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LOL - I turbamenti dell'età inquieta

19/12/2013

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Lola, per gli amici Lol, ha 16 anni, e si appresta a iniziare il nuovo anno scolastico nel liceo in cui è iscritta. Durante il primo giorno di scuola scopre che il fidanzato Arthur durante l'estate l'ha tradita e lo lascia. Poco dopo comincia a sviluppare un rapporto sentimentale con Mael, miglior amico dello stesso Arthur. Nel frattempo sua madre Anne, divorziata dal marito con cui peraltro ancora intrattiene fugaci rapporti carnali, conosce un poliziotto gentile con cui prova a dare vita a una nuova relazione. Il rapporto di estrema complicità tra madre e figlia trova un duro momento di crisi nell'attimo in cui Anne rintraccia il diario segreto di Lola e lo legge per scoprirne tutti i segreti. Tra litigi riappacificazioni i mesi avanzano, accompagnati da musica, feste scatenate, surreali gite scolastiche in Inghilterra, professori da denigrare, pagelle non proprio esaltanti, punizioni dei genitori, primi approcci sessuali, incomprensioni, gelosie, ripicche, lacrime e sorrisi.
Raccontata così, parrebbe una tipica commedia adolescenziale uguale a mille altre. Situazioni standardizzate, imprevisti scontati, quadro d'insieme basilare. Tutto semplice, tutto ovvio. Ma c'è modo e modo di descrivere per parole e immagini i turbamenti dell'età inquieta. Lontano anni luce dai terrificanti teen movies all'italiana (o all'americana), LOL - Laughing Out Loud, diretto da Lisa Azuelos, realizzato nel 2008 e uscito nel 2009 per poi approdare dalle nostre parti direttamente in Tv, riesce a sviare le trappole della banalità e si trasforma in un lavoro di sorprendente spessore, capace di balzare all'occhio nell'affollato calderone dei ritratti giovanili sempre preminenti anche nel cinema transalpino.
Con freschezza, tocco mai troppo invasivo, modernità di stile e contemporaneità di linguaggio, la Azuelos torna agli odori del tempo delle mele, attualizzando però la narrazione con stilemi prepotentemente incastonati nel presente (i telefonini, la messaggeria istantanea), senza (quasi) mai smarrire il piacevole sapore di un racconto che scivola alla visione con invidiabile ritmo e concretezza, senza fermarsi al mero primo piano di una sedicenne in cerca di scoperte e conferme. LOL si dipana infatti seguendo due linee parallele, pronte a intersecarsi con ampia fluidità: il percorso di formazione di una ragazza in cammino verso l'età adulta e i sentieri disconnessi di una madre incerta, per la quale lo scarto generazionale non elimina le alte probabilità di inciampare in crisi esistenziali nient'affatto lontane da quelle della figlia. 
Lola e Anne diventano così due simboli dei medesimi tremori, pedinati dalla Azuelos con graffiante velocità e brillantezza; da un iniziale bagno insieme nella vasca fino alla burrascosa e temporanea separazione, dai teneri abbracci nel letto fino alle inevitabili esplosioni di rabbia, il rapporto tra le due cambia pelle mille volte rimanendo in fondo sempre lo stesso: l'amore sa infatti superare ogni sfogo e tormento, mentre l'evidente bisogno che hanno una dell'altra è sufficiente a contrastare ogni mina vagante nell'impervio cammino verso una crescita individuale che non potrà mai avere fine.
A incarnare Anne troviamo una deliziosa Sophie Marceau, splendida (ultra) quarantenne che in quel tempo delle mele ha trovato la sua epifania artistica e che qui ha saputo rimettersi in gioco, passando dall'altra parte del muro per regalarci un'interpretazione ricchissima di sfumature e vivacità. Accanto a lei, in completa sintonia, una delle rivelazioni del cinema francese di questi ultimi anni, Christa Theret, non a caso nominata ai César come miglior “promessa” femminile per questo ruolo: una speranza poi mantenuta, vista la sua folgorante e sensualissima interpretazione nel recente Renoir di Gilles Bourdois.
Nel 2012 è stato realizzato, tanto per cambiare, un remake americano, diretto dalla stessa Azuelos e uscito in Italia con il deprimente titolo LOL - Pazza del mio migliore amico. Come sempre in questi casi, il consiglio è di evitarlo con cura e recuperare invece il film originale, gradevolissimo e ben superiore alle apparenze; un prodotto d'intrattenimento intelligente che certi registi (??) italiani dovrebbero prendere a esempio e studiare a fondo, invece di continuare ad ammorbare le sale con devastanti storielle puberali di infimo livello.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Titolo originale: LOL (Laughing Out Loud)
Anno: 2008
Durata: 105'
Regia: Lisa Azuelos
Sceneggiatura: Lisa Azuelos, Nans Delgrado
Attori: Sophie Marceau, Christa Theret, Alexandre Astier, Jocelyn Quivrin, Jeremy Kapone

