ci sta la notte buia e assassina,
e in mezzo al prato c'è una contadina,
curva sul tramonto sembra una bambina,
di cinquant'anni e di cinque figli,
venuti al mondo come conigli,
partiti al mondo come soldati
e non ancora tornati.
Generale, la guerra è finita,
il nemico è scappato, è vinto, è battuto,
dietro la collina non c'è più nessuno...”
(Generale, Francesco De Gregori)
Germania, 1919. La guerra si è conclusa. O forse no. Perché in fondo la guerra non finisce mai. Le cicatrici restano dentro, pulsanti e strazianti, sempre e per sempre. Il dolore per le persone morte durante il conflitto rimane, senza affievolirsi con il passare dei mesi. Le lacrime per un fidanzato che hai inutilmente atteso a casa per celebrare il matrimonio, le fauci della colpa per un figlio che hai mandato a combattere e non hai più rivisto, la distruzione intima che si macera nel ricordo del soggetto amato che mai potrai riabbracciare; tutto resta lì, lacerando dall'interno una vita ancora da vivere, ma deprivata di un vero senso. La guerra è finita, ma solo nella pratica. Nella sostanza invece ancora sussiste, ballando una danza oscura che scava nell'anima di chi ancora c'è, portando a galla il vuoto incolmabile della perdita.
Anna porta fiori sulla tomba del suo adorato Frantz, ragazzo partito alla volta della Francia per servire la patria tedesca e là ucciso dai nemici. Avrebbe dovuto sposarlo al suo ritorno, ma il sogno è stato ammazzato dalla triste realtà. Per lenire la sofferenza, la ragazza si è trasferita a vivere con i suoceri, regalando loro quel conforto indispensabile per non lasciarsi definitivamente investire dalle conseguenze della disgrazia. Un giorno, sulla tomba di Frantz, Anna vede un suo coetaneo in lacrime. Il visitatore misterioso è un ex soldato francese di nome Adrien. È partito da Parigi verso la Germania per rendere omaggio a un grande amico, con cui ha condiviso tanti momenti di gioia. O almeno, questo è ciò afferma davanti ad Anna e ai genitori di Frantz, che lo accolgono come una figura salvifica in grado di riportare in vita il figlio perduto, perlomeno nei ricordi.
Nel piccolo paese tedesco in cui si svolge la prima parte della vicenda Adrien è guardato con astio, sospetto, odio. Per il solo fatto di essere francese. Ma Anna e i genitori di Frantz trovano in lui un appiglio benedetto con cui riacquistare un piccolo sorriso che possa murare i fantasmi di una ferita incurabile. La verità, però, è molto diversa rispetto a ciò che Adrien afferma. La sua è solo una messinscena, e le bugie presto verranno (parzialmente) a galla; il ragazzo francese mente, Anna farà a più riprese la stessa cosa. E forse sarà giusto così, perché qualche volta la menzogna può aiutare a sopravvivere.
“Et je m’en vais
Au vent mauvais
Qui m’emporte
Deçà, delà,
Pareil à la
Feuille morte.”
(Chanson d'automne, Paul Verlaine)
Dopo il magnifico trittico composto da Dans la maison, Jeune et Jolie e Une nouvelle amie, François Ozon torna con un melodramma elegante e pregiatissimo, vincendo in pieno l'ennesima sfida e confermando una volta ancora uno stato di forma e ispirazione eccezionale. Alternando un sontuoso bianco e nero con lievi sprazzi di colore volti a rappresentare ricordi lieti o immagini di speranza, Ozon realizza il film più rigoroso della sua carriera, riportando in auge la grazia del cinema classico, unita a uno sguardo moderno e concreto.
