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BUNNY LAKE È SCOMPARSA - I nascondigli dei bambini

7/6/2016

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Odierete quella scuola, il trambusto della fine delle lezioni. Saranno momenti di ansia allo stato puro, momenti che passerete con gli occhi fissi sullo scalone che rigetta all’esterno un’orda di rumorosi bambini. Nella calca si perdono i discorsi delle mamme, è il primo giorno di scuola e la fila di donne sta composta ad aspettare i piccoli: c’è un bimbo che ha perso i calzini e un altro che è proprio una peste, ci sono madri che salutano e se ne vanno, la scuola che si svuota e una donna angosciata che resta sola nell’atrio e ancora guarda verso lo scalone torturandosi le mani. Sua figlia Bunny non è uscita dalla classe. Bunny Lake è scomparsa.
Inizia così un incubo dai ritmi serrati, un gioco al massacro di domande intrecciate, l’inseguimento più doloroso, l’indagine più ingrata: Anna, una ragazza madre emotiva che può contare unicamente sull’aiuto del fratello, ha perso la sua bambina. Noi tutti l’abbiamo persa con lei, in quella scuola inglese fredda e del tutto nuova dove cuoche e maestre sembrano aver stretto un ferreo patto del silenzio. Bunny Lake? Nessuno l’ha vista, nemmeno l’attonito pubblico che tenta di darle un volto ascoltando le descrizioni della madre (Carol Lynley) in lacrime. Quattro anni, bionda, si chiama Felicia ma tutti la chiamano Bunny.
La scuola stessa si rivela un tortuoso covo di serpi, svela meandri agghiaccianti e una cupa soffitta dove una vecchia professoressa in pensione – eccentrica e spaventosa – vive fra insane fantasie del passato, registrando la voce dei bambini per analizzarne i comportamenti. Mentre la donna si aggira fra le piante del suo appartamento chiamando Bunny come fosse un cagnolino, Anna capisce che nessuno potrà darle appoggio nella ricerca. “Andiamo a caccia!” le dice la vecchia signora sogghignando; subito un brivido s’impone alle nostre schiene.
In questo dedalo non c’è nessuna bambina, soltanto specchi deformanti e figure spettrali che si affollano attorno a una madre disperata. L’ispettore Newhouse (Laurence Olivier, non più giovanissimo e più che mai imperioso) interviene per fare luce sul caso; il suo arduo compito è credere a questa donna fragile che grida “hanno rapito mia figlia!” in un mondo che sostiene di non averla mai vista. A tratti il nascondino si fa più incalzante. “Fuochino” sembra sussurrare la piccola Bunny nascosta nelle mille stanze dell’edificio. Eppure ogni volta, per quanto ci sembri di esserle passati accanto, si rimane con un pugno di mosche in mano.
Bunny Lake è scomparsa davvero e un nuovo, logorante dubbio pianta il suo seme dentro di noi: siamo certi che questa bambina esista?
Anna è una madre a pezzi e del suo passato si scorge ben poco. L’Inghilterra benpensante dell’epoca sembra accusarla continuamente – “Che ne è del padre?” – e la donna si fa piccola dietro un imbarazzato “Figlia illegittima”. Un tema scottante per quella Londra di rigide formalità, un elemento che accresce la confusione attorno alla bambina bionda senza volto.
Veniamo sbalzati dalla nuova scuola alla nuova casa di Anna e Bunny, luogo dove si sono appena trasferite e dove la polizia cerca instancabilmente una pista da seguire. Anche Horatio Wilson (padrone di casa, importuno e spaventoso scrittore con passioni sadomasochiste) irrompe in scena per buttare benzina sul fuoco: è un bizzarro topolino d’appartamento che viola senza riguardo l’intimità delle inquiline appena arrivate, aggirandosi in casa a suo piacimento. Cosa vuole quello strano ometto? È forse lui ad aver rapito la piccola?
Una domanda s’impone su tutte: dove sei nascosta, Bunny Lake? Perché anche lo zio Stephen (Keir Dullea), figura rincuorante sin dalla prima scena, non sembra scomporsi davanti alla tua sparizione? Cosa si agita nell’abisso umano di Anna?
Un film atipico di orrore psicologico, dove a un ricco serraglio di freaks si aggiungono location come l’ospedale delle bambole e i suoi cento occhi di celluloide sbarrati. Otto Preminger non lascia nulla al caso, e dissemina il percorso di tremende briciole di pane. Anna e Stephen si dimenano all’ombra di un ricordo: quello dei loro giochi d’infanzia, quello degli amici immaginari e di quanto è rimasto sepolto nella loro psiche. Si trattiene il fiato ogni volta che la soluzione si avvicina, si sospira per ogni buco nell’acqua.
L’ansia materna ci viene gettata addosso da un Preminger incattivito, in un film che risuona di echi hitchcokiani e non esita a snervarci con motivetti musicali infantili, carillon e incontri raccapriccianti, in un'Inghilterra algida ma pervasa da musiche nuove e sete di cambiamenti, di sonorità inesplorate fino a quel momento, come la canzone di The Zombies trasmessa in un locale dove Anna si reca nel corso delle ricerche.
Odierete quella scuola e non potrete buttarvi facilmente alle spalle un film come questo. Vi porrete quella tragica domanda, molte volte.
Bunny Lake è scomparsa?
Perché, in fondo, non siete certi che esista.
Non l’ha vista nessuno, d’altronde.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Bunny Lake Is Missing
Anno: 1965
Durata: 107'
Regia: Otto Preminger
Sceneggiatura: Marryam Modell (romanzo), John Mortimer, Penelope Mortimer
Montaggio: Peter Thornton
Attori: Laurence Olivier, Carol Lynley, Keir Dullea, Martita Hunt, Anna Massey

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