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RENOIR - Il dolore passa, la bellezza rimane

22/10/2013

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Costa Azzurra, 1915. Pierre-Auguste Renoir, maestro dell'impressionismo, trascorre gli ultimi anni della sua vita in una grande proprietà immersa nella natura. Stanco e sfiduciato, costretto su una sedia a rotelle, con le mani ormai deformi, Renoir ripensa con dolore alla moglie defunta e soffre la lontananza dai figli, impegnati in prima linea in guerra. Un giorno si presenta nella dimora la bellissima Andrée, dirompente Musa con tanti sogni proiettati verso il futuro. A contatto con l'avvenente fanciulla il pittore ritrova la voglia di dipingere, e inizia a sfruttare la sua nuova e giovane modella per dare vita a splendidi ritratti di nudo incastonati nel paradiso bucolico che li circonda. Quando però il figlio Jean torna a casa dalla guerra per un periodo di convalescenza dovuto a una brutta ferita a una gamba, egli stesso non può resistere al fascino di Andrée e se ne innamora. Padre e figlio si trovano così succubi della stessa donna, mentre intorno a loro l'odore acre del conflitto mondiale si fa sempre più pressante.
Diretto da Gilles Bourdos, giunto al suo quarto lungometraggio, uscito nelle sale transalpine a gennaio e scelto per rappresentare la Francia ai prossimi premi Oscar, Renoir persegue coordinate stilistiche indirizzate verso le consuetudini del cinema biografico, con i pregi e i difetti connessi a un genere che spesso fatica a sottrarsi a una certa medietà di fondo. Ponendo in prima linea le straordinarie scenografiche naturali di cui dispone, l'autore colloca il suo film in una sorta di Eden imbevuto dal profumo della creazione artistica, fotografando l'essenza della bellezza estetica. A differenza di altre opere similari, non si limita però allo scavo psicologico e situazionale rivolto a un unico personaggio; al contrario il lavoro di Bourdos allinea almeno quattro diversi protagonisti, le cui mutazioni cavalcano sentieri abili a incrociarsi senz'affanno ogni volta che la sceneggiatura lo richiede.
Innanzitutto c'è Auguste, padre e padrone, uomo anziano ormai stanco e assai provato nel fisico e nell'anima, a cui però basta una piccola scintilla, incarnata da una Venere con i capelli rossi, per ritrovare lo slancio dei tempi andati e consumare ogni residua energia gettandosi a capo fitto nei colori e nelle forme che sulla tela acquisiscono anima e immortalità. Immobilizzato non per costrizione bensì per scelta, perché “camminare mi costerebbe troppa fatica, e non mi lascerebbe più sufficienti energie per dipingere”, il pittore sfida la sofferenza per inseguire sino all'ultimo un sogno d'Arte da consegnare alla leggenda, in quanto “il dolore passa, la bellezza rimane”.
Accanto a lui c'è Andrée, ragazza determinata a costruirsi un domani ricco di gloria, successi, fama, felicità. Per lei, almeno all'inizio, l'arrivo a casa Renoir è soltanto un incipit, un trampolino di lancio, un modo per sentirsi ella stessa “artista”. Giocando con le linee sinuose del suo corpo Andrée soffoca ogni pudore, mordendo i freni dell'umiltà per scatenare un'anima ribelle a cui il destino riserverà sia gioie che sconfitte.
