Manila, caos metropolitano: due carcerati escono dalla prigione di notte, di nascosto, assoldati da un sicario senza scrupoli per eliminare gli sventurati di turno; dopodiché, il mattino dopo, rientrano in cella. Due poliziotti danno loro la caccia; nel frattempo il più giovane dei due scopre che alcuni alti funzionari di Stato sono implicati in una lunga serie di misfatti.
Quattro personaggi principali, numerosi altri di contorno, in una giostra impazzita che travalica ogni senso morale per rotolare senza pietà nel fango della morte. Storie che viaggiano in parallelo e poi si intersecano, tessere che cadono una a una senza freni, uomini senza futuro in costante pericolo di attacco e vendetta. Una guerra quotidiana, combattuta senza distinzione tra le luci del giorno e il buio della notte; un conflitto in cui si ammazza in strada in mezzo alla folla, si spara e si uccide in una cucina mentre nella stanza accanto si celebra una festa con bambini e musiche allegre, si abbraccia un fedele compagno per poi infilargli un coltello nel cuore due secondi dopo.
Tutto questo è On The Job, tesissimo noir filippino diretto da Erik Matti e presentato al Festival di Courmayeur dopo il passaggio alla Quinzane di Cannes e la vittoria del premio della giuria al PiFan. Penalizzato da una programmazione un po' troppo tardiva (le 23.30) che ha limitato il numero di presenze in sala, il film di Matti ha comunque permesso al pubblico di addentrarsi nella spietata desolazione incubale di una realtà straniante e straziante, in cui la comunione degli affetti è ogni giorno sacrificata nel nome del lavoro, unico collante capace di far sentire importanti i propri interpreti, altrimenti ridotti a figurine senza corpo in un universo che divora se stesso in ogni istante tra polvere e corruzione.
Secondini venduti, mogli fedifraghe, politici divorati dalla sete di potere; fiducia calpestata, maschere di eterna finzione, rapporti familiari sacrificabili; ricerche e inseguimenti, evasioni e ritorni, maestri dell'omicidio e allievi indisciplinati; promesse di cartapesta, legami che scoppiano come tenere bolle di sapone: On The Job è un viaggio nel nero della contemporaneità, condotto con uno stile di regia dirompente che sa miscelare con talento l'atrocità del racconto e la fantasia compositiva di una messinscena che corre per 120 minuti, senza accusare praticamente mai momenti di stanchezza e autocompiacimento.
L'opera di Erik Matti, accompagnata da scelte musicali ad ampio spettro capaci di issarsi a ottimo corollario della parte visiva, e da buone prove attoriali tra cui spicca quella di Joel Torre, risulta dunque tanto devastante nei contenuti quanto appassionante alla fruizione, tanto disperata e soffocante nel racconto quanto imponente nel ritmo. Un film convinto dei suoi mezzi, centrato negli obiettivi e solido nello sviluppo, in cui il suo autore sa dipingere con tonalità grintose l'Apocalisse di un tempo offeso e umiliato. Là, negli esterni (le rumorose strade di Manila) così come negli interni (le celle sovraffollate, le riunioni dei corrotti, perfino gli ospedali), gli eroi hanno una volta per sempre deposto le loro virtù, lasciando spazio al trionfo della dissolutezza, specchio di un Inferno solitario in cui non si può fare altro che lottare, tradire e morire.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival
Scheda tecnica
Regia: Erik Matti
Sceneggiatura: Erik Matti, Michiko Yamamoto
Fotografia: Ricardo Buhay III
Montaggio: Jay Halili
Musiche: Erwin Romulo
Attori: Joel Torre, Piolo Pascual, Gerald Anderson, Joey Marquez
Anno: 2013
Durata: 121'