Potremmo dire che La verità non racconta affatto la verità sul caso Dubuisson, ma è un magnifico film che indaga la psiche umana e si pone a metà strada fra il dramma e il film legale arricchendo, scrutando ed esaltando una storia di torbidi istinti.
Siamo in un’aula di tribunale dove si giudica la più affascinante delle creature e, secondo l’opinione francese, la più diabolica: Dominique Marceau (Brigitte Bardot), accusata di aver ucciso quel Gilbert Tellier che ha sostenuto di amare in passato. L’avvocato Eparvier (Paul Meurisse) si batte per difendere l’assassina dai lunghi capelli biondi; gli rende la pariglia un agguerrito avvocato Guérin (Charles Vanel). Il loro confronto verbale, acceso e ficcante, è la solida struttura del film.
Dominique compare in aula castigata in abiti insolitamente sobri, capelli legati e grandi occhi impauriti: sta a lei ripercorrere i fatti attraverso lunghi e appassionanti flashback; difficilmente guadagnerà consensi fra i giurati e anche il pubblico sarà indotto a guardarla con sospetto. Questa indomabile creatura ha le sue colpe, ultima non per importanza quella di aver estratto una pistola dalla borsetta facendo fuoco su un promettente direttore d’orchestra. Ancora più schiacciante, tuttavia, è la sua responsabilità morale nei confronti di Gilbert Tellier, ragazzo che l’ha ciecamente amata e ha subito nel tempo i peggiori trattamenti da parte sua.
A chi appartiene Dominique?
A nessuno e forse anche per questo la società si schiera con Gilbert. Appartiene alle compagnie sbagliate, ai locali chiassosi di una Francia anni Sessanta che scalpita per ballare. Appartiene alle scollature audaci degli abiti che indossa, al primo che le offre una sigaretta o la riaccompagna a casa, a chi gioca con lei al gatto e al topo al tavolo di un bar e poi fra le lenzuola.
Sfacciata, disinibita, provocatoria, la ragazzina infelice fuggita dalla famiglia di Rennes ha trovato rifugio fra i coloriti personaggi della Rive Gauche. Attorno a lei ruotano bizzarri scrittori, intellettuali e perdigiorno incalliti, una strampalata famiglia adottiva che campa di sogni, radio accesa, sigarette e bagordi notturni. Tutt’altra realtà rispetto a quella che ha scelto la sorella Annie Marceau (Maria-José Nat) promettente violinista da sempre prediletta di mamma e papà.
In Dominique emerge l’aspetto umano, verso il quale possiamo soltanto sentirci empatici, e appare l’essenza puerile e immatura, in netto contrasto con la conturbante fisicità. Attira così il giovane e insicuro Gilbert (Sami Frey) nella sua trappola frivola e carnale; il regista non esita a catturarne la sintesi suprema nella scena che vede B.B. ballare per casa nuda e ammiccante al suono di Yo tengo una muneca, sotto gli occhi increduli del timido direttore d’orchestra. I due vivranno un amore eccessivo e tumultuoso all’insegna di scoppi d’ira, tradimenti e ritorni di fiamma, una storia dove Dominique sembra stare scomoda, non riuscendo a dimostrarsi seria e fedele nemmeno quando ci si mette d’impegno: se Gilbert sogna l’altare e la tranquillità domestica, lei non si sottrae alle attenzioni di altri ragazzi ed è avvezza a clamorosi colpi di testa.
Il loro amore è ben racchiuso dalle note di quell’Uccello di Fuoco di Stravinskij che Gilbert dirige in sala prove, sotto gli occhi (spesso annoiati) della bellissima fidanzata. Quando il ragazzo si legherà sentimentalmente alla sorella Annie, il mondo di Dominique si sgretolerà portandola all’ossessione prima romantica, poi omicida. L’ingrato compito dei presenti in aula e del pubblico è quantificare l’innocenza di una bambina complicata, una Circe involontaria dai nervi a pezzi.
Terminate le riprese B.B. tentò il suicidio, quasi calcando le gesta della protagonista del film, dopo la lunga pressione nervosa subita sul set: un lavoro lungo e sfiancante per l’attrice che più volte si è scontrata con il severo Clouzot e ha cercato di perfezionare la sua Dominique Marceau con meticolosità.
Il risultato è un lavoro ineccepibile, una prova attoriale difficilmente superabile, una storia che attinge al reale e si smarrisce altrove. In quel folle affresco di personaggi tormentati da pulsioni, fra melodie classiche e ritmi da jukebox, fuori e dentro un letto dove ancora ci sembra di vedere la bella B.B., che si arrotola al lenzuolo ancheggiando su Yo tengo una Muneca e strizza l’occhio maliziosa al ragazzo che un giorno ucciderà.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: La verité
Anno: 1960
Durata: 122 minuti (edizione originale), 110 minuti ca. (edizione italiana)
Regia: Henri-Georges Clouzot
Sceneggiatura: HG Clouzot, Véra Clouzot, Simone Drieu, Jérôme Géronimi, Michèle Perrein, Christiane Rochefort
Fotografia: Armand Thirard
Montaggio: Albert Jurgenson
Attori: Brigitte Bardot, Sami Frey, Charles Vanel, Paul Meurisse, Marie-José Nat.
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