincono appieno: senza dubbio sincero negli intenti, Benhadj non riesce a evitare qualche inciampo nella retorica e nello schematismo, offrendo una messinscena che alterna momenti d'indubbia forza emotiva ad altri in cui la necessità di decifrare il contenuto soffoca l'istintualità. All'insieme non giova poi un doppiaggio posticcio decisamente fastidioso, mentre la Guerritore, pur apprezzabile per l'impegno, non sempre pare trovarsi a proprio agio in questa ridda di percezioni emotive.
Accolto da un lungo applauso durante i titoli di coda, Parfums d'Alger è stato attaccato da alcuni spettatori che hanno accusato il regista di approssimazione e qualunquismo; la piccata risposta del regista non ha peraltro risolto le perplessità nei confronti di un lavoro sì discreto, ma che avrebbe forse potuto e dovuto volare più in alto.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival


Scheda tecnica

Titolo originale: Parfums d'Alger
Regia: Rachid Benhadj
Sceneggiatura: Rachid Benhadj
Fotografia: Vittorio Storaro
Musica: Said Bouchelouche
Interpreti: Monica Guerritore, Chafia Boudraa, Sid Ahmed Agoumi, Ahmed Benaissa.
Anno: 2012
Durata: 108 min.

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FCAAAL 23 - In uno stato libero

6/5/2013

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Dopo aver ricevuto la Menzione Speciale dalla giuria del Premio Solinas ed essere stato presentato al Festival dei Popoli, a Filmmaker Milano e al Trieste Film Festival In uno stato libero di Paola Piacenza sbarca al 23° Festival del cinema africano, d’Asia e d’America Latina. Il documentario della giornalista italiana, presente all’interno della sezione Razzismo brutta storia e della sezione Concorso Extra, racconta la recente rivoluzione tunisina attraverso la testimonianza dei fondatori della web-tv della città di Zarzis. 
Da questa città posizionata a sud-est della Tunisia salpano i barconi diretti a Lampedusa a seguito del crollo del regime di Ben Ali. Durante i giorni della rivoluzione tre giovani tunisini, Walid, Aladdin e Noureddine, creano qualcosa di incredibile. Senza mezzi ma con tanta voglia di fare la differenza danno vita alla web-tv con lo scopo di fornire informazione indipendente, in modo da offrire un’alternativa a quella filtrata del regime. Questo nuovo canale, denominato Zarzis TV, offre quindi un’informazione reale, spesso cruda e violenta, a causa dei filmati integrali che documentano l’effettiva situazione in cui versa il Paese. Il nuovo mezzo utilizza soprattutto le interviste ai migranti in attesa di prendere il largo, lasciando spazio alle loro paure ma anche alla speranza. La loro opera continua anche dopo il crollo del regime e soprattutto dopo la partenza del quarto fondatore Bashir, che come quasi tutti i suoi coetanei prende la via del mare con destinazione finale Parigi. I tre giovani rimasti a Zarzis cercano di portare avanti un’informazione libera, volta a convincere i ragazzi della loro generazione a non lasciare il Paese, bensì a rimanere per costruire un futuro migliore per la Tunisia, un avvenire pieno di speranza. 
In questo documentario di forte impatto le immagini girate dai fondatori di Zarzis TV si fondono con quelle di Paola Piacenza e coprono il lasso di tempo che va dallo scoppio della rivoluzione alle prime elezioni libere. La giornalista del Corriere della Sera si è recata più volte a Zarzis e ad ogni viaggio trovava i tre ragazzi profondamente cambiati, come lei stessa ha affermato: “La loro relazione evolveva così come la mia nei loro confronti. A tratti mi sono scontrata con loro e ho preso le distanze, ho sperimentato la mia autonomia rispetto al contesto, finché ho sentito che il percorso che i tre fondatori di Zarzis Tv avevano compiuto in questi mesi, e di cui ero stata testimone, coincideva con quello della parabola rivoluzionaria”. 
Attraverso la sua opera la regista utilizza un ulteriore mezzo di comunicazione, la web tv, per documentare un grande evento storico. Ma non si ferma qui. La bravura della giornalista è stata quella di accompagnare questo racconto con le emozioni dei tre giovani, in un viaggio attraverso le loro vite, arrivando ad avvicinarsi ai loro sogni e alle loro speranze: “Ho lasciato che lo sguardo dei miei tre personaggi fosse la mia guida, finché non mi sono resa conto che il film apparteneva a tutti e quattro”. 

Eva Sampietro

Sezione di riferimento: Festival


Scheda tecnica

Regia: Paola Piacenza
Anno di produzione: 2012
Durata: 74’
Tipologia: documentario

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FCAAAL 23 - Presentazione

2/5/2013

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Dal 4 al 10 maggio si svolgerà a Milano la ventitreesima edizione del FCAAAL, il Festival del cinema Africano, Asiatico e d'America Latina. Un appuntamento di sicuro rilievo, ormai radicato nel panorama nazionale, dedicato all'arte filmica del sud del mondo, con cui esplorare cinematografie spesso poco conosciute e valorizzate, e visionare prodotti che nella maggior parte dei casi non troveranno mai spazio nell'asfittico panorama distributivo italico.
Sette giorni di proiezioni, circa 80 film in programma, 50 nazioni rappresentate: una babele linguistica e culturale con cui allargare i consueti orizzonti, per tuffarsi nelle storie espresse da paesi che hanno molto da dire e a cui talvolta non viene dato abbastanza spazio per poterlo fare. 
Il festival sarà suddiviso in una nutrita serie di sezioni, tra le quali spiccano il concorso lungometraggi Finestre sul mondo (nove opere, provenienti da nazioni quali Paraguay, Marocco, Siria, Ecuador, Egitto), e il concorso per il miglior film africano (anche qui nove pellicole, in rappresentanza, tra le altre, di Mali, Mozambico, Algeria e Tunisia). Accanto a loro corti, documentari, fuoriconcorso, numerose sezioni parallele (E tutti ridono, Percorsi nel sacro, Films that feed) ed eventi speciali (cento anni di cinema indiano, omaggio al musicista brasiliano Nelson Pereira Dos Santos).
Il cinema non è soltanto Europa e Stati Uniti: esiste un altro universo, ricco di idee, colori, riflessioni e suggestioni. Il FCAAAL è una valida occasione per averne piena conferma. Orizzonti di Gloria seguirà in diretta la manifestazione, con diverse recensioni. Tutte le informazioni riguardo al programma e alle modalità d'ingresso sul sito ufficiale dell'evento. Qui sotto la sigla del festival.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Festival

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