Presenza-assenza nei primi minuti della narrazione, Jean fa la sua comparsa aiutandosi con le grucce, limitato da una semi-infermità che quasi naviga a braccetto con quella del padre. Ligio al dovere e al richiamo della patria, il futuro maestro del cinema pare non avere né sogni né ambizioni; il suo sguardo verso il mondo è carico di dubbi, incertezze, paure e fragilità, e soltanto in battaglia egli trova la sfrontatezza per sentirsi realizzato. L'incontro con Andrée e le prime suggestioni legate alla Settima Arte muteranno la situazione, lasciando gradualmente sbocciare in lui una ben precisa strada per l'avvenire.
Infine c'è proprio la guerra, quarto personaggio essenziale del racconto, protagonista senza volto la cui ombra traspare in ogni scena come una nube minacciosa pronta a scatenare un'esiziale tempesta da un istante all'altro. Strumento di morte e corruzione, essa si infila nel paradiso dei Renoir, macchiando la limpidezza del luogo con il suo carico di sporcizia, volgarità, polvere e sangue, alla stregua di un subdolo veleno pronto a penetrare da ogni fessura, per defenestrare l'ambizione assolutista dell'Arte centrifugandola tra i miasmi ben più concreti della realtà.
Elegiaco, puntuale, schematico ma non così scontato, Renoir vive anche e soprattutto tra i volti e i corpi dei suoi attori. Risulta perfino superfluo rimarcare la grandezza di Michel Bouquet, classe 1925, che quest'anno abbiamo potuto ammirare anche nella magnifica retrospettiva dedicata a Robert Guédiguian del Bergamo Film Meeting, mentre svolge il suo compito con sufficiente efficacia Vincent Rottiers, vero uomo-ovunque del cinema francese in questi ultimi 4-5 anni (lo abbiamo visto ad esempio in Je suis heurex que ma mère soit vivante dei Miller, nel belga Le monde nous appartient e anche in Mood Indigo di Gondry).
La vera e assoluta rivelazione del film di Gilles Bourdos ha però un volto, un nome e un cognome ben definiti: Christa Theret, parigina, ventidue anni, già candidata due volte ai César. La ragazza sfonda letteralmente lo schermo, in un irresistibile mix di purezza virginale, sfrontatezza, candore e mistero, elementi sottolineati dalla voce un po' roca e da un corpo fresco e levigato che pare davvero uscito da un'opera d'Arte. Con il suo sguardo al contempo timido e malizioso e la perfezione del suo seno, “per il quale verrebbe voglia di inginocchiarsi”, la Theret posa nuda in molteplici scene, con invidiabile naturalezza, danzando come una libellula nel vento, proponendosi come compiuta erede della Emmanuelle Béart di La belle noiseuse di Rivette, al confronto della quale non sfigura affatto. Una mirabolante scoperta, di cui senza dubbio sentiremo ancora parlare.
In conclusione, Renoir è un film che sa stare al suo posto, proponendo un cinema descrittivo e ordinato che ha il merito di non cercare artifici superflui; nonostante questo, come già abbiamo affermato nell'articolo relativo, resta poco comprensibile il motivo per il quale sia stato scelto dalla Francia per rappresentare la nazione nella corsa all'Oscar, visto il suo carattere riflessivo, elegante e parsimonioso, assai poco adatto ai gusti americani.

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: La vie en rose


Scheda tecnica

Regia: Gilles Bourdos
Sceneggiatura: Jérome Tonnerre, Michel Spinosa and Gilles Bourdos
Attori: Michel Bouquet, Christa Theret, Vincent Rottiers, Thomas Doret
Musiche: Alexandre Desplat
Fotografia: Mark Lee Ping Bin
Montaggio: Yannick Kergoat
Anno: 2012
Durata: 111'

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