Bologna è fatta anche di ragazzi cinesi che spesso vengono scacciati da casa a diciotto anni e cercano di esprimere la propria identità sessuale in un altro paese. Le famigerate chat, quali Grinder, offrono possibilità di incontro anche a quei ragazzi; peccato che spesso siano proprio gli italiani a dare indicazioni circa il loro compagno ideale specificando “no asian”. C’è un razzismo nel razzismo e Inside the Chinese Closet va a sbirciare proprio nella difficile situazione cinese, fatta di ragazzi ai quali spesso, noi italiani stessi, voltiamo le spalle.
Il doc si apre con le immagini di una felicità costruita: è quella delle coppie di sposini che si fanno immortalare al ciglio di strade trafficate in quella Cina lontanissima da noi. Pose alquanto studiate e sorrisi surreali, incredibili matrimoni attorno ai quali la regista compirà una serie di riflessioni.
A guidarci attraverso il paese “dell’amor proibito” sono Andy e Zhouyang. Lui è gay, lei è lesbica. Se Zhouyang ha già abbracciato l’idea di un matrimonio di copertura continuando tuttavia ad avere le proprie relazioni omosessuali, Andy è in procinto di fare il grande passo. Anche per lui sarebbe consigliabile – stando a quanto suo padre gli intima ripetutamente al telefono – procurarsi una moglie che lo aiuti a difendere quella rispettabilità di facciata del tutto necessaria nella cultura cinese.
Siamo di fronte a un’evoluzione spaventosa di una rigida mentalità perbenista. Se da un lato non ci stupisce pensare che in passato le famiglie imponessero ai figli gay di sposarsi e spacciarsi per eterosessuali, la Cina scavalca questa ingiustizia e arriva a un increscioso peggioramento: i capifamiglia possono ammettere che un figlio gay abbia relazioni con uomini, a patto che si procacci una sposa, la metta incinta e possa esibire dei figli di fronte alla sete di conferme degli altri. Il consiglio è dunque “fallo, ma in segreto”.
Questa Cina ha mille occhi; sono gli occhi di coloro che scrutano nel matrimonio del vicino di casa e di fronte all’assenza di figli danno il via a un fiume di pettegolezzi in piena. Non importa con chi ci si corichi, l’importante è che l’immagine austera della famiglia tradizionale cinese venga tutelata. Ed ecco spiegato perché questo fenomeno ha preso piede in Cina in modo sconvolgente: ragazzi gay a caccia di mogli lesbiche, per stringere silenziosi patti coniugali dando in pasto un falso amore ai curiosi.
La grande fabbrica dei matrimoni cinesi contempla largamente l’idea di questa ricerca. Per Andy significa affrontare una serie di questioni: è fondamentale che ci sia affetto con la futura moglie, laddove arrivino figli ci saranno problemi da porsi e sarà bene riflettere in anticipo sulle interferenze da parte delle rispettive famiglie. “Quando i miei genitori saranno anziani tu dovrai occupartene e io farò lo stesso per la tua famiglia” dice Andy a un’aspirante moglie, durante un appuntamento. È questa la genesi di un matrimonio con obblighi e doveri, con diritti silenziosamente accordati in privata sede. Sullo sfondo c’è l’alternativa: psicologi che affermano di poter curare “la patologia”.
L’eventualità dei figli pone di fronte a un limite prevedibile, il concepimento. Come tale subentra un altro oscuro settore di questa incredibile fabbrica: si ricorre così alla fecondazione assistita, alle madri surrogate in Thailandia e al traffico di bambini.
Per Zhouyang, sorridente e mascolina ragazza dal nome che significa “ciliegia”, la maternità è una croce imposta dal contesto famigliare. La seguiamo increduli attraverso una porzione di Cina assai povera, un piccolo mondo di pescatori, una casa misera dove i pasti si consumano animati soltanto dal suono delle bacchette che raccolgono riso nelle ciotole. I suoi genitori non si accontentano di saperla sposata e sollecitano l’arrivo di quel figlio che darebbe loro una rinnovata rispettabilità. Madre e figlia pianificano persino l’acquisto di uno dei tanti neonati che vengono abbandonati all’ospedale.
Ecco che il figlio diventa articolo, oggetto, valore aggiunto, obbligatorio indicatore di serenità coniugale, scelta strategica: di lui si parla come soppesandolo, “preferirei che fosse maschio anche se costa di più”, “dobbiamo essere certe che ce ne diano uno sano”. Nell’ombra della stanza c’è sempre quel padre che nega il dialogo alla figlia, e che in passato ha sedato le turbolenze con sberle e voce grossa. Zhouyang è stata espulsa dalla scuola per un primo grande amore che racconterà a bassa voce sulla veranda di casa, un amore osteggiato dalla famiglia e dalla scuola, punito con la violenza e tuttavia talmente prezioso da resistere e portarla a scavalcare un muro alle due del mattino per un solo, breve e liberatorio bacio a quella ragazza che l’aveva fatta innamorare.
L’armadio cinese, l’armadio dei segreti, è quella condizione che impedisce ai ragazzi omosessuali di uscire allo scoperto. Ciò che questi ragazzi hanno compreso è che una volta usciti dalle loro prigioni e trovato il coraggio per dire ai genitori “sono omosessuale”, sono stati i genitori stessi a rifugiarsi nell’armadio. Ora sono loro a vivere nell’ombra del segreto scottante, a non saper sostenere il peso della realtà, a nascondersi tenendo ben chiuse le ante di quel luogo segreto perché nessuno venga a sapere.
“Dobbiamo proteggerli dalla verità” dicono i ragazzi. Così si sposano dopo lunghe ricerche, messaggi in chat, fotografie, descrizioni virtuali di coloro che potrebbero essere le compagne o i compagni di vita. Senza amore ma al solo fine di tranquillizzare le famiglie.
Si esce dalla sala riflettendo sugli armadi del nostro paese, di altri paesi. C’è la triste consapevolezza di fondo legata all’idea di quei luoghi segreti dove qualcuno da qualche parte del mondo, anche adesso, è costretto a nascondersi.
C’è l’amore che vorremmo uguale per tutti, e il desiderio irrealizzabile di armadi spalancati.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Festival Reportage
Scheda tecnica
Titolo originale: Inside the Chinese Closet
Regia: Sophie Luvara
Anno: 2015
Durata: 72'