Indizi. Immediate chiavi di lettura di ciò che sarà. Il corpo, violato dalla macchina da presa. Il sesso. L'inquietudine. Il sommovimento di ruoli e sensazioni. L'afflato disturbante. Briciole di pane utili per non perdersi tra i successivi labirinti narrativi di L'amant double, nuovo lavoro di François Ozon, presentato in concorso all'ultimo Festival di Cannes e accolto da giudizi a dir poco contrastanti, tra entusiasmi senza remore e pesanti reticenze.
Ispirato al romanzo breve Lives of the Twins di Joyce Carol Oates, il film narra la vicenda di Chloé, fragile donna di 25 anni che soffre di perenni dolori al ventre, dovuti forse a stress nervoso. Su consiglio del proprio medico Chloé inizia una serie di sedute nello studio di Paul, psicologo attento e silente, del quale la donna, aprendosi a lui e raccontandogli la sua vita, presto si innamora, ricambiata. I due iniziano una relazione di coppia e vanno a convivere. La condivisione degli spazi conduce però in breve tempo a insofferenze causate dal fatto che, mentre Paul sa tutto di Chloé, lei non sa quasi nulla di lui e del suo passato. I turbamenti degenerano nel momento in cui la ragazza scopre l'esistenza di Louis, fratello gemello di Paul, anch'egli psicologo, di cui il compagno non le aveva mai parlato. Assumendo una finta identità Chloé comincia a frequentare anche lo studio di Louis, restando immediatamente attratta dai modi decisi e dominanti dell'uomo, opposti rispetto alla dolcezza caratteriale di Paul. Si avvia così un doppio legame, una doppia relazione, un meccanismo perverso che scatena reazioni a catena e lascia riemergere dalle tenebre segreti inconfessabili.
È innegabile come in questi ultimi anni Ozon si sia imposto come uno degli autori più brillanti e costanti di tutto il cinema non soltanto francese, bensì europeo. Conosciuto e amato da tanta parte del pubblico sin dalle sue prime opere di successo (Les amants criminels, 1998, Sous le sable, 2000), il regista parigino nel tempo ha trovato una compiutezza stilistica eccezionale, grazie alla quale ha recentemente realizzato un quartetto di lavori di livello assoluto (Dans la maison, Jeune et Jolie, Une Nouvelle Amie e Frantz). Forse conscio del proprio stato di grazia, Ozon ha deciso questa volta di andare oltre, di alzare ancora di più il tiro, imbastendo un dedalo filmico di non facile assimilazione ma di indubbio interesse.
Nel racconto della doppia vita amorosa della giovane Chloé (un'ottima Marine Vacth, bella conferma dopo la folgorazione di Jeune et Jolie), del rapporto “malato” con i gemelli Paul e Louis (entrambi rappresentati dallo sguardo magnetico di Jérémie Renier), dell'ingannevole sviluppo spiraliforme che accompagna tutta la durata del film tradendo continuamente le attese per farsi altro da sé, Ozon ha voluto per certi versi sfidare lo spettatore, tentanto di trascinarlo in un vicolo morboso, grondante alta tensione, situato all'estremo opposto rispetto alle sfavillanti luci melò di Frantz.
I temi tanto cari alla poetica ozoniana, dalla sessualità in perenne mutamento al corpo come eterno contenitore di seduzione e scoperta, trovano ancora modo di farsi vivi, dovendosi però in questo caso scontrare con gli ostacoli di una sceneggiatura che declama gli schemi di genere salvo poi sbottonarsi da ogni gabbia, quasi a voler a tutti i costi mostrare una libertà artistica che finisce, in qualche punto, paradossalmente, per eccedere senza validi motivi. Ciò non basta, comunque, a cancellare la fascinazione che ancora una volta Ozon riesce a porre sul piatto, utilizzando come sempre la forma, elegante ma mai pomposa, per dare sostanza e anima all'intreccio, appoggiato sui gradini di una scala a chiocciola sulla quale i protagonisti girano storditi e perduti.
Abile nel disegnare immagini erotiche stuzzicanti e ardite (vedasi il cunnilingus "insanguinato" e la scena della sodomia donna-uomo fatta da Chloé a Paul con l'ausilio di uno strap-on, tanto per ribadire una volta ancora il gusto di Ozon per il ribaltamento dei ruoli), l'autore lascia scivolare il suo film, in più occasioni, nelle terre buie dell'horror, assommando inoltre una vasta serie di omaggi cinefili più o meno evidenti, da Hitchcock a De Palma, da Cronenberg al Polanski di Rosemary's Baby, giungendo perfino a sfiorare (presumiamo inconsapevolmente) il Takashi Miike di Imprint (devastante e allucinato episodio dei Masters of Horror), senza peraltro nascondere mai il suo tocco personale e ben riconoscibile.
Non è un caso che dopo il passaggio a Cannes il film sia stato in molti casi denigrato e accusato di voler “prendere in giro” la platea. Anche la stampa francese, all'indomani dell'uscita nelle sale transalpine, si è schierata su fronti opposti. In effetti, durante la visione, si avverte la sensazione di un gioco, voluto e divertito, architettato per confondere le idee. Ma non è che questo debba per forza deve essere sinonimo di burla nei confronti del pubblico. L'importante è essere disposti a giocare anche noi, senza voler esigere a ogni costo il banale e stantio rispetto delle regole.
Se si riesce a porsi davanti al film con questo stato d'animo, si potranno apprezzare le qualità di una pellicola che, pur non avendo la stessa lucidità e solidità delle splendide opere precedenti, sa trovare piena dignità e regalare confusione e turbamenti, sogni e incubi, attrazione e repulsione, certezze e dubbi, corpi frementi e anime dolenti. Un universo seducente e arcano. Anzi due. O forse di più. Mondi infiniti. Come infinite sono e sempre saranno le sfumature dell'amore.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose
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Scheda tecnica
Anno: 2017
Durata: 110'
Regia: François Ozon
Sceneggiatura: François Ozon
Fotografia: Manuel Dacosse
Montaggio: Laure Gardette
Musiche: Philippe Rombi
Attori: Marine Vacth, Jérémie Renier, Jacqueline Bisset, Myriam Boyer