Da “Cento anni fa”, i 198 minuti di Intolerance di Griffith, due film di Mauritz Stiller (Vingarne, Balletprimadonnan), l'incantevole e composto “melodramma pittorico”- storico L'esclave de Phidias di Léonce Perret e altre piccole cose, anche italiane: drammi di forte retorica patriottico-bellica – Il sopravvissuto di Augusto Genina – e il restauro dello spietato melodramma dannunziano La fiaccola sotto il moggio con Helena Makowska.
Un passaggio di qualche decennio ed ecco l'omaggio a Mario Soldati: se la bellezza ben più che “calligrafica” di Malombra è nota, La mano dello straniero da Graham Greene è migliore della sua scarsa fama critica, forte del personaggio del deprecabile dottore (Eduardo Ciannelli). Se è vero che Soldati amava gli attori lo si vede anche qui, ad esempio nella scena al bar col bambino. La provinciale con Gina Lollobrigida, trasposizione da Moravia strutturata in flashback di più personaggi tutti inerenti la protagonista, è un'opera esatta e senza giri a vuoto, con un'atmosfera drammatica e concentrata.
La comicità e i suoi grandi: Buster Keaton del quale prosegue il Progetto col restauro di alcune comiche, di Our Hospitality e Seven Chances, Stan Laurel con alcuni minuti ritrovati di una comica che parodizza Valentino, Oliver Hardy (e Jimmy Aubrey) in Maids and Muslin, Jerry Lewis (con Jerry 8 ¾) e, ancora, Chaplin, di cui si è rivisto in piazza Maggiore Il monello. Oltre alle proiezioni serali in questa cornice (Legittima difesa, Spettacolo di varietà, L'albero degli zoccoli, Valmont), alcune serate in piazzetta Pasolini con muti da proiettore a carboni, come il programma finale – un'ora circa di film delle origini fra trucchi e colorazioni ipnotiche – e Coeur fidele di Jean Epstein.
Alla sorella Marie, attrice, sceneggiatrice e regista (con Jean-Benoît Levy) è stata dedicata una sezione, con opere tra gli anni venti e i cinquanta: il muto Peau de pêche (1929) conquista con la sua delicatezza, sebbene non esente da una convinta dose di retorica giocata sul binomio vita (in campagna) e morte (la prima guerra mondiale)
Si resta in Francia e si torna indietro, di molto: la sezione “1896. Cinema anno uno” è andata alle fondamenta della settima arte con la produzione di quell'anno dei fratelli Lumière, protagonisti anche di un cofanetto e di una mostra completa (prosegue fino a gennaio) che spazia dal pre-cinema alla loro attività industriale, toccando il lavoro degli operatori fatti viaggiare per il globo intero. Piccolo spazio anche per Méliès, con i pochi film sopravvissuti datati 1896 più due ritrovamenti, Une séance de prestidigitation e Bouquet d'illusions.
Nell'omaggio a Jacques Becker, i suoi grandi classici (Casco d'oro, Il buco) e film più “piccoli” ma lo stesso riusciti come Edoardo e Carolina (1951), fresca e amara commedia di crisi di coppia e differenze sociali.
Non su un regista, come di consueto, ma su un produttore il focus sul cinema Usa tra muto e sonoro: Carl Laemmle jr, figlio del più noto patron della Universal, che la ereditò tra 1928 e 1936. Una selezione eterogenea con opere musicali, come King of Jazz, film-rivista per il gusto d'oggi stancante, ma con curiosità estetiche (a cominciare dal Technicolor a due colori, col trucco a gote rosse sugli attori di ambo i sessi) e narrative (perché tra un esibizione musicale e l'altra, hanno spazio alcuni momenti degni di un film-barzelletta), e film di James Whale, come Remember Last Night?, un giallo-rosa con alcuni personaggi molto gradevoli (la coppia di detective, uno burbero l'altro idiota, e il maggiordomo sdegnoso dei vacui signori tra cui lavora), dal dialogo talora sin troppo rapido e smart e un po' meno convincente verso la fine, quando si prende più sul serio. Bello A House Divided di William Wyler con Walter Huston, essenziale dramma con la sua poderosa interpretazione di un duro, ottuso e violento vedovo pescatore che si risposa con una giovane senza essere ricambiato e stimolando la reazione del figlio, molto diverso e considerato dal padre un inetto.
Immancabili le sezioni su Giappone – e il suo colore – e sul “cinema del disgelo” sovietico anni '50. Nella prima anche un Mizoguchi (New Tales of the Clan Taira) e una trasposizione da Mishima che non ci si aspetterebbe, Natsuko's Adventure in Hokkaido, da un romanzo giovanile, presentato come melodramma ma in realtà film ibrido e leggero, arduo da etichettare, tra umorismo e modesti brividi di avventura, in una copia mancante in vari punti dell'immagine e nel prefinale del sonoro.
Dal 1916 ancora Russia, ma quella zarista con drammi (Nelli Rainceva e A Life for a Life di Evgenij Bauer) e trasposizioni letterarie/teatrali (The Queen of Spades da Puskin), in copie perlopiù in bianco e nero, senza le colorazioni d'epoca.
Su “Technicolor & co.” il festival continua a tornare: il thailandese Santi-Vina (1954), primo lungometraggio a colori in 35mm della nazione, e, tra gli altri, una copia “dorata” di Riflessi in un occhio d'oro e Marnie.
Nei “Ritrovati e restaurati”, il bel cubano Memorias del subdesarrollo di Tomás-Gutiérrez Alea, che unisce il (molto) privato del protagonista, con le sue relazioni, al pubblico (esplicito) delle “parentesi” sul paese. Un film molto vivo, ottimamente recuperato da materiali malmessi. Poi, Il sorpasso, Io la conoscevo bene, Westfront di Pabst, oltre a qualche titolo decisamente più recente come La promesse dei Dardenne. Altri ritrovamenti da segnalare: i primissimi corti di Jacques Rivette.
Da citare infine, all'interno di un omaggio a Marlon Brando che ha incluso anche i soliti Ultimo tango a Parigi e Il padrino, Listen to me Marlon di Stevan Riley, emozionante doc che racconta l'attore e l'uomo dalla gioventù ai drammi legati ai figli.
Piccola novità di quest'anno la segnalazione sul programma delle proiezioni in pellicola; meno graditi i ripetuti “tutto esaurito” alle proiezioni dei film muti pomeridiani nella (non capientissima) sala Mastroianni, non solo per film noti come Destino di Fritz Lang, ma anche per A Woman of the World con Pola Negri.
Appuntamento all'anno prossimo, nel quale dovrebbe aggiungersi una sala in più, in attesa di riapertura da parte della Cineteca: il Modernissimo, in piazza Maggiore.
Alessio Vacchi
Sezione di riferimento: Festival Report