Una carrellata di occhi penetra l’obiettivo, sono occhi che non dimenticano. Ognuno di loro parla di lei, la ricorda, la rimpiange, la compatisce. Non esiste una versione dei fatti simile a un’altra, non c’è un’unica Vivian Maier.
John Maloof è un ragazzo determinato. Ha passato tutta la vita nei mercatini delle pulci assieme al padre e al fratello, compra, colleziona e rivende, gli basta attraversare la strada per entrare alla casa d’aste. La sua avventura inizia con l’acquisto di una scatola che si rivela piena di vecchi negativi: non gli interessano, non hanno valore sul mercato, li accantona, passano anni. Tempo dopo si trova casualmente a rispolverarli e si accorge che quelle foto sono strane. Magiche. Parlanti. Sono scatti anni Cinquanta di un’America “rubata”, sorrisi colti di sfuggita, lacrime, deformazioni, miseria ed eleganza. Soltanto un occhio arguto e delicato può aver notato certi piccoli miracoli del quotidiano, e Maloof vuole assolutamente scoprire chi si celasse dietro quell’obiettivo.
Trova un nome, Vivian Maier, ed è troppo tardi per tirarsi indietro: è ormai soggiogato dalla bellezza del suo ritrovamento. Pubblica alcune foto in rete, sonda pareri, organizza esposizioni, si scontra con i rifiuti del MoMa, indaga senza tregua per trovare l’artista e darle la fama che merita. Ma sul conto di Vivian trova soltanto un necrologio che recita “Morta serenamente”. La domanda che lo assilla è “chi eri, Vivian Maier?”, e ora è ancora più persuaso a trovare risposta: dopo innumerevoli telefonate trova finalmente qualcuno disposto a dargli un indizio; potete immaginare la sua faccia quando, all’altro capo, si sente dire “Vivian? Oh, era la mia bambinaia”.
Il viaggio che vi aspetta a partire da questo momento sarà una favola agrodolce, piena di nebbia e d’amore, ricamata attorno a quel viso che si fissa allo specchio e resta impresso in un autoscatto: una bambinaia dall’espressione buffa, lo sguardo triste, i lineamenti imprecisi, la fama bizzarra. Sono centomila i negativi che Maloof inizia a scannerizzare, sono centocinquantamila i filmati 8mm che riesce a recuperare, sono ingenti le somme che spende per completare la sua personale collezione su Vivian Maier. Ma il lavoro di quell’improbabile artista merita ogni suo sforzo, perché le foto parlano di un animo sensibile e scherzoso, e allo stesso tempo salta all’occhio che “qualcosa è andato storto”.
“Portava camicie da uomo e larghi cappotti, stivali e cappelli di feltro, stava sempre infagottata ed era alta un metro e ottanta. Quando camminava muoveva le braccia come se marciasse, aveva un accento francese cantilenante. Portava sempre una Rolleiflex al collo e scattava foto in continuazione. Era davvero strana, molto strana”.
Sono tanti i bambini di ieri che vengono allo scoperto per tinteggiare la vita di Vivian con i loro ricordi. Ci sembra di vedere quella bambinaia imponente e un po’ sgraziata che chiede ai padroni di casa una serratura enorme per chiudersi nella sua stanza e intima a tutti “non aprite la porta!”. Sorridiamo quando risponde alle domande di un conoscente dicendo “sono una specie di spia”. Si firma Maier, Meier, Mayer, Smith. Non racconta mai nulla sul proprio conto e accompagna i bambini nei sobborghi, al mattatoio, ovunque aleggi un’aria tenebrosa pur di immortalare il bello, il brutto, il grottesco del mondo in cui vive.
Quando uno dei bimbi viene investito (pur rimanendo illeso) lei non si precipita a chiamare soccorsi, lo fotografa. C’è qualcosa di adorabile e spaventoso in Vivian. Le sue fughe dalla realtà e i viaggi per il mondo, la sua mania ossessiva per i giornali: colleziona pile e pile di quotidiani, è attratta dalle notizie macabre. Odia il contatto fisico, detesta gli uomini e ne teme il lato più bestiale; quando va su tutte le furie diventa violenta, ha un carattere pacato e tumultuoso, sdoppiato.
È piena di spigoli, Vivian, ma è anche indifesa, come quando chiede ingenuamente alla padrona di casa “vorreste adottarmi?” o quando ferma una conoscente per strada e la supplica “parla con me, non lasciarmi sola”. È feroce e terrificante quando costringe i bambini a mangiare, li picchia, infila i loro giocattoli in un secchio di acqua bollente e ammoniaca e li distrugge. Ma è tenera quando siede sulla panchina, ormai vecchia e alienata, e cerca amicizia in un passante.
Così i brividi crescono a fior di pelle man mano che il film schiarisce la nube che avvolge la vita della bambinaia. Un lavoro affascinante, un setaccio per le emozioni che lascia addosso uno scomodo batticuore, commuove e spaventa, è dolcissimo e impetuoso, e sembra girato con la silenziosa complicità dell’unica assente.
Finding Vivian Maier è come una donna che tiene nascosta la propria identità e scatta foto al resto del mondo: irresistibile.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Festival Reportage
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Scheda tecnica
Regia: John Maloof, Charlie Siskel
Anno: 2013
Durata: 84'
Sceneggiatura: John Maloof, Charlie Siskel
Fotografia: John Maloof
Montaggio: Aaron Wickenden