"La tua mano le ha asciugate. Poi il vento ha asciugato la tua mano. Così sono evaporate, e sono ricadute sotto forma di pioggia, un po’ più lontano.”
Mathilde ha solo 9 anni. Ma deve affrontare problematiche che la costringono a diventare più grande di quanto in realtà sia. I suoi genitori sono infatti separati e la bimba vede il padre saltuariamente, limitandosi in molti momenti a colloqui con lui via web. La difficoltà peggiore, però, è il comportamento della madre, afflitta da seri disturbi mentali che spesso la conducono a smarrimenti di cui giocoforza subisce le conseguenze anche la giovane figlia.
Tra fughe improvvise, acquisti insensati, viaggi in treno senza meta, vagabondaggi per strade e centri commerciali, giornate trascorse immobile come un automa e atteggiamenti imbarazzanti in mezzo alla gente, il teorico ruolo di protezione della madre perde di significato, sviando anzi verso la direzione opposta: è Mathilde, più volte, a doversi prendere cura di lei, a occuparsi della casa, a dover gestire quegli aspetti della vita quotidiana di cui una ragazzina di quell’età non dovrebbe farsi carico. Il cuore di Mathilde la porta a “salvare” uno scheletro utilizzato in via didattica dagli insegnanti della sua scuola, mentre a farle compagnia appare dal nulla un piccolo gufo parlante, che si tramuta in buon amico e confidente. Intanto gli eccessi della madre aumentano, giorno dopo giorno. Nel frattempo Mathilde cresce, suo malgrado, troppo in fretta, costretta dagli eventi.
Presentato in Piazza Grande a Locarno 2017, selezionato in concorso al My French Film Festival 2019 e purtroppo non distribuito in Italia, Demain et tous les autres jours è il sesto lungometraggio come regista di Noémie Lvovsky, vista recentemente in D’après une histoire vrai di Polanski e qui anche co-sceneggiatrice e co-protagonista insieme alla piccola Luce Rodriguez, rivelazione luminosa di nome e di fatto. L’opera della Lvovsky è una favola ad altezza di bambina, messa in scena con una notevole libertà espressiva che scava nei duri contorni del reale miscelando quest’ultimo con inserti diretti verso il magico mondo del fantastico. La storia assomma le connotazioni del racconto di formazione, le tante sfumature di un complesso e combattuto rapporto madre-figlia, le difficoltà di sopravvivenza di tante famiglie sfaldate da silenzi e incomprensioni. Materiale eterogeneo, ancor più in virtù della variante onirica, evidenziata dalla presenza dell’onnisciente uccello parlante e dalle cupe scene gotiche partorite dalla mente di Mathilde, la quale inventa fosche storie con cui dare sfogo alle proprie insicurezze e alla rabbia repressa per le pazzie della genitrice.
Va da sé come non sia semplice trovare un giusto e duraturo equilibrio tra tutte queste componenti. Non c’è dunque da stupirsi se il film talvolta pare lievemente sfilacciarsi. Eppure, anche nelle imperfezioni, la regista non perde mai di vista il senso e la forza della narrazione, utilizzando gli occhi profondi di Luce Rodriguez come tramite per lasciarci entrare nel dramma di una donna “qui ne peut plus coexister avec le monde” (1) e di una bimba che non si arrende e non smarrisce la volontà di mordere il presente. Oltre al lavoro in fase di scrittura e dietro la macchina da presa, l’autrice dell’apprezzato Camille Redouble (2012) si ritaglia anche un ruolo attoriale impegnativo, recitando il “grain de folie” (2) di una madre traviata dai demoni della mente con un intenso stordimento espressivo non lontano dalla Séraphine di Yolande Moreau (non a caso citata nei ringraziamenti alla fine dei titoli di coda).
1) Thomas Sotinel, Le Monde
2) Ariane Allard, Positif
Coraggioso e convinto delle proprie scelte, il film, girato nell’appartamento dei defunti genitori di due amici d’infanzia della Lvovsky e portato a termine nonostante l’abbandono anticipato del set da parte della Rodriguez per problemi di salute, si avvale di intense musiche che spaziano da Vivaldi a Philip Glass, da Prokofiev alla dolce Oh! My Mama di Alela Diane, trovando una bellissima alternanza di tonalità chiare e scure in una tavolozza riempita con passione e freschezza. Inoltre, la pellicola si copre di radici ancor più solide grazie alle folgoranti apparizioni di Mathieu Amalric e Anaïs Demoustier, capaci entrambi di realizzare ciò che solo i grandi attori sanno compiere, ovvero rendersi indimenticabili anche con un minutaggio assai limitato.
Così, tra dignità e compassione, voli empatici e corse di speranza, notti di Natale attese e poi carbonizzate e compleanni racchiusi in uno scrigno in fondo al mare, vaghe stelle in divenire e inevitabili prigioni, Demain et tous les autres jours raggiunge con successo il suo obiettivo, trovando l’apice in un finale di pura poesia, con un’ipnotica e fradicia danza che accomuna madre e figlia. Un ballo che è insieme lirismo, complicità, catarsi definitiva, elogio della diversità e glorificazione di un legame che non potrà mai essere incenerito dalle amarezze. Perché il sole e la luna, pur nelle loro inconciliabili differenze, sapranno sempre respirare la tenerezza di un abbraccio.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose
Scheda tecnica
Titolo originale: Demain et tous les autres jours
Regia: Noémie Lvovsky
Sceneggiatura: Noémie Lvovsky e Florence Seyvos
Fotografia: Jean-Marc Fabre
Montaggio: Annette Dutertre e Anne Weil
Anno: 2017
Durata: 95’
Attori: Luce Rodriguez, Noémie Lvovsky, Mathieu Amalric, Micha Lescot, Anaïs Demoustier, India Hair