Frantz, tratto dalla pièce teatrale L’homme qui j’ai tué di Maurice Rostand, in passato già utilizzata da Lubitsch, si dipana attraverso una levità narrativa e stilistica che in realtà nasconde dentro di sé emozioni feroci, sentimenti rabbiosi, sensi di colpa devastanti e amori possenti. Il racconto parte dalla Germania per poi trasferirsi in Francia, in un'alternanza logistica che al contempo simboleggia i comuni traumi post-bellici di due nazioni che alla resa dei conti hanno pianto identiche lacrime (“noi abbiamo brindato e bevuto birra celebrando i loro morti, loro hanno brindato e bevuto vino festeggiando i nostri morti”), in nome di ideali che hanno lasciato sul campo un lunghissimo e similare squarcio di sangue. Germania e Francia diventano così due facce della stessa medaglia, fuse insieme nel nome della disperazione causata dall'infinita ottusità della guerra.
Maestro dell'esplorazione di sessualità frementi e curiose, Ozon non rinuncia ad alcune tematiche della sua poetica, pur stavolta sfumate in un contesto storico molto più ampio. L'omosessualità nascosta ma suggerita (Adrien), il teorico triangolo imperniato su una figura peraltro assente (Frantz), i turbamenti violenti di colei che solo con l'amore può rimediare all'amore (Anna), l'erotismo del corpo che si svela (il bagno di Adrien, che esce sensualmente dall'acqua ricordando Ludivine Sagnier in Swimming Pool); intorno a loro la tenera ruvidità di un uomo dal cuore distrutto (il padre di Frantz), le connivenze sociali di chi vuol mettere a tacere ogni sospetto riguardante le tendenze del figlio (la madre del ragazzo francese), e poi spasimanti rifiutati, future spose sconfitte in partenza da un legame solo di facciata e tanti, troppi individui per i quali la guerra non è veramente finita e mai lo sarà.
Cullandosi con l'inappuntabile raffinatezza calligrafica della sua opera, Ozon inserisce nella narrazione elementi culturali diversi ma mai fini a se stessi: musiche che anelano una vana speranza di pace tra i popoli (l'accenno all'Inno alla Gioia di Beethoven), citazioni letterarie che abbracciano i grevi sussurri della malinconia (la Chanson d'Automne di Verlaine), rappresentazioni pittoriche che ben ostentano la difficoltà di andare avanti per chi deve affrontare ogni giorno il mostro della perdita (Le suicidé di Manet).
Aiutandosi con l'Arte, Ozon assembla un film pacifista denso e infuocato, impreziosito dalle belle prove attoriali dei due protagonisti, la giovane e ammaliante Paula Beer (premio Mastroianni a Venezia, riconoscimento di consolazione per un lavoro che ne avrebbe meritati ben altri) e il sempre bravo Pierre Niney (LOL – Laughing Out Loud, L'armée du crime, J'aime regarder les filles, Les Neiges du Kilimandjaro, 20 ans d'écart, Yves Saint Laurent), che a soli 27 anni è ormai già diventato a pieno titolo uno dei nuovi volti di riferimento del cinema francese. Utilizzando al meglio i loro freschi visi e le loro indubbie capacità, l'autore compone un trattato filmico nel quale il concetto stesso di “bugia” assume nuove significati, diventando paradossalmente l'unico antidoto a un male di vivere che non può avere altre medicine possibili.
Soltanto mentendo, talvolta, si può fare del bene alle persone amate. Soltanto mentendo si può guardare in faccia il presente e cercare in esso uno spiraglio di futuro. Soltanto così la notte può essere un po' meno buia e assassina.
Alessio Gradogna
Sezioni di riferimento: La vie en rose, Festival Venezia, Film al cinema
Scheda tecnica
Titolo originale: Frantz
Anno: 2016
Durata: 113'
Regia: François Ozon
Sceneggiatura: François Ozon
Fotografia: Pascal Marti
Montaggio: Laure Gardette
Musiche: Philippe Rombi
Attori: Pierre Niney, Paula Beer, Cyrielle Clair, Johann von Bülow, Ernst Stötzner
Uscita italiana: 22 settembre 2016