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BIOGRAFILM 11 - Faber in Sardegna, di Gianfranco Cabiddu

11/6/2015

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L’undicesima edizione del Biografilm Festival ha un occhio di riguardo per la musica. La sezione Biografilm Music spazia fra i generi e porta sullo schermo le storie di coloro che in musica hanno vissuto.
Sin dalla prima occhiata al programma saltava all’occhio Faber in Sardegna, quasi una cartolina inviata da un lungo viaggio, un pezzetto della vita dell’artista ricostruito e raccontato anni dopo: quel film ha creato aspettativa nel pubblico che si è dato appuntamento al cinema Arlecchino in occasione della proiezione e ha gremito una sala da quattrocentocinquanta posti. Erano tutti là, chi per De André che è un mito intramontabile, chi per la Sardegna che è una terra – sirena incantatrice e fa udire forte la propria voce attraverso il mare.
Il regista Gianfranco Cabiddu, presente alla proiezione, ha accompagnato il pubblico in questa terra amara e amata, questa Gallura aspra ai piedi del monte dove trovò rifugio un grande della musica, quest’isola che sopporta il 70% delle basi militari italiane ma sorride con scogli e montagne, sugheri ed erbe profumate, patrimonio storico e tradizioni. 
“Nascere in un posto è casuale, non è una scelta. Io credo che De André fosse più sardo di molti sardi che conosco”: così il regista commenta la coraggiosa decisione di De André di assumere un luogo come rifugio e diventare anno dopo anno un vero abitante dell’isola. E per quanto il cantante oggi non possa più prendersi cura del proprio podere dell’Agnata, ha comunque avuto l’accortezza di lasciarvi la propria anima perché tutti possano fermarsi a respirarla.

Questa è a tutti gli effetti una storia d’amore; c’è una coppia di innamorati che arriva in uno sperduto angolo di mondo, luogo dove la natura ha dettato legge per lungo tempo, a diversi chilometri dal primo centro abitato: una grande casa abbandonata, un sentiero sterrato che conduce a lei, uno scenario selvaggio che toglie il respiro e quasi intimorisce. Fabrizio De André ritrova in quel posto le atmosfere dell’infanzia, ed è certo che sia il rifugio ideale per sé e la sua famiglia. Terra da lavoro, intrisa di sudore, dove la pace e la fatica si stringono la mano giungendo a un compromesso. Agnata, Donna Maria, Tanca Longa; sono questi i poderi galluresi che sorgono ai piedi del monte, conficcati in un paesaggio dolce e ruvido, tagliente come le pietre guardiane che lo circondano e morbido di tramonti che paiono dipinti su tela. “Potrei mettere un materasso sull’erba e passare la notte qui”, dice De André, scorgendo in quella giungla di piante secolari la casa che ha sempre sognato.
Comincia così l’avventura sua e di Dori Ghezzi (e successivamente dei figli) in quella “follia tanto amata che si chiama Agnata”: un sogno che prende forma fra schizzi e disegni a mano dello stesso De André. Una decisione che lascia tutti stupiti eppure sembra già scritta in un destino che il cantautore ha molto chiaro. Un mattone dopo l’altro questa casa dei sogni che l’amico Renzo Piano definisce “edificio connaturato al paesaggio”, segreta, avita e stracarica di verde, diventa realtà. A circondarla ci sono centocinquanta ettari di boschi, pascoli, coltivazioni, un luogo dove allevare vacche da latte francesi dal mantello fulvo, una specie rara.
De André ha visioni e intuizioni, studia sui libri, passa la notte lavorando e il pomeriggio è di nuovo nei campi con un collaboratore di fiducia, sperimentando, imparando, aggiustando il tiro. Coloro del paese che lo conoscono, oggi lo ricordano con occhi inumiditi. I primi tempi in casa sono nel tremolio delle fiammelle di candela, senza energia elettrica ma con devozione e spirito di adattamento, all’insegna di una vita semplice fatta di scoperte e piccole gioie. Il regista ha uno sguardo attento e delicato che si aggira per l’Agnata senza invadenza, con rispetto e ammirazione per la bellezza e il valore dei legami umani: le foto di quel particolare momento della vita di De André diventano piccoli presepi parlanti, miniature perfette per immortalare la gioia e l’abnegazione di quel momento.
Il cantautore è certo che la terra prenderà il posto della musica. Dori Ghezzi sorride oggi raccontando e regalandoci lo spettacolo dei suoi occhi. Era sicura che l’Agnata avrebbe invece permesso al compagno di scrivere nuove canzoni. Così è stato, in quegli anni di conto corrente sempre a zero dove si programmavano serate musicali per portare a casa il necessario. Così è stato in quei lunghi momenti che De André ha dedicato alla riflessione, alla contemplazione delle nuvole, alle battute di caccia i cui suoni hanno ispirato brani come Fiume Sand Creek. L’Agnata detta all’uomo che l’ha desiderata nuovi suoni, dialetti, una ricerca musicale che attinge al territorio. Parlate antiche, launeddas, ritmi indiavolati e malinconici: De André beve la tradizione della sua terra a grandi sorsi, crea canzoni come Zirichiltaggia, ringrazia ogni giorno il posto che l’ha accolto regalandogli quelle melodie che gli sopravvivranno.
Nel 1979, a gettare ombra sulla sua nuova serenità, c’è il sequestro che vede coinvolti lui e la compagna. Oggi ne parla Dori Ghezzi con immensa dignità e lo definisce “un episodio che fortunatamente li ha visti uniti e non separati, un avvenimento che per qualche ragione dovevano vivere e ora è passato”. Il regista Cabiddu sfiora questo evento con delicatezza, senza scendere nei meandri delle crude descrizioni, ma ribadendo la volontà di Dori: spiegare al mondo quanto fosse grande quest’amore per la terra, così grande da permettere a due persone di accettarne anche le zone d’ombra.

