Anche il signor Smith ha avuto una vita precedente, ma gli è impossibile ricordarla come gli è impossibile parlare. D’altronde non si chiama nemmeno Smith.
Nel grigiore dell’asilo per reduci di guerra, Smith (nome assai poco fantasioso) riceve visite di estranei che cercano in lui un figlio perduto. Ma agli sgoccioli della Prima Guerra Mondiale, in Inghilterra, i figli confusi e persi nella nebbia non si contano. Smith è solo uno di loro e la sua storia comincia una sera, quando una porta lasciata inavvertitamente aperta gli permette di abbandonare le mura del manicomio e confondersi in una folla che festeggia la fine della guerra.
L’uomo (dipinto magnificamente dall’intensità espressiva di Ronald Colman ) è inoffensivo, spaventato, balbuziente, gentile. Un cane bastonato che calamita da subito le attenzioni di un uragano dai capelli rossi: si chiama Paula e fa la ballerina in un locale di infima categoria, è di un’effervescenza incontenibile e ha una parlantina senza argini. Greer Garson la interpreta con uno slancio tumultuoso: sembra uscire dallo schermo per scoppiare in una delle sue prorompenti risate, ha una verve impetuosa. Non la spaventa l’umile confessione dell’uomo (“ho perso la memoria, vengo dal manicomio”) ed è disposta ad accordargli fiducia e portarselo appresso - non senza intoppi - nel cuore di una chiassosa notte dei sobborghi. Quella coppia, strana amalgama di incoscienza e simpatia, sta per vivere la più grande avventura della vita, e quell’ombroso signor Smith ha un nuovo nomignolo, Smitthy.
Li seguiamo sul treno che li porta in campagna, puntando a un avvenire indefinito. Paula vuole portare Smitthy sul lago, al sole, perché ritrovi la pace e recuperi la memoria senza l’aiuto dei camici bianchi: è così pazzesco e tremendamente romantico che non possiamo che fidarci di lei.
Seguiamo affascinati il loro arrivo in una piccola pensione e i primi passi verso il destino. Smitthy scrive bene e spedisce un paio di articoli al giornale Mercurio riscuotendo successo e un pugno di scellini. Paula è il suo angelo custode e siede sull’erba con lui per picnic felici all’ombra degli alberi di pesco in fiore. La memoria del soldato non accenna a tornare, ma il presente ha un retrogusto dolcissimo: ben presto Smitthy chiede a Paula di sposarlo, e lei accetta la proposta dell’uomo senza passato come se lo conoscesse da sempre.
Il ritmo incalzante del film ha la meglio sulle perplessità dello spettatore, perché quest’inno all’amore va bevuto d’un fiato. Passa un anno e un piccolo cottage nei pressi di un ruscello è la nuova, modesta tana dei signori Smith. Alberi in fiore e un bambino di nome Joe, dato alla luce in casa e accolto con tutta l’euforia di un papà appena nato, nato con lui. Nessun ricordo, ma un cuore sincero.
A questo punto dentro di noi qualche ingranaggio si spezza. Perché ci è chiaro che va tutto troppo bene. Pericolosamente bene.
L’occasione per una disfatta è dietro l’angolo, e arriva nelle vesti di un treno che porterà Smitthy a Liverpool per un incontro con il caporedattore del Mercurio. Il primo viaggio da solo per l’uomo senza vita precedente. Negli umidi occhi a mandorla di Paula scorre una scomoda paura, ma il marito è spavaldo e sicuro mentre raccoglie qualche vestito in una valigia malconcia e saluta il nido agitando la mano.
Sarà un violento colpo alla testa a stordire Smitthy, un incidente. Al risveglio avrà uno sguardo severo e altezzoso e un tono di voce solenne. Dirà di chiamarsi Carlo Rainier, ex ufficiale dell’esercito proveniente dal Surrey. E di voler tornare là dove non ha moglie e un figlio, ma una schiera di parenti veniali e un futuro nella gloriosa ditta di famiglia.
La vita precedente: eccola qui, in tutto il suo orrore.
Il film ingrana una marcia nuova, serrata, a tratti insopportabile. Carlo soppianta Smitthy e cancella l’armonia di una vita semplice per un’esistenza arida e scandita dai successi personali. Fidanzato con la bella Kitty (Susan Peters), passa le sue giornate in ufficio comunicando secchi imperativi alla segretaria, la quale nasconde segreti che dovreste sapere.
Prigionieri del passato è una vera bomba a orologeria per le emozioni; merita un’attenzione maniacale sino alla fine e tiene a fiato corto i romantici. La MGM è maestra di drammi vecchio stampo e Mervyn LeRoy ci strapazza ininterrottamente portando Carlo sulla via dei ricordi.
Un film di binari snodati, di seconde possibilità e disegni del fato. Un film per chi indaga la seconda vita e anche per chi, tutto sommato, preferisce la beata inconsapevolezza all’ombra dei fiori di pesco.
Maria Silvia Avanzato
Sezione di riferimento: Vintage Collection
Scheda Tecnica
Titolo originale: Random Harvest
Anno: 1942
Durata: 125'
Regia: Mervyn LeRoy
Sceneggiatura: Claudine West, George Froeschel e Arthur Wimperis
Fotografia: Joseph Ruttenberg
Montaggio: Harold F. Kress
Musiche: Herbert Stothart
Attori: Ronald Colman, Greer Garson, Philip Dorn, Susan Peters, Henry Travers, Margaret Wycherly