Povero in canna ma disposto a rimboccarsi le maniche, Hal spera di ripescare il suo antico compagno di studi Alan Benson. Alan è figlio di un ricco industriale e ha ereditato senza troppi sforzi l’impero di cereali paterno: potrebbe facilmente rimediare un impiego per il vecchio amico Hal, figlio di un ubriacone e più volte capitato al centro di qualche grattacapo con la legge. Ma l’arrivo di Hal, in questo giorno di festa, sembra portarsi appresso aria di burrasca.
Accolto dalla signora Potts, una brava abitante del luogo ansiosa di preparare ghiotte merende per il forestiero, l’occhio di Hal non potrà fare a meno di cadere sul giardinetto attiguo: in quel fazzoletto d’erba e fiori si muovono inquiete alcune donne perfettamente intonate a quel quadro campagnolo a tinte vivaci. Flo Owens (Betty Field) rimasta sola ad allevare due figlie pestifere, la piccola Millie, impenitente maschiaccio e topo di biblioteca, e la superba Madge. Quest’ultima compare alla finestra intenta ad asciugare al vento una cascata di capelli biondo ramato: per lo spettatore, trovare il viso di Kim Novak fra le ciocche è una squisita sorpresa.
In quella casa semplice dove si avvicendano liti fra signorine e cicalecci di macchine da cucire per confezionare abiti da ballo, vive anche una “rispettabile zitella”, la professoressa Sydney, interpretata da una caustica Rosalind Russell. Hal è piovuto dal cielo e quattro donne incredule spalancano gli occhi sul ragazzone a torso nudo, scuro di sole, arrivato chissà come il giorno della festa del lavoro. Festa che prevede, per tradizione, un grande picnic serale e l’elezione della più bella del paese.
Se da un lato cresce l’atmosfera di festa, dall’altro la tensione fa voce grossa: Hal, schietto e solare, sembra gettare benzina sul fuoco mai sopito dei vecchi rancori di paese; il suo fascino genuino e il suo rabbioso bisogno di essere sincero di fronte al prossimo aprono un solco nella vernice immacolata di una intera comunità.
Ogni maschera di rispettabilità crolla. Alan (Cliff Robertson) sembra propenso ad accogliere il vecchio amico, ma è cauto nel concedergli spazio e segretamente invidioso di quella forza fisica che ha fruttato ad Hal buoni risultati sportivi. L’industriale integerrimo e studioso si confronta con l’animale da soma sorridente e spensierato; fra i due si crea una netta frattura quando la bella Madge sembra preferire il secondo al primo. Sua madre Flo, frattanto, la frastorna con discorsi matrimoniali nella speranza che si conceda ad Alan a costo di perdere l’onore e diventi una vera signora agli occhi dei compaesani. La professoressa Sydney rivela una frustrazione bestiale, annidata fra le viscere, un disperato desiderio di maritarsi e un’instabilità ben dissimulata che talvolta dilaga spingendola troppo vicina alla bottiglia.
La lunga sequenza dedicata al Picnic è un vero e proprio affresco di impeccabile borghesia americana: angurie, balli, giochi e quadriglie, torte di mele fumanti, coretti e canti sguaiati, inni gloriosi, corsa nei sacchi e alberi della cuccagna. Tutto sorride, in questa cartolina azzurra di un Kansas rurale e industriale, dove un buon matrimonio organizzato pende sulla testa di ogni fanciulla come una spada di Damocle. Hal, senza smussare nemmeno un angolo del suo carattere e senza rinnegare un passato pieno di disgrazie, conquista il cuore di Madge e tenta di strapparla a un matrimonio conveniente quanto infelice.
I due attori – qui illuminati da una bellezza raramente sfiorata in altri film – ci lasceranno attoniti a seguire i disegni ipnotici e quasi immobili delle loro danze notturne sulle rive del fiume. Un dramma di un giorno che capovolge le vite già decise di un gruppo di giovani, un Picnic che accende lanterne colorate e sentimenti scomodi.
Tratto dal testo teatrale di William Inge e vincitore di un Premio Oscar nel 1956, Picnic è un film che si potrebbe guardare all’infinito per lasciare che l’ordine venga scompigliato ancora una volta, per bearsi di una bella notizia, per respirare la ventata di freschezza di un uomo semplice in un piccolo mondo costruito a regola d’arte. Ci si emoziona sulle parole risolute della piccola Millie quando giura alla sorella “Finirò l’università e andrò a New York, scriverò romanzi che faranno uscire di sentimento la gente e non andrò a vivere in qualche città di provincia per sposare un uomo qualsiasi e allevare una nidiata di marmocchi”. Si sospira alla vista di queste donnine stanche di imposizioni e piene di amore doloroso, irresponsabile, autentico.
Con la certezza che non si possa amare una persona “perché è perfetta”, il film semina speranza nel cuore di chi sa guardarlo. Una seconda prova per il regista Joshua Logan (dopo il debutto nel 1938 con I Met My Love Again) magistrale ed eterna, che ancora oggi sembra sussurrare al nostro orecchio un buon consiglio.
Va a prendere la vita che desideri finché sei in tempo.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: Picnic
Anno: 1955
Durata: 113'
Regia: Joshua Logan
Soggetto: William Inge (opera teatrale)
Sceneggiatura: Daniel Taradash
Fotografia: James Wong Howe
Musiche: George Duning
Attori: William Holden, Kim Novak, Betty Field, Rosalind Russell, Susan Strasberg, Cliff Robertson