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PERFIDO INVITO - L'amica senza cuore

21/2/2017

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Foto
​Un padre premuroso, quello di Elena, forse troppo. Alle prime luci del mattino la novella sposa riceve una pelliccia, ennesimo dono paterno, ennesimo scatolone dove quel padre apprensivo riversa valanghe d’amore. L’argenteria, gli arredi, le ceramiche: ogni piccolo pezzo del regno di Elena e suo marito Carlo proviene dalle mani generose di papà. Lei (Dorothy McGuire) compare sullo schermo come una visione, un giglio avvolto dalla seta bianca di una vestaglia.
Una donna fragile, che apre lo scatolone, osserva l’ennesima pelliccia, si rallegra, la ripone con le altre. Sarà lei a guidarci in questo melò che ha un grande, innegabile pregio: fotografa fedelmente le donne come Elena e ci restituisce per un paio d’ore tutta la bellezza delle giovani spose che il cinema americano ha sfilato dal cilindro. Leggiadria e grazia, primi piani ovattati che danno al volto femminile i contorni del sogno. 
Precipitiamo piacevolmente nella vita della sposina, la grande casa piena di doni, il marito allegro e galante (Van Johnson, un vero fidanzatino d’America), arriviamo persino a godere di quelle cure paterne che continuano a circondare la protagonista. Il mondo di questa quieta mogliettina è anni luce dal nostro quotidiano: “Il mio unico pensiero quando mi sveglio è fare colazione, poi nulla fino a pranzo quando comunico ad Agnese (la domestica, ndr) ciò che prepareremo a pranzo e cena. Quindi aspetto che Carlo torni a casa dal lavoro e gli faccio trovare un aperitivo. Non ho altri pensieri, non ho nulla da fare”. Si rimane incantati ad ascoltarla, è una fiaba che arriva decisamente da un’altra dimensione.
Tuttavia, nella magnifica bicocca circondata dal giardino, si vive da reclusi e prigionieri. “Non affaticarti” è il monito che tutti ripetono a Elena da mattina a sera, temendo che il suo cuore malato non regga gli sforzi. Lei, cardiopatica da sempre, è cresciuta da brava figlia del medico Toynberry, orfana di madre, certa che la vita non le avrebbe mai serbato emozioni. “Io resterò zitella” aveva detto al padre, solo un anno prima, mettendo in dubbio la propria avvenenza e rassegnandosi al lento scorrere delle giornate, lontana dagli svaghi. Poi l’amore di un uomo, un amico di infanzia che mai era sembrato interessato alla povera piccola figlia del medico, ha rimesso ogni cosa in discussione. La fragile donna ha scoperto gioie ingombranti per un cuore malconcio e, con immenso orgoglio di suo padre, è convolata a nozze.
Così il giardino, lo stagno, le siepi fiorite e le vestaglie di seta sembrano gli angoli di una deliziosa cameretta dei giochi per la giovane donna.
Fino a quando l’amica Martha (Ruth Roman) insinua in quel quadretto idilliaco un atroce sospetto. Martha (nella versione originale Maud) è donna di tutt’altro stampo: fatale, arguta e piena di fuoco. Un contrasto che passa anche attraverso gli abiti – a tinte tenui quelli di Elena, neri e vaporosi quelli di Martha – per due amiche diverse in tutto. Nei modi e nella scelta delle parole, nel corpo e negli sguardi. A renderle identiche c’è soltanto l’ambizione di essere amate dallo stesso uomo.
Carlo, in origine, era legato proprio alla seducente e mondana Martha, ma infine ha sposato l’amica timida e malata che non poteva concedersi il lusso delle partite di tennis o i tuffi in mare. Così assistiamo impietriti al ritorno di Martha dal passato, messaggera di sventure, venuta a sbattere in faccia all’antica amica una profezia oscura: “Ti lascio Carlo per un anno e allo scadere dell'anno tornerò a prendermelo”.
È così che una minaccia lugubre spezza le gioie di una giovane sposa. Poco alla volta, in quello che appare come un puzzle diabolico, anche lo spettatore è in grado di far collimare i tasselli. Attorno ad Elena c’è un disegno preciso e lei, con le lunghe vestaglie e i sorrisi gentili, è l’unica a non essersene accorta. Il cuore, forse, le batteva troppo forte.
Gottfried Reinhardt, figlio del grande Max, esordisce come regista puntando tutto su questo melò con un buon cast e una trama per nulla scontata. Un lavoro modesto e ben fatto che sa intrattenere lo spettatore per ottanta minuti di intrighi e flashback, ricordando a sprazzi le atmosfere hitchcockiane de Il sospetto. 
La fragilità femminile appassiona. Sia questa Dorothy McGuire che la ben più celebre Joan Fontaine sposa di Grant nel film di Hitchcock, sono due ragazze cresciute in famiglia fino a “tardi” (il “tardi” dell’epoca). Innamorate dei genitori e desiderose di non deluderli vivono il matrimonio come un innocente tradimento dell’amore famigliare. Sono altresì appese a queste gioie coniugali, al rituale di benvenuto sulla porta quando i cari mariti rientrano a casa, alla salute delle rose in giardino e alla bellezza dei tendaggi. Eppure sconvolte dall’ipotesi di avere accanto un mostro ben diverso dall’uomo sognato.
Una sorta di silenziosa propaganda perbenista che sulle prime sembra incoraggiare le ragazze a restare in casa, sotto la solida ala di papà, immolandosi a monumenti di dedizione.
Ma infine è sempre l’amore vero a trionfare.
Dopo una serie di perfidi inviti al fallimento.

Maria Silvia Avanzato

Sezione di riferimento: Vintage Collection


Scheda tecnica

Titolo originale: Invitation
Anno: 1952
Durata: 84'
Regia: Gottfried Reinhardt
Sceneggiatura: Paul Osborn
Attori: Van Johnson, Dorothy McGuire, Ruth Roman, Ray Collins
Musiche: Bronislau Kaper
Fotografia: Ray June

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