Il cosiddetto Free Cinema vede schierato anche Tony Richardson, che con Sapore di miele non avrà scritto uno dei più importanti capitoli della storia del cinema, ma di sicuro è riuscito a turbarmi per un’ora e mezza di visione incredula.
La storia di Jo è tenera, misera e si porta appresso detriti e cocci rotti come l’acqua torbida del canale. Jo (Rita Tushingham) è una ragazzina goffa e poco attraente, bersaglio per le malignità delle compagne di scuola: la sua verbosità è bizzarra, provocatoria e piuttosto disinibita, sotto il suo broncio si cela un passerotto infreddolito.
Il grosso problema di Jo ha un nome e quel nome è Helen (Dora Bryan): una bionda e frivola quarantenne in abiti succinti e guêpière, all’occorrenza crudele e nonostante questo madre. Madre un po’ per caso e senza slanci di affetto, madre il cui letto diventa porto di mare, madre dalla parlantina irriverente e dalle battute infelici.
Molti drink, molte sigarette e molte fughe per Helen e la figlia Jo, che vivono nelle topaie senza mai pagare l’affitto. Sono nemiche eppure complici mentre scappano dai lucernari, salgono sugli autobus e cambiano quartiere piantando bandiera in freddi casermoni dove la muffa si allarga sul muro, il letto ricorda una bara e le giornate trascorrono fra pigrizia e contrasti, tubature che perdono e tazze di caffè.
Quando Helen decide di sposare un uomo più giovane e facoltoso, Jo comprende che nella nuova vita della madre non ci sarà spazio per lei; è allora che il suo piccolo cuore devastato – come in una strana favola grigia della periferia industriale – si avvicina titubante a un marinaio. Jimmie (per Jo, “il principe Ossini”) è ciò che l’Inghilterra dell’epoca definisce “negro”, storcendo il naso: gira il paese a bordo di una nave della Manchester Lines dove svolge la mansione di cuoco, ha la pelle di carbone, un grande sorriso esotico e l’entusiasmo di un ragazzo alla prima cotta. Jo, sempre più impacciata nella divisa da scolaretta, trova in lui l’occasione per spingere lo sguardo lontano dalle sudice catapecchie dove la madre la porta a vivere, e fra i due si fa largo persino un assurdo progetto matrimoniale.
C’è qualcosa di intimo e profondo in queste scene d’amore, poiché ognuna di loro va a sfiorare le emozioni di un vissuto che inevitabilmente riguarda ogni ragazza, ogni ragazzo. C’è una deliziosa frenesia nel conoscersi e una magica tensione quando ci si incontra di proposito per strada. Sono due ragazzi che giocano con un amore sregolato, improvviso, che semina il subbuglio, prende tutto e tende a non dare nulla in cambio, fino al giorno in cui la nave salpa e riporta il marinaio ai suoi viaggi, con la promessa immancabile di fare ritorno.
Di lì a poco Helen, sempre generosa di moine eppure avara di sincera affezione, si sposa e abbandona la figlia. Nell’Inghilterra di straccioni, vicoli luridi e grandi spazi spogli nei pressi del porto, Jo trova un impiego e diventa improvvisamente grande. Pur con un sorriso infantile che tradisce la dentatura imperfetta, si affranca dal modello decadente della madre e diventa donna “per forza”.
Quando la vita le assesterà un duro colpo, Jo chiederà aiuto a Geoffrey (Murray Melvin), colui che definirà “la mia sorella maggiore”, unico faro nella sua notte. Un ragazzo dal volto spigoloso, perseguitato dal disprezzo della gente e condannato all’emarginazione per la propria omosessualità. Per Jo è il miglior compagno che il destino potesse offrire, un animo sensibile, capace di tenerezze disinteressate.
Il sapore di miele che ci lascia questo film è amaro, inusuale, ma corposo. Mentre Addison sottolinea con garbata precisione le atmosfere ricorrendo alle filastrocche popolari dei bambini (nessuno dei testi è casuale), prende forma sullo schermo un solido intreccio realizzato in base a una pièce teatrale di Shelagh Delaney.
L’Inghilterra impregnata di correnti fredde e polposa di umidità bisbiglia attraverso le scene, le campagne brulle strapazzano i piccoli personaggi. Piccoli perché giovani e sprovveduti, ma decisi a rimediare agli errori degli adulti scavalcando i pregiudizi. Jo è la donna che suo malgrado riceve la possibilità di dimostrarsi più madre della propria, Geoffrey è l’uomo impossibile che si concede al turbinio degli eventi con lealtà. Il risultato è un film del 1961, premiato a Cannes e ai Bafta (gli “Oscar” del cinema inglese), attento alle imperfezioni, custode di messaggi potenti, semplice nella sua freschezza e innovativo nell’affrontare temi come la gravidanza di una giovanissima e l’omosessualità.
Un film che ci lascia il bagliore di una scintilla e l’incombenza di ipotizzare il futuro. Poco prima dei titoli di coda ognuno di noi potrà infatti attribuire un finale a questa fiaba grigia che di romantico non ha nulla.
Eppure tutto.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda tecnica
Titolo originale: A Taste of Honey
Anno: 1961
Durata: 100'
Regia: Tony Richardson
Sceneggiatura: Shelagh Delaney e Tony Richardson
Fotografia: Walter Lassally
Montaggio: Antony Gibbs
Musiche: John Addison
Attori: Dora Bryan, Robert Stephens, Rita Tushingham, Murray Melvin, Paul Danquah