Cominciamo da alcuni ritrovamenti (sezione “Ritrovati & restaurati”) e dall'ultima, movimentata mezz'ora di The Eternal City. Protagonista un ragazzo -Rossi il suo cognome!- che diventa “braccio destro” di Mussolini e guida le camicie nere allo scontro con la minacciosa “red mob” guidata da Bonelli (Lionel Barrymore); intanto donna Roma (sic) si autoaccusa dell'omicidio di Bonelli, ma Rossi lo confessa e viene graziato da Mussolini, deus ex machina, che compare nell’atto di porre una firma. Il fascismo come forza rinnovatrice (ma legata al ricordo dei Mille), scene di massa al Colosseo, ingenuità romanzesca e una visione discutibile della storia che suscita il riso. Il Duce diede il massimo aiuto alla produzione, perché poteva ricavarne un'immagine positiva all'estero, mentre in Italia il film non fu mai proiettato.
La seconda metà di Whoozit, comica di Charley Bowers, genio surreale che portava in scena tecnologie e creature bizzarre, amato da Breton. Il cinese Pan si dong (La caverna del ragno), da una storia tradizionale, col suo gineceo di donne-ragno che “rapisce” un monaco e i discepoli (uno ha il muso di maiale) che lo vanno a salvare. Strampalato per il nostro gusto attuale, ma campione d'incassi in patria. Darwin Dan era un regista “erotico”, come ricordato sul palco dal nipote, ma in ciò che è sopravvissuto è inavvertibile.
Dopo Why Be Good?, a Bologna un altro film con Colleen Moore recuperato dalla Warner in Italia: Synthetic Sin (L'albergo delle sorprese). Vitale, dal corpo sottile, una “flapper” come Clara Bow ma più sfortunata quanto a sopravvivenza dei film, la Moore tiene la scena nella parte di una ragazza che, pensando di non avere l'esperienza di vita per fare l’attrice, si sposta a New York “per peccare” in un alberghetto immerso nella malavita, per finire ovviamente con l’imparare sì qualcosa, ma anche che la sua vita è a fianco di un bel commediografo. Commedia che utilizza gli stereotipi gangster e strappa risate, pur tirando lo spunto un poco per le lunghe. Deludente la comica greca Oi peripeteiai tou Villar (Le avventure di Villar) con Nikolas Sfakianos, comico (almeno qui) senza un'identità apprezzabile in un film che spesso gira a vuoto senza produrre humour, anche se ha una bizzarra sequenza di banchetto davanti all'Acropoli. Da notare la versione sonora del 1930, con didascalie riassunte e voci, de La corazzata Potemikin.
Nel “Canone rivisitato”, il magnifico, implacabile, funereo I Nibelunghi di Fritz Lang, tra il rigore, la geometria, la pulizia di messinscena della prima parte e l'intensità del massacro della seconda. “Dedicato al popolo tedesco” e apprezzato poi dai nazisti: ma quel che arriva oggi, di un'opera comunque complessa, è soprattutto l'ostinazione folle dei personaggi, la partecipazione verso i quali è allontanata dalle caratteristiche formali del film. Uno dei migliori muti della storia?
Ancora USSR nella sezione “Risate russe: le commedie mute di Yakov Protazanov” e nei corti animati di propaganda e trailer (L'undicesimo di Vertov) ucraini.
Nella sezione “The Barrymores”, pellicole con John, Lionel ed Ethel Barrymore. Successi di John a parte (Il dottor Jekill e Mister Hyde, When a Man Loves), si rilevano il talento di Lionel e i suoi personaggi ambigui, in grande difficoltà, come il borgomastro di The Bells, ansioso di piacere, che si macchia di un delitto per denaro. Quanto a Ethel, meglio in The White Raven che in The Call of Her People, dove è una zingara divisa tra il possessivo marito e la famiglia borghese d'origine.
“L'alba del Technicolor” ha proposto esempi del crescente uso del colore negli anni Venti: estratti da film in bianco e nero (I dieci comandamenti) e alcuni lungometraggi, come il gradevole film in costume inglese The Glorious Adventure, che ha dei minuti finali cromaticamente sorprendenti, nei primi piani, per il 1922 e Il pirata nero con Douglas Fairbanks in un copia dai colori “giusti” (che purtroppo non sono quelli delle edizioni home video).
Il 6 ottobre serata dedicata all'Airsc (Associazione Italiana Ricerche Storia del Cinema) con un programma di film brevi (non solo tricolori) dalla sua collezione. La sera seguente, il benshi Ichiro Kataoka ha recitato durante la proiezione di Kenka Yasubei (L'irascibile Yasubei), che inizia leggero e poi si fa serio, e di alcune comiche con Chaplin. Performance in giapponese non sottotitolata di cui, se non si conosce la lingua, giunge l'effetto complessivo; disorienta ma diverte. Chaplin anche in chiusura, con Luci della città.
Solo tre quest'anno i film italiani (escludendo i brevissimi), tra cui La statua di carne con Italia Almirante Manzini, che inserisce in convenzioni (pose, costumi, scenografie, atmosfere) del diva-film altoborghese uno spunto intrigante, anche se non sfruttato appieno: l'attrice interpreta Maria, che muore, e Noemi, a cui l'uomo che amava l'altra chiede di impersonarla.
Aumenta, come rilevato nel catalogo, la quantità di copie proiettate in DCP, le quali peraltro alcune volte lasciano a desiderare.
Alessio Vacchi
Sezione di riferimento: Festival Reportage