Quello di Schrader è un film che si guarda morbosamente allo specchio, che nel riconoscere il se stesso riflesso dall'altra parte decreta l’inevitabile morte di sé e del cinema tutto, così ben esemplificata dalle inequivocabili sale distrutte e in stato di abbandono che puntellano i titoli di testa.
Un film che si annulla nella propria auto-riproduzione non può che essere dunque assai narciso: la casa di produzione presente nei titoli di testa, dal colorito nome Prettybird, è poi visibile (il logo, naturalmente) sul muretto di fronte a un parcheggio. Una genesi progressiva, che prende vita sotto i nostri occhi, come un happening spiritato.
James Deen e la bolsa Linsday Lohan sono sarcofagi e sepolcri imbiancati a rappresentanza di un’evanescenza dilagante, di un divismo fatto a pezzi e martoriato fin quasi a diventare intangibile, proprio come loro due, così fisici sullo schermo eppure così irreali, il pornodivo e la star autodistruttiva, nient’altro che cenere dentro a un'urna sconsacrata. Il primo cammina come un American Gigolò ma è più un ellisiano American Psyco, una precisazione che però non rende il film meno schraderiano di quel che è, per lo meno dal punto di vista coreografico. Cellulari, facebook, messaggeria istantanea d’ogni tipo, in un vortice totalizzante di tecnologia che spersonalizza e rende gelidi, svuotati, anaffettivi. Una Los Angeles digitalizzata in modo vampiresco, l’inaccettabilità che siano gli altri a dominarci (Deen confida allo psicologo Van Sant i suoi problemi sul fatto che Tara/Lohan lo forzasse a consumare un rapporto gay: "Mi sono sentito un attore, come quando vengo qui"), per non parlare della casa di Deen/Christian che si staglia sul paesaggio come un livido promontorio della paura.
Metacinema profetico, quello di Schrader, che piaccia o no (d’altronde, uno come lui un motivo minimo per voler fare questo film forse deve anche averlo avuto, testo/sceneggiatura di Bret Easton Ellis a parte… o no?). Guarda oltre, The Canyons, al cinema come lo conosciamo sempre più prossimo alla sparizione. Però, in fondo, è un orizzonte saputo e risaputo, tirato in ballo già da molti. E tra l'altro il monito metacinematografico esplode in un finale fin troppo spettacolarizzato, con Christian che di Patrick Bateman oltre alle ossessioni replica anche la vena sanguinaria: farsi mettere in guardia da uno come Ellis sui rischi dal metacinema, lui che nel “meta” ha sempre sguazzato a piene mani, è come diventare vegani su consiglio del proprio macellaio di fiducia.
Per cui sì, The Canyons risulta un lavoro un po’ ruffiano, ma è un film moderatamente interessante che va comunque capito e decodificato fino in fondo. Sennò rischia di essere mal compreso e di passare solo per la sagra dello scempio recitativo. E non sarà servito a nulla.
Davide Eustachio Stanzione
Sezione di riferimento: Festival
Scheda tecnica
Regia: Paul Schrader
Sceneggiatura: Bret Easton Ellis
Attori: Lindsay Lohan, James Deen, Nolan Gerard Funk, Amanda Brooks, Gus Van Sant
Fotografia: John DeFazio
Montaggio: Tim Silano
Musiche: Brendan Canning
Anno: 2013
Durata: 104'