La guerra può non finire mai. Anche quando il conflitto pare essere giunto al capolinea gli echi restano, a lungo nel tempo, sedimentati sulla pelle e nel cuore di chi l'ha vissuto. Eppure, qualche volta, dall'odio può anche nascere un senso di comunione e aiuto reciproco. Questo è il chiaro messaggio contenuto all'interno di Enklava, diretto da Goran Radovanovic, vincitore del concorso lungometraggi del Bergamo Film Meeting e candidato all'Oscar per la Serbia nel 2016.
Un lavoro ad altezza di bambino, una piccola favola che dipana il suo racconto tra macerie, case distrutte, campi a perdita d'occhio, povertà, capre e mucche, carri armati, armi nascoste, religioni diverse (cristiani e musulmani), poliziotti corrotti, mentalità teoricamente incompatibili e ferite le cui cicatrici probabilmente non si salderanno mai.
Il doppio binario narrativo entro cui si incrociano i destini dei piccoli Nenad e Bashkim accoglie su di sé sentimenti contrastanti che scivolano dall'acredine all'ingenuità, dalla paura al rancore, dall'amore al senso di colpa, imponendo a due bambini la necessità di trasformarsi in adulti molto prima di quando sarebbe giusto diventarlo. Eppure, è proprio nelle abitudini tipiche di quell'età (il gioco, la socializzazione) che i due trovano un iniziale punto di raccordo, pur adombrato dall'insopprimibile desiderio di vendetta (per Bashkim) e dal timore di perdere quel poco che la vita ha da offrire (per Nenad). L'incontro-scontro tra i due, anime già non più candide nonostante la tenera età, saprà comunque trovare una via di reciproca intesa, capace di sopravanzare l'orrore della guerra.
Zeppo di immagini che ben simboleggiano la devastazione universale della contesa (la scuola con un unico alunno, il cingolato che ogni giorno accompagna il bambino serbo in classe e lo riporta verso casa, le montagne di detriti sparse ovunque, le abbondanti dosi di alcool che il padre di Nenad assume ogni sera per obnubilarsi, gli spari che si odono perennemente sullo sfondo), il film di Radovanovic sa essere efficace dal punto di vista emotivo, pur avvalendosi di una messinscena che non lesina ingenuità e sottolineature sin troppo marcate. Nella sua semplicità di fondo, l'opera riesce comunque a far vibrare le corde giuste, portandoci a seguire con trasporto i pericoli a cui i due protagonisti vanno incontro, attori loro malgrado di una tragedia che non ha affatto esaurito le sue lacrime.
In quel poco che il Kosovo martoriato ancora può donare ai suoi abitanti, restano vive almeno le tradizioni, a cui aggrapparsi per non impazzire, la sepoltura cristiana del nonno serbo così come il matrimonio di due ragazzi albanesi con balli e canti, e restano vivi quei gesti innocenti che solo i bambini sanno far trionfare, un bagno nel ruscello così come una sessione di gioco a nascondino.
Proprio da lì, ovvero dalla convenzionalità di certe azioni, possono nascere i rapporti più inattesi, grazie ai quali trovare la forza per ripartire. Proprio da lì può accadere perfino che un bambino di diversa etnia, che fomentato dall'odio ha tentato di ammazzarti, possa forse diventare, contro ogni logica, per il presente e magari anche per il futuro, il tuo migliore amico.
Alessio Gradogna
Sezione di riferimento: Festival Reportage
Scheda tecnica
Regia e sceneggiatura: Goran Radovanović
Musiche: Eleni Karaindrou, Irena Popović
Fotografia: Axel Schneppat
Anno: 2015
Durata: 92'
Attori: Filip Subarić, Denis Murić, Nebojša Glogovac, Anica Dobra, Miodrag Krivokapić
Uscita italiana: 27 ottobre 2016