Una notte i ragazzi decidono di fuggire, insieme. Si avventurano nella foresta e cercano di far perdere le tracce, lasciando al contempo che il loro amore sbocci senza più catene né impedimenti. Inizia così un vagabondaggio tra sonni all’addiaccio, furti di barche a motore, bagni nel fiume, incontri imprevisti, rifugi temporanei, scoperta della sessualità, difficoltà e contrattempi: una fuga verso la libertà, folle e forse irrealizzabile, alla ricerca di un Eden dai contorni sfocati.
Il belga Fabrice du Welz si è imposto con forza all’attenzione di tutti gli appassionati di horror e affini grazie al magnifico Calvaire, uscito nel 2004; un film disperato e ammaliante, struggente e indimenticabile. La sua carriera è poi proseguita su livelli discreti, pur senza toccare nuovamente quei vertici, attraverso l’ipnotico Vinyan, il morboso Alléluia e i trascurabili Colt 45 e Message from the King, esordio americano. Dopo quest’ultima prova non esaltante du Welz è tornato a casa, nelle Ardenne, per mettere in scena la storia di un amore totalizzante tra due protagonisti di tenera età in completa contrapposizione caratteriale e simbolica.
Paul e Gloria sono il giorno e la notte, la pace e il conflitto, la luce bianca e la luna nera. Lui è innocenza pura, ingenuità, semplicità. Un ragazzino ispirato all’Idiota di Dostoevskij e al Candido di Voltaire, la cui vita consiste soltanto nel prendersi cura degli uccellini, nel trovare una panica beatitudine tra i profumi della natura e nel mantenere un forte legame con la madre. Una creatura angelica, con movenze paragonabili a quelle di un Santo. Lei è invece mistero, confusione, paura, tensione. Una fanciulla etichettata come “pericolosa”, affetta da paranoie e manie persecutorie, capace di vividi slanci di dolcezza ma anche di improvvise e impetuose esplosioni di collera o terrore, che ovviamente sconvolgono la mente pulita di Paul.
Eppure, nella loro veemente contrapposizione, Gloria e Paul (interpretati dall’intensissima Fantine Harduin, scoperta in Happy End di Michael Haneke, e da Thomas Gioria, visto in Jusqu’à la garde - L’affido di Xavier Legrand) trovano un punto di raccordo, un legame invisibile agli occhi corrotti degli adulti, un sentimento profondo che devia dai confini della giovane età per farsi abbraccio universale. La loro unione esemplifica i devastanti turbamenti del primo amore, mentre la loro fuga verso una meta di improbabile raggiungimento (la casa del nonno di Gloria, a centinaia di chilometri di distanza) si pone come tentativo di abbandonare precocemente le barriere (im)poste sulla terra di mezzo tra infanzia e adolescenza, per dare anima a un qualcosa che possa donare il Senso primordiale e definitivo a una pur così giovane vita.
Presentato in anteprima a Locarno nella maestosa cornice di Piazza Grande, Adoration conferma l’indiscutibile talento di du Welz, autore che sa come insinuare a piene mani il lirismo all’interno della narrazione, senza che quest’ultima venga peraltro fagocitata dalla bellezza estetica. Il suo stile alterna con scorrevolezza macchina a mano e inquadrature fisse, piani ravvicinatissimi e campi larghi, sottolineature cromatiche e suggestioni icastiche, musiche armoniche e inserti inquietanti, lasciando confluire il cuore dello spettatore nel rituale di una passione assoluta, per la quale si è disposti a tutto. D’altronde, a ben vedere, anche lo splendido Calvaire raccontava un amore malato eppure a suo modo straordinario; lo stesso faceva Vinyan, con la cieca discesa di Emmanuelle Béart nelle viscere della giungla alla ricerca del figlio perduto; in qualche perversa maniera perfino Alléluia era un quadro dipinto con i colori di un desiderio monopolizzante.
Pur con qualche lacuna (il personaggio della madre di Paul, abbozzato e poi dimenticato) e alcuni sviluppi un po’ forzati, Adoration si mantiene ricco e pregevole nella sostanza. E come sempre in du Welz, l’equilibrio tra il bene e il male vacilla e sfuma, cercando di superare la pelle morta dell’umana miseria, senza riuscirci davvero. Non a caso, in uno dei dialoghi più belli del film, Paul, dall’alto della sua celestiale fragilità, dice a Gloria: “io non voglio fare mai del male del nessuno”, e lei risponde: “lo farai, vedrai. Prima o poi succede. Succede sempre”.
Adoration è il ritratto di un legame vorace e di un sogno di emancipazione; è riconquista della libertà ma anche impossibilità di accettare una perdita (come ben ci spiega il guardiano interpretato da Benoît Poelvoorde); è sfida a testa alta contro l’altrui incomprensione ma anche inesorabile discesa nella palude della rovina; è, infine, la tragedia di un’unione paradisiaca destinata a schiantarsi sui muri del reale. A meno che, per una volta, la Favola possa decretare il suo trionfo. Contro ogni legge e contro ogni logica.
“Tu ne me quitteras jamais? Alors je t'aimerai pour toujours”
Alessio Gradogna
Sezioni di riferimento: Locarno 72, La vie en rose
Scheda tecnica
Regia: Fabrice du Welz
Anno: 2019
Durata: 98’
Sceneggiatura: Fabrice du Welz, Vincent Tavier, Romain Protat
Attori: Thomas Gioria, Fantine Harduin, Benoît Poelvoorde, Laurent Lucas
Fotografia: Manu Dacosse
Musiche: Vincent Cahay
Montaggio: Anne-Laure Guégan