Sabrina, fra tutti i film vintage visti in questi anni, è quello che più mi ricorda la magica eccitazione di una vita fa: ero una bambina quando vedevo la splendida Audrey Hepburn scivolare nel giardino e spiare il suo amato, fra le siepi, inarcando il collo da cigno. Una scena magica che subito rimanda all’atmosfera dell’intero film, a quel senso di purezza e candore che appartiene a Sabrina – povera, innocente, sognante Sabrina – e la consacra a eterno splendore.
A quei tempi ero rapita dalla favola ed è una sensazione che rammento molto bene. Anni dopo, capitando davanti alla stessa favola, sorrido di me stessa. E non posso certo parlare di delusione, forse è solo un timido disincanto per davvero.
Romanticismo senza compromessi in questa vicenda eccessiva, parigina e americana, dolcissima, in effetti un po’ stucchevole che Wilder regala a un pubblico chiaramente più femminile che maschile.
Sabrina ha un cruccio ed è quello a emozionare le bambine di ogni epoca: si è invaghita del giovane Larrabee, ma lui ha per le mani qualche bionda mozzafiato e non la considera nemmeno per errore. Per questa giovane e già molto intensa Audrey Hepburn, castigata in abiti sempliciotti, ogni scusa è buona per scivolare in giardino durante le feste dei padroni di casa. Lei, figlia dell’autista dei Larrabee, può vedere le meraviglie solo da lontano: le va a cercare con i grandi occhi lucenti fra le foglie, nel buio, godendo della musica che arriva a ondate e sognando ad occhi aperti mentre altri – quegli adulti, eleganti, sconosciuti altri – festeggiano dietro una vetrata.
Sabrina non è invitata al ballo e ci sono poche possibilità che il rampollo David Larrabee (un affascinante William Holden, perfetto nel ruolo del cascamorto) si accorga della testolina arruffata che lo spia giorno e notte. Una Cenerentola con il cuore stretto e piccino, così infelice da arrivare persino a tentare il suicidio per amore, con drammaticità vera e risultati fallimentari. A sventare la sua teatrale uscita di scena è il fratello maggiore di David, Larry, interpretato da un tenebroso Humphrey Bogart, a suo agio nella parte dell'uomo d’affari di poche parole. È radicalmente diverso e ben contrapposto alla disarmante leggerezza del fratello minore; i due personaggi maschili denotano indubbio talento e sanno palleggiare con sapienza dialoghi vivaci. Così c’è David, figliol prodigo tutto sorrisi e galanterie. E Larry, imbronciato e tutto preso dagli impegni di lavoro.
Al centro c’è l’incompresa Sabrina e il suo bisogno di lasciare i panni di bambinetta goffa per sbocciare in una splendida donna: un viaggio a Parigi per frequentare una scuola di cucina sembra offrirle l’occasione per mutare in farfalla.
La parentesi parigina mi piacque molto anni fa e riconfermo massima preferenza per quel passaggio del film dove un eccentrico cuoco, con tanto di torre Eiffel che ammicca alla finestra e baffetti impomatati, dà istruzioni agli aspiranti chef della scuola d’alta cucina. Scuola che Sabrina frequenta con passi falsi e incertezze, con piccoli pasticci e soufflé che si sgonfiano all’improvviso. Tuttavia, consigliata saggiamente da un anziano gentiluomo divenuto suo amico, la sfortunata figlia di autista cambia pelle.
Genesi di una favola: un brutto anatroccolo capita nella città più chic del mondo e rivoluziona la propria immagine. Quando l’insipida Sabrina torna a Long Island è una signorina di classe e David, puntualissimo, cade nella tenera trappola del suo fascino studiato. Sarà lui ad aggiudicarsi il suo cuore? O forse l’ombroso fratello Larry, sotto la maschera corrucciata di Bogart, è il vero principe azzurro?
Una commedia romantica che delizia per la leggerezza della trama, che si riguarda a distanza di anni senza smettere di sorridere per l’abilità di Billy Wilder nell’accostare personaggi diversi e dare spazio alle loro speranze. Saranno gli abiti eleganti comprati a Parigi a garantire a Sabrina l’ambito titolo di “donna”? Sarà il taglio di capelli alla moda ad assicurarle l’amore?
Il disincanto scalcia per rispondere.
Wilder incaricò la Hepburn di cercare abiti adeguati al film, previe dritte di Edith Head. L’attrice comprò i modelli suggeriti nelle boutique parigine, da Balenciaga ad Hubert de Givenchy, una carrellata di magnifici abiti che hanno emozionato generazioni di ragazze “figlie di autista”. Anche oggi, vedendo la Hepburn fasciata dal vestito bianco di organza ricamata, sfugge alle labbra un sospiro. “Che bello, come le dona”. Nel 1955 un Premio Oscar per i migliori vestiti ricompensa la Hepburn (e Wilder) per la scelta azzeccata del guardaroba.
Così, davanti a Sabrina, tanti anni dopo, si chiede al disincanto di tenere la bocca chiusa ancora per un po’. Quel tanto che basta a credere alla strana, zuccherosa, spiritosa vicenda della figlia d’autista vestita di organza.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: Sabrina
Anno: 1954
Durata: 113'
Regia: Billy Wilder
Soggetto: dal lavoro teatrale “Sabrina Fair” di Samuel A. Taylor
Sceneggiatura: Samuel A. Taylor, Billy Wilder, Ernest Lehman
Fotografia: Charles Lang
Musiche: Frederick Hollander
Costumi: Edith Head e (non accreditato) Hubert de Givenchy
Attori:: Audrey Hepburn, Humphrey Bogart, William Holden, Walter Hampden, Martha Hyer
| |