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CINEMA MUTO 34 - Mantrap, di Victor Fleming

7/10/2015

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Ralph Prescott (P. Marmont) è un avvocato divorzista di Minneapolis che non ne può più delle donne, tanto che alle ennesime parole false di una cliente vede il suo viso moltiplicarsi e roteare davanti agli occhi. Joe (E. Torrence), invece, è un uomo grande e grosso ma con l'aria di un ragazzone lievemente tardo, che vive tra le foreste del Nord. Ciascuno ha modo di spostarsi nei luoghi dell'altro: Ralph, per staccare, va con un amico a trascorrere una maldestra vacanza di tranquilla temerarietà nella natura isolata, mentre il secondo si reca in città, stimolato dal ricordo delle emozioni provate, molto tempo prima, alla vista di una donna, anzi di una sua parte, una caviglia.
Joe torna dalla città con una moglie, Alverna (Clara Bow), tolta al suo impiego di manicure. Alverna è disinvolta, subito affettuosa con Ralph, vivace e insofferente verso il luogo e i suoi noiosissimi abitanti. Flirtando con Ralph, vince le sue resistenze a tradire la fiducia di Joe e lo persuade nell'improbabile avventura di tornare a piedi fino alla città. Joe, deluso, li cerca e sembra meditare vendetta, ma nessuno dei tre ha una ferrea determinazione; non è quindi certo che il dramma sia in agguato.
Se alle Giornate del cinema muto si ride molto, a volte capita per humour involontario, come può accadere con un effetto melodrammatico datato. Non è chiaramente stato il caso di Mantrap, proiettato all'interno dell'omaggio a Victor Fleming (di cui, in commedia, si è visto l'ancora più divertente, ma più “limpido”, When the Clouds Roll By). Si tratta di un film che parte col pedale felicemente premuto sullo humour: nella prima parte sembra di essere in quel territorio di commedie mute americane scritte con spirito. “Scritte” sia quanto a sceneggiatura (tratta da un romanzo) che quanto a didascalie dei dialoghi, che cercano spesso la battuta e utilizzano un gergo vicino al parlato del periodo. Va citata ad esempio, in tal senso,la sequenza, prettamente visiva, della riunione mondana a casa di Joe, con la camera che mostra i mestissimi e annoiati partecipanti, rappresentativi della fauna umana locale, prima che qualcuno se ne vada e possa tornare un po' di vita.
A un certo punto, quando il personaggio di Ralph fa comprendere a chiare lettere alla ragazza di non essere insensibile al suo fascino, il film sembra farsi più serio, con la neocoppia in fuga e Joe sulle loro tracce, e apparentemente sedersi. Sono passaggi che possono lasciare un po' delusi se confrontati con quel che il film ha dato fino a lì. Ma in realtà Mantrap è ancora in movimento, come i  personaggi. Di fatto, prima della fine le cose si riequilibrano e vanno più o meno come è “giusto” che vadano (Ralph torna al lavoro, Alverna torna all'ovile, la coppia ora è felicissima anche se la ragazza non sembra aver perso del tutto il gusto di flirtare, se ne ha l'occasione; la fedeltà amicale e coniugale tuttavia ha la meglio), ma la sequenza in cui i tre protagonisti si ritrovano è notevole nel lasciare la mano leggera su questo terzetto, con i personaggi che prendono (anche letteralmente) strade non scontate. Perché Mantrap rimane una commedia, non un dramma di tradimenti e passioni bensì un film con personaggi pronti a discutere le loro scelte, a chiedersi cosa è realmente meglio fare, mentre Alverna non è una femme fatale ma una simpatica opportunista, consapevole delle sue armi.
Il film si fa notare quindi per la scrittura: brillante non nel senso di script di ferro o di una brillantezza umoristica a ogni costo, ma perché matura, a costo di cambiamenti di tono e di dare l'impressione che sia quasi il film stesso a cercarsi, cosa che non ci si attende da una produzione di questo tipo. Tutto ciò non fa di Mantrap un assoluto gioiello, ma lascia la sensazione di aver visto una commedia poco convenzionale.
Clara Bow, divertente in un momento e seducente, in modo semplice o ammiccante, nell'altro, riteneva questo il suo film muto migliore. Da lì divenne particolarmente legata al regista; insieme girarono l'anno dopo Hula e sempre nel 1927 l'attrice interpretò It (da noi Cosetta), da cui nacque l'espressione “It Girl” per indicare un fascino non esattamente definibile. Henry Hathaway è accreditato come aiuto di Fleming.

Alessio Vacchi

Sezione di riferimento: Festival Reportage

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Scheda tecnica

Anno: 1926
Regia: Victor Fleming
Sceneggiatura: Adelaide Heibron, Ethel Doherty
Didascalie: George Marion
Fotografia: James Howe
Interpreti: Clara Bow, Ernest Torrence, Percy Marmont
Durata: 73'

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