Attore molto amato in Francia, Jean-Paul Rouve realizza con Quand je serai petit la sua seconda opera da regista (dopo Sans arme, ni haine, ni violence, del 2008), ritagliandosi un doppio ruolo davanti e dietro la macchina da presa, per raccontare una storia di sentimenti contrastati, rancori sopiti, consapevolezze trascurate, indispensabili patti con il destino. Mathias deve fare i conti con una tragedia lontana nel tempo ma non per questo assimilata: quando aveva dieci anni, il padre morì per un cancro fulminante, e la madre non gli permise di salutarlo prima della sua dipartita, scegliendo di nascondere al figlio l'imminente scomparsa del genitore. Trent'anni dopo, Mathias conosce questo bambino uscito dal nulla, e scopre impressionanti attinenze con la sua storia personale. Da qui, parte un viaggio a ritroso nella coscienza, in perpendicolo tra presente e passato, attuato allo scopo di sconfiggere una volta per tutte i demoni della perdita, a costo di ribaltare ogni certezza acquisita nel tempo.
Commedia drammatica solo in apparenza, l'opera seconda di Rouve, uscita in patria a giugno 2012 e presentata in anteprima italiana a Roma e Torino durante la rassegna Rendez-Vous, si muove in realtà lungo i confini del thriller metafisico, oscillando per tutta la sua durata in bilico sulla non-credibilità degli eventi. Un terreno pericoloso e accidentato, che lascia qualche dubbio all'inizio salvo poi convincere grazie alla capacità dell'autore di tenere per mano il racconto senza perderne le redini. Come spesso accade nei lavori in cui un regista/attore racconta una storia intima, si ha l'impressione di trovarsi davanti un lavoro tanto sincero quanto ingenuo, pervaso da un'apprezzabile urgenza di scrittura che fa dell'imperfezione una nota di merito e non un punto dolente.
Coadiuvato dal piccolo e bravissimo Miljan Chatelain, da figure di contorno precise e puntuali come Miou Miou, Xavier Beauvois (regista dello straordinario Uomini di Dio) e l'amico Gilles Lellouche, e soprattutto da Benoit Poelvoorde, uomo ovunque ormai sparso come il prezzemolo in tutto il cinema franco-belga degli ultimi 3-4 anni, Rouve rischia, si mette in gioco, cerca di non travolgere l'impianto stilistico con un'eccessiva tendenza all'accumulo, e riesce nell'intento, mostrando una sensibilità non comune soprattutto nel sofferto, carezzevole e bellissimo finale.
Il piccolo/grande Mathias, uno e infinito, travalica così la dimensione adulta, per tornare all'età della scoperta, dell'innocenza, dei primi turbamenti amorosi. Insieme al suo giovane alter-ego balla con i suoi compagni in una festa di compleanno (La Boum, espressione molto utilizzata in Francia, non a caso scelta da Claude Pinoteau per il suo celeberrimo film con Sophie Marceau), e nello stesso istante compie un passo in quella corsia d'ospedale mancata trent'anni prima, per dare un definitivo senso a una vita rimasta per troppo tempo accoccolata nella dimensione dell'incertezza. Così, finalmente, tra il fulgore delle lacrime e la dignità dell'amore, si chiude il cerchio della pace.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: La vie en rose
Scheda tecnica
Regia: Jean-Paul Rouve
Sceneggiatura: Benoît Graffin e Jean-Paul Rouve
Fotografia: Christophe Offenstein
Musiche: Emilie Simon
Durata: 95'
Anno: 2012
Attori principali: Jean-Paul Rouve, Benoît Poelvoorde, Miljan Chatelain, Xavier Beauvois, Miou-Miou