L’Agnata vive ancora ed è un luogo traboccante di musica; lo è in maniera particolare dall'8 al 16 agosto, ogni anno, per il festival Time in jazz a cura di Paolo Fresu. In quel giardino di bellezza immortale dove il grande cantautore sembra ancora intento a passeggiare con la sigaretta in bocca, si ritrovano numerosi artisti per interpretarlo e rinnovare l’amore per un sogno. Il documentario immortala la commozione di Lella Costa, l’esuberanza di Morgan, l’eleganza di Ornelli Vanoni, la grinta di Cristiano De André e il contributo di molte altre voci straordinarie innanzi al pubblico corposo che ogni anno si presenta in quel giardino. Ognuno di loro tiene in vita il ricordo di un uomo diventato sardo nel tempo.
Al regista Gianfranco Cabiddu, che ci ha gentilmente concesso in esclusiva una video intervista (pubblicata qui sotto), va il nostro più sincero ringraziamento per aver portato al festival una ventata di musica, memoria, amore; un racconto che nasce nell’isola magica e si propone ai nostri occhi nella sua veste autentica, intensa e umana. Grazie a lui siamo tutti all’Agnata, per un’ora o per sempre, con gli occhi spalancati e il respiro calmo di chi assiste a un grande spettacolo fra gli alberi, sotto le stelle, abbracciati dal mare, così vicini al cielo da scorgervi il sorriso di De André.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Festival Report

Scheda tecnica

Regia: Gianfranco Cabiddu
Fotografia: Vincenzo Carpineta
Anno: 2014
Durata: 58'
Attori: testimonianze di Renzo Piano, Paolo Fresu, Danilo Rea, Gianmaria Testa, Lella Costa, Cristiano De André.
Distribuzione: nei cinema il 27-28 maggio 2015, insieme all'ultimo concerto di Fabrizio De André.

Intervista a GIANFRANCO CABIDDU, a cura di MARIA SILVIA AVANZATO
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