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TORINO FILM FESTIVAL 37 – La gloria del passato, i dubbi sul futuro

2/12/2019

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​Dal 22 al 30 novembre si è svolta l’edizione numero 37 del Torino Film Festival, l’ultima affidata alla direzione di Emanuela Martini, in attesa di sapere se ci sarà una conferma con ulteriore mandato per lei e il suo staff o se la manifestazione finirà in mani nuove. Un’annata di transizione, apparsa in tono minore rispetto alla grazia a cui i giorni sotto la Mole ci avevano abituato, anche se come sempre non sono mancati titoli in grado di assicurare al pubblico torinese un ampio e diversificato ventaglio di visioni, in alcuni casi molto interessanti.
​Se da un lato va sottolineata la sempre più netta (ed eccessiva) preponderanza del cinema statunitense, a discapito in particolare del cinema francese, quest’anno quasi del tutto assente (perlomeno dalle sezioni principali), dall’altro la vastità del programma ha comunque saputo regalare momenti suggestivi un po’ per tutti i gusti.
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Il Concorso Internazionale, con giuria capitanata da Cristina Comencini, ha decretato la vittoria del finlandese A White, White Day, apprezzato dalla critica così come altri titoli di valore, su tutti il potente russo Dylda/Beanpole e il sorprendente film distopico spagnolo El Hoyo. Meritano senz’altro una citazione anche il tunisino Le rêve de Noura, vincitore del premio Fipresci, intensa storia di una donna in lotta per la propria emancipazione sentimentale, con una magnetica e magnifica protagonista (Hind Sabri) che avrebbe avuto tutte le carte in regola per ottenere il riconoscimento di miglior attrice (andato invece alle interpreti di Dylda), e il cileno Algunas Bestias, spietato e disarmante dramma familiare in stile hanekiano con una parte finale durissima, forse persino troppo, ma in grado di cogliere nel segno. È piaciuto (perlomeno al pubblico) anche l’italiano Il grande passo, nonostante faccia piuttosto sorridere il premio, palesemente patriottico, assegnato come migliori attori alla coppia Fresi/Battiston. 
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Una delle qualità che rendono il TFF un evento da anni imprescindibile nel panorama nostrano è la sua varietà, sempre in equilibrio tra attenzione al cinema d’autore e istanze più commerciali. Come accennato alcuni titoli, in particolare di provenienza statunitense, sono sembrati trascurabili, tutt’altro che necessari, così come è apparso superfluo l’inserimento di (troppe) pellicole non esaltanti di già stabilita e imminente distribuzione. Ma c’è stato comunque spazio pure per visioni di notevole pregio.
​Ci teniamo, ad esempio, a spendere qualche riga per Tommaso, di Abel Ferrara, lavoro autobiografico sospeso tra (poca) finzione e (tanta) realtà, in cui il grande autore, in una sorta di personalissima seduta psicanalitica, si mette a nudo per parlarci di sé stesso, attraverso il suo magistrale alter ego Willem Dafoe. Su e giù per le strade di Roma, tra bar di quartiere, spezzoni di umanità, giochi al parco, incontri con ex alcolisti, caffè serviti da donne completamente nude e lezioni di teatro, ed esprimendosi in tre lingue diverse, Ferrara/Dafoe racconta le sue esistenze passate e presenti, le paure inconsce, le insicurezze, le tentazioni, le nevrosi, generando un quadro filmico appassionante, con attimi di oscurità e polveri di sensualità. Una rappresentazione a tratti tenerissima e priva di pudori, al punto che il regista non si fa alcun problema a porre davanti alla macchina da presa la sua vera compagna (a cui fa simulare anche una scena di sesso abbastanza spinta con Dafoe) e la reale figlioletta di tre anni, traslando nell’oggetto cinema il centro focale del cuore e i tormenti dell’anima. Un’opera apparentemente bislacca e improvvisata, in realtà concreta e validissima. 
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Oltre al Concorso Internazionale, alla pantagruelica Festa Mobile e ad After Hours (quest’anno sottotono), gli spettatori del TFF hanno potuto dividersi tra documentari, cortometraggi, mini-retrospettive (come quella dedicata all’autrice macedone Teona Strugar Mitevska) e omaggi di varia natura, finendo poi in molti casi per confluire nelle meraviglie di Si può fare!, abbondante viaggio all'interno della storia del cinema horror dagli anni ’20 alla fine degli anni ’60, e nelle suggestioni impegnative ma brillantissime di Onde, dove sono stati mostrati tra gli altri Vitalina Varela di Pedro Costa (Pardo d’Oro a Locarno 72) e Synonymes di Nadav Lapid (Orso d’Oro a Berlino), titoli che avrebbero giovato di una collocazione più centrale. 
​Va poi sottolineata, una volta ancora, la bontà di Torino Film Lab, sezione spesso trascurata (da alcuni purtroppo perfino ignorata) ma come sempre capace di offrire incanti ben superiori rispetto ad altre zone del festival assalite con molta più veemenza. Un’ennesima conferma, con ottime produzioni come il ceco HRA/The Play, racconto poetico e vibrante in bianco e nero dove il dramma in scena corre in parallelo con il dramma della vita, e Port Authority, storia di un amore che supera confini, barriere culturali, omertà e pregiudizi.
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A fronte di una proposta contemporanea comunque nel complesso non entusiasmante, è nel cinema del passato che il TFF 37 ha trovato un decisivo sostegno, a partire dai film scelti dal guest director Carlo Verdone (che bello rivedere Divorzio all’italiana di Germi, Viale del tramonto di Wilder, Ordet di Dreyer), fino appunto ai capolavori che hanno seminato orme immortali nella leggenda del cinema del terrore, da La maschera del demonio di Bava a Il pozzo e il pendolo di Corman (entrambi presentati in sala dall’iconica Barbara Steele), dai Frankenstein di Fisher a La bambola del diavolo di Browning, da Ho camminato con uno zombie di Tourneur a Gli invasati di Wise, dal Nosferatu di Murnau a Rosemary’s Baby di Polanski, e molti altri. Peccato però che pochi di questi splendori siano stati proiettati in 35 millimetri.
​
Non sapendo al momento cosa accadrà a livello istituzionale, va detto che il successo del TFF, con pubblico sempre numeroso e location affollatissime, necessiterebbe ormai di un ampliamento degli spazi e in qualche caso di strutture più consone (la sala 5 del Cinema Reposi, sede di Onde, è totalmente inadeguata per un evento di tale portata). Al contempo vige la speranza che i continui tagli al budget, e/o eventuali scelte artistiche deleterie, non finiscano per decretare l’inesorabile declino di un festival che negli ultimi 2/3 lustri ci ha donato un’infinità di memorabili ipnosi collettive (la febbre per i Masters of Horror, le strepitose retrospettive su Sion Sono e Polanski, la visione in anteprima nazionale di Holy Motors, Broken Trail, Les Bien-Aimés, La guerre est déclarée, Maniac, The Lords of Salem, L’économie du couple, solo per citare i primi luminosi ricordi che bussano alla mente). 
Nel tempo il festival ha acquisito un’identità più che consolidata; un pregio mai neanche avvicinato, tanto per fare un paragone, dalla Festa di Roma. Bisogna solo auspicare che la suddetta identità sia mantenuta ben salda e che il TFF, dalla cima del suo carattere al contempo “alto” e popolare, possa e voglia continuare anche in futuro a proporre tanto cinema di qualità. 

Alessio Gradogna

Sezione di riferimento: Torino 34-36-37

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